Capitolo due - Time to say goodbye

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Roxanne era in piedi, davanti al suo letto, con lo sguardo fisso sul grande borsone nero che vi era appoggiato sopra

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Roxanne era in piedi, davanti al suo letto, con lo sguardo fisso sul grande borsone nero che vi era appoggiato sopra. Era stato riempito con le cose che le sarebbero potute servire, i suoi effetti personali ai quali era più legata, quindicimila dollari e gli abiti più anonimi che la ragazza avesse nell'armadio. Non voleva certo dare nell'occhio anche nella nuova città che l'avrebbe ospitata. Stava scappando dai riflettori e andare sotto la loro luce un'ennesima volta non era nei suoi piani.

Le mani le tremavano lievemente e sentiva il suo corpo congelare centimetro dopo centimetro, nonostante il riscaldamento fosse impostato al massimo. Era consapevole del fatto che quel freddo non fosse naturale, bensì provocato dal senso di smarrimento e vulnerabilità che la teneva in catene.

Anche se ci stava provando, proprio non riusciva a battere ciglio. Si sentiva pietrificata, forse a causa di quel gelo che la stava attanagliando sempre di più, o forse per un semplice scherzo della sua mente. Si chiese per l'ennesima volta se avrebbe avuto realmente il coraggio di chiudere con quella vita, se sarebbe stata capace di sopravvivere al di fuori di essa. Ma, di queste due domande, sapeva solamente rispondere alla prima: andarsene era necessario, anche se sarebbe stato sicuramente difficile. E questo bastava.

Voleva lasciare quella casa immediatamente, ma restava qualcosa ad impedirglielo. Per quanto odiasse la sua condizione, all'interno di quelle quattro mura restavano comunque dei ricordi felici. Quello era il luogo che l'aveva vista crescere, dove aveva imparato a camminare e a parlare; dove aveva collezionato i ricordi più belli che conservasse e dove aveva conosciuto delle persone che le avevano messo il cuore in mano, esattamente come lei aveva fatto con loro.

Spesso, per passare il tempo, da piccola aiutava le donne di servizio pagate dai suoi genitori senza che loro lo sapessero e, con l'avanzare degli anni, aveva imparato a conoscerle e a voler loro un bene impossibile da misurare.

Ester era quella che lavorava in quella casa da più tempo. Ormai era prossima alla cinquantina e, emigrata ventisette anni prima da Ploieşti, una cittadina della Romania, aveva subito conosciuto Michael ed Ellen, che la avevano dato vitto e alloggio in casa loro. Qualche volta Roxanne aveva sentito Ester parlare da sola o canticchiare nella sua lingua madre, ne era rimasta affascinata e le aveva chiesto di insegnargliela. Con il passare degli anni l'aveva fatta sua e spesso l'inglese diventava un optional quando loro due parlavano assieme.

Era una persona semplice, buona, che amava la vita anche quando prendeva una brutta piega. Rendere felici gli altri la faceva stare bene. A prima vista sarebbe potuta sembrare severa, ma, come ben si sa, a volte le apparenze ingannano. Era impossibile essere cattivi con lei; anche l'essere umano più crudele non avrebbe osato torcerle un capello.

Cindy invece era arrivata undici anni dopo e, a differenza di Ester, aveva un carattere un po' complicato. Nessuno riusciva mai a capire davvero a cosa stesse pensando. Tutti l'avevano sempre vista circondata da un alone di mistero, ma non in senso cattivo. Semplicemente, non le faceva piacere raccontare di sé. Lei era lì, faceva il suo lavoro, ma solamente a pochi decideva di mostrare l'"altra faccia". Era in grado di costruirsi un muro attorno impossibile da valicare e lei era l'unica in grado di decidere se fartelo oltrepassare, oppure no. Roxanne era stata fortunata: era riuscita a farsi piacere. Quelle due erano molto simili e Cindy lo aveva capito già dai primi tempi.

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