Un giorno, non ricordo esattamente in quale periodo, una persona mi informò dell'esistenza di una leggenda cinese chiamata "Unmei no akai ito", il filo rosso del destino e da quel giorno la feci mia, come se fosse stata inventata per me.
Mi ci aggrappai come una boa di salvataggio, sfruttandola nelle mie fantasie da scrittore improvvisato o assumendola come una droga nei giorni in cui la speranza era solo un sostantivo femminile.
Leggenda narra che tale filo sia l'unione indistruttibile tra due persone sin dalla nascita, un filo legato al mignolo della mano sinistra di entrambi che trascende le distanze e gli eventi individuali, fino al momento dell'incontro che sigillerà il resto della loro vita.
Tutto molto bello, affascinante, romantico e... tremendamente triste.
Ci sono giorni in cui guardo quel mignolo e penso: "Si sarà slegato, l'avrò perso come ho perso quella collana" e altri in cui lo sento formicolare, immaginando che l'altra persona sia colta da spasmi notturni, magari invischiata in un incubo che gli fa muovere la mano creando una vibrazione che mi raggiunge come una scarica elettrica a basso voltaggio.
Per dar corpo al piacere della leggenda, ho legato nastri di raso rosso attorno ai rami di un ficus oramai morto; li ho intrecciati tra le sbarre della testiera del letto, li ho usati come fissativo tra due librerie traballanti e infiocchettati come decorazione per un termosifone sempre freddo.
Riassumendo, quella storia mi ha ossessionato come è mia abitudine (o difetto) per le cose che amo.
Adesso, al limite dello sconforto più consistente da sopportare, mi chiedo se quel filo sia davvero un dono dedicato a tutti, soprattutto nel tempo in cui gli amori nascono grazie alla tecnologia e surrogati di ogni genere.
Il cavo del caricabatterie del mio telefono è rosso: è forse quello il mio filo? Mezzo metro di cavi e guaina in plastica? La sola idea mi disgusta, così come mi rattrista la concezione di accontentarsi di sapere in vita e una persona solo grazie a suoi post scritti su social networks o foto in cui appare vagamente sorridente insieme ad altre persone.
Con il senno di poi, ragionandoci con il distacco medico di chi impugna un bisturi, non penso che nel mondo ci sia qualcuno legato a te sin dalla nascita o - per correttezza di espressione - voglio più crederci. Vivere una vita aspettando che qualcuno tiri così forte da costringerti a voltarti per guardarlo finalmente in volto; crearti una famiglia, avere dei figli e poi scoprire che la persona con cui convivi non è quella destinata a te; morire con l'idea che dall'altra parte quel qualcuno, un giorno, ha deciso per entrambi slegandoselo dal mignolo per vivere la sua realtà, forse accontentandosi oppure godendo di ogni singolo attimo a prescindere da chi ha aspettato, accecato da una leggenda romantica ma dal retrogusto amaro.
Ciò che voglio dire è che potrei amputarmi tranquillamente il mignolo sinistro e seppellirlo, poiché il mio stesso corpo è formato da un sistema arterioso rosso e ogni singolo filamento di DNA è destinato a te.
Per questo ti dico che ovunque sarai, con chiunque sarai, per quanto vivrai su questa terra, non sarà una storiella ormai sviscerata a ricordarmi che sarò indissolubilmente, inconcepibilmente e irresponsabilmente legato a te, a discapito di chiunque avrà l'ardire di frapporsi sulla strada che ci divide.
Con l'affetto morboso che mi contraddistingue,
R.