La densa penombra inghiottiva ogni cosa. Il soffio sommesso del mantice ravvivò i tizzoni, la cui luce dorata crebbe fino a raggiungere gli spessi bordi della cappa e gli occhi delle due persone lì accanto.
L'uomo smosse le braci, liberando nell'aria briciole luminose che salirono danzando nel risucchio del camino. Sollevò la barra dalla forgia. Il metallo emanava un tenue alone, come se all'interno vi fosse racchiusa una scheggia di sole. La osservò con attenzione, ruotandola lentamente, senza allontanarla dal focolare.«Vedi? In questo punto?» chiese, indicando con una lunga pinza il centro della spranga.
L'apprendista allungò il collo e strinse gli occhi, annuendo. La forma nera dell'attrezzo avrebbe potuto somigliare a una coppia di dita scheletrite e arcigne per chi fosse stato digiuno di metallurgia; per lui invece, erano amiche preziose e affidabili.
«Il colore non è ancora giusto, Igraf. Il punto di battitura è vicino, ma serve una sfumatura ancora più bianca al centro. Deve emanare luce propria per essere pronta per la modellazione. Và al mantice e datti da fare» ordinò pacato.
«Subito, Maestro» esclamò il ragazzo, il volto serio sporco di sudore, fuliggine e limatura di ferro.
L'apprendista girò attorno al basamento di pietra della forgia per raggiungere il lungo braccio di legno di quercia. Sciolse i legacci e prese a manovrare l'asta con un ritmo costante, scandito dal sibilare dell'aria che veniva risucchiata nella sacca di pelle prima d'essere spinta ai piedi del focolare. La compostezza dell'espressione stonava con i suoi sedici anni, ma dava appieno la misura del suo impegno.
Igraf sapeva di aver ricevuto una pesante eredità, ovvero quella di divenire il futuro Maestro di bottega. Dopo tutto, era il secondogenito e, per quanto abile potesse dimostrarsi, lo Statuto della Corporazione parlava chiaro: solo il primo figlio maschio avrebbe potuto ereditare la fucina e il titolo di Maestro. Ma quando Niza aveva scelto di intraprendere la carriera militare, le speranze e i sogni di Igraf avevano preso altri contorni. In molti nella Corporazione si erano detti felici della decisione di Niza, troppo impetuoso e irrequieto per divenire un fabbro: il fratello minore pareva nato con gli strumenti del mestiere in mano.
«Maestro, credo occorrerà attendere ancora un po' per ottenere il risultato corretto. La legna e il carbone si sono consumati troppo velocemente. Temo che la legna non fosse stata essiccata a dovere. Devo controllare quella che abbiamo nella legnaia e prenderne dell'altra più adatta» dichiarò.
L'uomo si chinò, sentendo le vampe delle braci accarezzargli il volto. L'apprendista aveva visto giusto: lui stesso scorgeva tra le fiamme i resti sfilacciati dei piccoli ciocchi che erano serviti da innesco per la fiamma.
Quella legna, sebbene dell'essenza giusta, mostrava difetti di stagionatura.
«Procedi come ritieni più opportuno».
Da genitore e Maestro, si era reso conto subito delle potenzialità di Igraf. Vederlo così attento e scrupoloso confermava le sue intuizioni.
Lasciò che andasse a prendere altro combustibile, appuntandosi di parlare l'indomani con i legnaioli da cui si fornivano.
Da un angolo della fucina proveniva un rumore sottile, che sovrastava a malapena il crepitare delle fiamme. Poco distante dal banco delle rifiniture, un ragazzino stava ingobbito su uno sgabello. Strofinava un'arma grande quanto lui, ed era talmente preso da estraniarsi da quanto accadeva intorno.
«Che stai facendo?»
Il giovanissimo aiutante sobbalzò, sollevando di scatto la testa e stringendo le mani attorno alla spada che teneva sulle ginocchia. Non era stato il tono del richiamo a spaventarlo, quanto il fatto che potesse significare un errore. Sarebbe stato terribile.
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La Mano della Dea
FantasyQeni e Alimad, bambini donati al Tempio della Dea. Un amore nato sotto gli occhi di una divinità. Un amore che non doveva essere.