Ecco l'ambulatorio. C'è una targhetta nera che indica li nome del dottore, la sua specializzazione, il piano e l'interno dov'è alloggiato lo studio. Non sono di norma superstizioso, ma il colore funereo dell'insegna, vista la mia attuale condizione emotiva, ha qualcosa di sinistro che alimenta il mio stato d'ansia. L'ascensore è guasto, devo salire a piedi fino al terzo piano... si può fare. Giunto alla porta, busso. Mi accoglie una ragazza molto giovane
- ho un appuntamento, devo farmi visitare - gli dico subito. La ragazza mi sorride e mi fa entrare senza dire nulla. Mi sento un po' sciocco, la fanciulla con il suo sorriso mi sembrava che dicesse:
- è logico, se sei venuto fin qui vuol dire che devi farti visitare. Pensavi di essere andato dal salumiere? -
Nella saletta d'attesa ci sono già altri pazienti, ne conto dieci. Mi siedo su una delle due sedie ancora libere e aspetto il mio turno. Nell'attesa sfoglio una delle vecchie riviste che spesso sono sparse sui tavolini degli ambulatori privati e ascolto i discorsi degli altri pazienti. Di solito sono i più anziani quelli propensi a scambiare quattro chiacchiere anche con le persone che non conoscono. Così, per ammazzare il tempo.
-Questa mattina non ho potuto riscuotere la pensione - si lamenta un vecchietto rivolto a un'altra anziana signora.
- Nell'ufficio postale non c'era più denaro liquido - continua, e imprecando sottolinea il suo disappunto. È sicuro che la vecchietta vicina viva le stesse preoccupazioni e quindi solidale con il suo stato d'animo.
Sono mesi che dovevo fissare un appuntamento per questa visita medica, ma ho sempre rimandato. Oramai rimandare le incombenze è diventata una routine nella mia vita. Sono riuscito a mettere assieme duecento euro, la visita ne costa cinquanta, ma è probabile che il medico mi chieda di effettuare una serie di accertamenti che naturalmente dovrò pagare. Negli ultimi venti anni, gradualmente, ma inesorabilmente, l'Assistenza Pubblica è venuta meno, oggi è quasi inesistente.
Sono venuto a piedi, camminare mi fa bene, anche perché la macchina ha un guasto al motore e io ho dovuto scegliere: se farmi visitare oppure far visitare l'auto dal meccanico. Mentre percorrevo la strada che conduce all'ambulatorio, densa di palazzoni condominiali, la mia mente vagava tra un ricordo e l'altro. Pensavo che non sono piú giovane, ma neanche tanto vecchio, eppure tanto tempo mi é scivolato addosso senza che io possa dire di aver vissuto pienamente questa parte trascorsa della mia esistenza. Mi sembra come se io fossi stato sempre in attesa di qualche evento; che abbia faticato per raggiungere qualche cosa che nel mio immaginario sarebbe stata fonte di felicità. Ora, fatti i bilanci, comprendo che sono stato veramente felice solo da bambino. Mentre camminavo la mente, con i sui flashback, tornava sempre a quegli anni che forse non erano migliori di questi, ma ero migliore io, come lo sono sempre i bambini. Loro sono sempre migliori del mondo che li circonda. Lungo la strada mi rivedevo a passeggiare, in una giornata di sole, tra le siepi di una periferia ancora disabitata con qualche cantiere qua e là. Sentivo il profumo dell'erbaccia e dei fiori selvatici mentre una brezza mi accarezzava il viso e il silenzio era rotto solo dal cinguettio degli uccelli e il frinire dei grilli. Mi rivedevo poi a correre nelle strade della cittadina natia insieme ad altri bambini. E lì, ancora io, che giocavo a calcio con altri quattro nel cortile di un vecchio palazzo. Mi sentivo felice, avevo sempre un motivo per essere lieto, e se non c'era lo trovavo. Poi, finiti gli studi, senza che me ne rendessi conto, il tempo ha cominciato a sfuggirmi tra le mani. Scorreva lento, ma implacabile.
I vecchietti intanto, nell'ambulatorio, continuano a chiacchierare con i pazienti vicini, e lo fanno come se li conoscessero da anni. Passano da un argomento all'altro con un'abilità che io invidio. Anche se i loro discorsi sono intrisi di malinconiche frustrazioni. L'esigua pensione insufficiente per vivere decorosamente; i figli e le nuore che danno continui dispiaceri; incurabili malattie contratte da parenti e amici; la nostalgia per una giovinezza ormai lontana e così via. Discorsi che ho sentito così tante volte che preferisco distrarmi seguendo i disegni astratti sul pavimento di maioliche. Immagino che quelle decorazioni, curvilinee e modulari, siano strade. Quelle che si vedono in alcuni film americani; quelle strade lunghissime, sempre ben asfaltate, che attraversano sconfinate e assolate praterie. Poi, come in una ripresa cinematografica fatta dall'alto, su un elicottero, mi avvicino dolcemente fino a inquadrare il primo piano di un uomo alla guida di una cabriolet. Sono io, che sfreccio libero sulla strada della prateria con il vento tiepido che mi accarezza il viso. Sull'altro sedile un'attraente ragazza mi guarda sorridente e pronuncia il mio nome per due, tre volte, sempre più forte. Adesso non mi sorride più, anzi sembra piuttosto seccata. Alzo la testa e mi ritrovo di nuovo nell'ambulatorio con la collaboratrice del dottore indispettita perché è il mio turno e mi ha chiamato più volte. -Eccomi, sono io - rispondo appena desto.
- si accomodi - dice la signorina questa volta con una smorfia di rimprovero. Entro nel gabinetto dello specialista e mi ritorna l'ansia e la preoccupazione per quello che potrebbe scoprire il medico. Non mi ricordo da quando sono diventato ipocondriaco: temo sempre di avere qualche male oscuro che mi sta crescendo dentro. Il Luminare però ha la rassicurante flemma di chi sa il fatto suo, nota subito la mia preoccupazione e mi invita a calmarmi.
La visita è durata poco meno di quindici minuti. Il dottore non ha riscontrato nessuna anomalia nel mio organismo. Era, come sospettavo, ma non volevo ammettere a me stesso, tutto frutto di ansie e preoccupazioni accumulate nel tempo. - Si prenda una vacanza e stia tranquillo - mi ha esortato alla fine. Mentre rientro a casa, ripercorrendo la strada che aveva risvegliato i ricordi fanciulleschi, un po' risollevato e un po' deluso, rimugino sulle ultime parole del dottore: - si prenda una vacanza, cambi aria - , avevo la tentazione di rispondergli come aveva risposto la zia di un mio amico, al medico che le faceva la stessa esortazione: - lo sa dottore quali sono le mie preoccupazioni? Queste, mostrandogli il portamonete vuoto.
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Storie di ordinaria resistenza
Short StoryStorie quotidiane, in apparenza banali, di uomini che cercano di sopportare e resistere conservando la propria dignitá, durante gli anni della crisi, finanziaria ed etica, che affligge l'Europa.