Capitolo 34.

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Toronto é approssimabile solo ad un ricordo degli ormai lontani edifici che la compongono, quando, ancora un tantino scossa e col battito accelerato, mi decido ad infilare gli auricolari.
L'attimo del decollo, tanto breve quanto intenso, é stato in grado di sorprendermi in senso del tutto negativo anche stavolta, sebbene credessi di aver fatto tesoro della mia ultima e prima esperienza in aereo e mi fossi convinta che in questa occasione sarebbe andata meglio. Tuttavia, quell'orribile sensazione di panico si é nuovamente impossessata di me appena l'assordante rumore dei motori, che parevano sul punto di esplodere, ha ovattato ogni suono che mi circondava e mi sono ritrovata con la schiena praticamente schiacciata contro il sedile. Mai come in quel momento mi é stato chiaro il concetto di pressione, lo stesso che tanto faticavo a comprendere a scuola, quando il professore della mia classe di fisica, sull'orlo di continue crisi nervose causate dall'estrema ignoranza che noi alunni mostravamo esibendo facce confuse, si ostinava a rispiegarlo facendo ricorso a tutti gli esempi possibili e immaginabili, tranne che a questo, forse l'unico in grado di esprimere appieno tale grandezza. Mi viene da sorridere amaramente al pensiero del sistema scolastico che, con un giro enorme di paroloni, riesce a rendere complicati persino concetti estremamente semplici come questo, solo perché mosso dall'esigenza di forgiarci tutti allo stesso modo; dei contenitori di nozioni e teoria ma comunque incapaci di ragionare.
Ad ogni modo, così come mi é successo durante il mio primo viaggio in aereo, anche stavolta la prima cosa che ho fatto in quel momento di puro panico é stata afferrare- o meglio, stritolare- la mano del mio vicino, nel tentativo di trovare in quel gesto la forza necessaria per superare la mia paura. E, se nel corso del volo Londra-Toronto a sorbirsi questa tortura era stato un poveretto dagli spessi occhiali bianchi, durante quello Toronto-Fort Lauderdale, invece, é stato Shawn. Scommetto a quel punto lui mi abbia fissato sconvolto dato che solo un attimo prima ero ad ordinargli di non provare neppure a guardarmi, e quello dopo a tenergli la mano così forte da rischiare di staccargliela. Contro ogni aspettativa, quando l'ho fatto, Shawn non ha iniziato a canzonarmi o a prendermi in giro; al contrario, ha ricambiato allo stesso modo la stretta e ha cominciato a tranquillizzarmi, assicurandomi che fosse questione di pochi secondi.

«Apri gli occhi, Hayley.» mi diceva e, data la sua voce, presumo che in realtà stesse sorridendo a fior di labbra. «É come una giostra; niente di così spaventoso.»

«Mi fanno paura anche quelle.» ho subito precisato.

«Okay.» Lui ha riso. Forse era sul punto di dire qualcos'altro, ma poi si é interrotto, per aggiungere, dopo un attimo di esitazione, con voce dolce e rassicurante; «Ora puoi definitivamente aprire gli occhi. É tutto finito.»

Ho seguito il suo consiglio e, alquanto timorosa, ho schiuso un occhio alla volta. Solo dopo essermi accertata che quell'attimo di tortura fosse ormai terminato, ho tirato un sospiro liberatorio. Mi sembrava di avere un macigno sul petto, e credo di aver realizzato, sulla base di quanto accaduto, di avere una vera e propria fobia per il decollo, una di quelle patologiche, da "centro di cura".
Nel frattempo avevo la mano ancora stretta in quella di Shawn, e quando me ne sono accorta mi sono affrettata a lasciarla, farfugliando impacciatamente delle scuse.

«Non preoccuparti.» ha sussurrato in una maniera indecifrabile. Non saprei dire se fosse divertito da tutta quella situazione o addirittura dispiaciuto, e non ho voluto comunque approfondire la questione, preferendo, piuttosto, rimanere nel dubbio, in silenzio.

Sta di fatto che, per scemare l'imbarazzo del momento, ho iniziato a volgere il mio sguardo ovunque tranne che su di lui. Ho cercato di nuovo i miei amici tra i passeggeri, nella fragile speranza di incrociare gli occhi di Cameron, magari, ma il mio campo visivo era abbastanza ristretto, così ho dovuto focalizzare l'attenzione sull'unico elemento che presentava i requisiti necessari per definirsi "interessante"; l'anziana donna di colore che siede a fianco a me. Dopo averla guardata sonnecchiare tranquillamente con un briciolo d'invidia per quella capacità di addormentarsi in maniera tanto veloce, la noia ha purtroppo avuto la meglio sul mio spirito di osservazione, per cui mi sono detta che l'unica soluzione per evitare di incorrere in un'ulteriore conversazione con Shawn fosse perdermi nella musica, o almeno fingere di farlo. Quindi ho afferrato il cellulare con una disinvoltura piuttosto ostentata e, a seguito di una lunga battaglia con le cuffie attorcigliate, ora mi ritrovo a spulciare abbastanza insoddisfatta tra quei brani che sto realizzando aver conservato dal primo giorno in cui ho avuto questo telefono tra le mani. A dirla tutta, non sono solita eliminare canzoni, neppure quando, dopo averle ascoltate così tanto da giungere quasi a consumarle, metaforicamente, finiscono col perdere il loro fascino e non piacermi più. Forse si tratta di una specie di attaccamento morboso; cancellare una canzone per me equivale al cancellare tutti i ricordi e le sensazioni legata ad essa e, in qualità di nostalgica conservatrice di memorie, questa è una possibilità che non riesco proprio a considerare. Non é neanche mia abitudine scaricare in continuazione nuova musica, tenendomi al passo con le hit del momento. Ne aggiungo di nuova alla mia raccolta solo quando mi trasmette davvero qualcosa. Forse é per questo che il mio repertorio si presenta così limitato ora che, fissando lo schermo, mi rendo conto che non basterà ad intrattenermi durante quelle che dovrebbe essere tre ore di volo.

Summer love. ||Shawn MendesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora