Yule

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Era un 21 Dicembre, l'aria della sera era secca e gelida, il vento ghiacciato, tipico dell'Alto Adige, tagliava il volto.
Ma noi, ahah, noi eravamo in macchina con l'aria condizionata al massimo, sissignore neppure un brivido di freddo.
Arrivammo ad uno spiazzo, i piccoli sassolini tondi e lisci scricchiolarono sotto le ruote dell'auto. "UNO" tirai su la sciarpa, "DUE" guanti a mezze dita, "TRE", al "tre" spalancai lo sportello con scherzoso fare eroico, e mi pentii immediatamente della scelta fatta di non aver messo un paio di calze di lana sotto la tuta.
Le macchine nell'enorme parcheggio erano due, compresa la nostra, beh, del resto, si trattava delle dieci passate di sera, la temperatura era certamente al di sotto dello zero, oltre noi, chi sarebbe potuto essere tanto folle? Folle da far cosa? Beh, quella sera, quella dannatissima sera di fine Dicembre, noi piccoli uomini moderni, ci incamminammo per raggiungere la cima della montagna, emulando i nostri antenati politeisti. "Ci siamo tutti?" "Sì, operativi", presi un paio di borsoni col necessario, e accesi una torcia per far strada ad un mio amico che aveva due bandiere in spalla e avrebbe rischiato di cadere, fumando una sigaretta volsi lo sguardo al cielo, puro, lontano dalle fastidiose luci della città, le stelle brillavano a migliaia, grosse come palloni da Basket, tanto che mi chiesi, come potessero cose tanto belle, essere solo ammassi di gas e detriti, probabilmente morte da secoli...
Ci incamminammo lungo un sentiero, le alte cime degli abeti impedivano la visione di quel meraviglioso cielo notturno, sino alla prima tappa, per la quale ci vollero una ventina di minuti, osservammo un silenzio religioso, tutto ciò che si udiva tra quei boschi, era il nostro respiro affannoso, e lo scricchiolio delle foglie secche sotto i nostri passi pesanti e decisi.
Giungemmo sul ciglio di una Via Megalitica, in tale via, nel giorno del solstizio d'estate, il Sole tramontava al centro della strada, perfettamente allineato con essa. Pensai che mancavano esattamente sei mesi a quell'avvenimento, oltre che al mio compleanno.
Cercammo dei rametti secchi, ed entrammo in una struttura costruita alla buona in legno, di cui preferisco omettere le forme, essendo comunque stato un rituale sacro. Tirammo su due bandiere, ed allestimmo il fuoco, ponendo i pezzi di betulla nello stesso modo in cui erano poste le basi della precaria costruzione (in realtà era completamente aperta, si componeva di quattro rami), io e le altre due ragazze restammo fuori, mentre gli uomini si posero esattamente a rappresentare i quattro punti cardinali, tenendo ognuno una torcia infiammata nella mano destra, si avvicinarono al falò ancora spento, deponendo la propria torcia uno per volta e pronunciando una breve frase come preghiera. Il fuoco divampò, e restammo lì, in silenzio ad osservare le due mele ardere assieme agli arbusti, le scintille mi schizzavano a pochi centimetri dal volto, come mille lucciole impazzite. In questo solenne momento di spiritualità, iniziammo a passarci un'unica tazza in terracotta di vino rosso, che, freddo così pareva sidro. Mai vino fu tanto buono.
Quando il fuoco si spense erano circa le due di notte, e avevamo passato una buona mezz'ora soli con noi stessi, a riflettere, a morire per rinascere; esattamente come il Sole dopo la notte più buia, come il Sole dopo Yule. Rimanemmo a lungo seduti tutt'attorno su delle rocce umide di muschio, a leggere storie e antiche fiabe.
Non ho nemmeno una foto di quella notte, eppure le fiamme che vidi ardere le porto dentro tutt'ora, e dentro le porterò sinché non verrà il momento di restituire l'energia di esse.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 06, 2017 ⏰

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