~ L'inizio del declino ~

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Quando mi avvisarono del mio tumore, non pensavo a niente, letteralmente, come se fossi caduto in stato catatonico.
Tutto si dissolse intorno a me e nessuno poteva spezzare questo vuoto.
Oh, scusate, non mi sono presentato. Il mio nome è Røl Van Der Klaus e ho venticinque anni. Studio medicina in Danimarca e la mia specializzazione sarà oncologia. O almeno mi piacerebbe che sia quella, ma non so se sopravviverò abbastanza per poter diventare ciò che mi sono prefissato.
A Copenhagen gli ospedali sono molto avanzati e non hanno problemi di alcun tipo, ma se c'era una cosa che non avevano era una terapia adatta per potermi guarire. Mi sembrava di essere l'unico a non avere una possibilità di vivere e questo era frustrante.
-Arrivederci dottore-, sbiascicai, ancora nei miei pensieri e mi alzai dalla sedia.
Quando richiusi la porta dietro di me, mi sentii libero da una prigione inesistente, ma che mi incatenava alle mie più oscure incertezze e paure. Rimasi appoggiato alla porta, quando mi sentii chiamare da una voce famigliare: -Hey Røl! Da quanto tempo non vieni a trovarmi?-.

Era Valentine Sersen, un ragazzo di circa vent'anni, considerato il prodigio del flauto traverso. Aveva ricevuto un posto d'onore alla Filarmonica di Vienna, quando gli dissero che aveva un glioblastoma multiplo e che la sua vita sarebbe finita da lì a sei mesi. Contro ogni aspettativa, aveva passato i sette mesi e avevamo stretto amicizia subito. Quando ero sotto trattamento, è stato una parte fondamentale per me e non lo avrei mai dimenticato.
-Valentine! Come stai oggi? L'altro giorno mi hanno detto che non potevo farti visita, perchè eri stato male!-, mentre lo dissi, gli andai incontro e lo abbracciai: -Non dovresti essere fuori dal letto, sei un pazzo!-.
-Oh ma dai! Avrò vomitato una sola volta e poi mi sono addormentato pesantemente, non sono stato così male-. Non so come facesse a ridere nelle sue condizioni. Era evidente che era molto più forte di me emotivamente e io lo stimavo per questa parte del suo carattere.
Ci staccammo dall'abbraccio e ci guardammo negli occhi. Lui notò subito i miei occhi lucidi e il suo viso si incupì.
-Cosa ti hanno detto? Perchè quella faccia?-.
-La chemio non funziona più. La leucemia è avanzata troppo e a meno che non si trovi un donatore entro una settimana, allora sarò perso. Morirò entro un anno-.
Le lacrime scesero giù come un fiume in piena che straripava. 
-Non ce la faccio più a lottare Valentine, sono stanco, ma allo stesso tempo non voglio morire! Ho un sogno e non concepisco di non poterlo raggiungere!-. Lanciai lo zaino contro il muro per la rabbia repressa che avevo da tempo.

Valentine assistì alla scena avvilito, ma con sguardo impenetrabile che mi osservava. Si avvicinò e mi disse: -Allora non morire, Røl. Vivi per il tuo sogno, fallo per te stesso e per dimostrare ai dottori che uno stupido cancro non può batterti solo perchè è in te-, mentre lo disse, mi girò verso di lui e mi abbracciò. Si strinse così tanto che il cappello gli venne quasi via, facendo intravedere la testa rasata. Era il fratello che non avevo mai avuto, e ciò che aveva detto era una verità sorprendentemente reale, che mi trasmetteva un calore forte.
Lo strinsi a mia volta e nel farlo gli misi a posto anche il cappello.
-Stai attento a come ti muovi o perderai sempre il cappello-.
-E ti preoccupi del mio cappello?-.
Ci mettemmo a ridere insieme, come se fossimo amici da una vita.

Uscii dall'ospedale ancora un po' arrabbiato, ma Valentine era riuscito a scemare giusto quel poco che mi ci voleva per riprendere il lume della ragione.
Decisi di andare in facoltà a studiare, per far passare le ore interminabili che mi si stavano prospettando davanti.
Le aule studio erano sempre piene alle cinque del pomeriggio ed era bello vedere quante persone lottavano per raggiungere il loro sogno e che non si sarebbero mai fermate. O almeno quella era la mia percezione in quel momento.
Mi andai a sedere in fondo, come facevo sempre e presi fuori il libro di oncologia infantile: libro molto interessante e magnetico. Puntavo a prendere il massimo voto in quell'esame e non mi sarei fatto abbattere da niente e nessuno. Questo lo credevo prima della notizia di stamattina.
Ma studiai comunque. Non volevo dare la soddisfazione al cancro di rovinarmi i singoli momenti che mi rimanevano e così aprii il libro.

Persi la percezione del tempo a quanto pare. La signora Åklød suonò il sensore che faceva attivare l'altoparlante che faceva sgombrare in fretta l'aula studio.
-"Si pregano i gentili studenti, di alzarsi e uscire dalla biblioteca. L'orario di chiusura è stato anticipato alle 18 in punto per motivi di restauro nell'impianto di aerazione. Grazie e buona serata."-.
Il libro mi aveva preso talmente tanto, che non mi accorsi di essere arrivato al capitolo 6, come se nulla fosse.
Appena fui fuori dalla biblioteca, ricevetti una chiamata da mia madre. Era strano. Mia madre non mi chiamava mai, a meno che non si trattasse di premi universitari o roba simile.
Nel caso ve lo stiate chiedendo, no. Mia madre non sa del cancro e non glielo dirò mai, tanto non capirebbe e penserebbe che sia una scusa per non studiare più.
-Dimmi-.
-Røl, volevo sapere come andava lo studio! Tra quanto hai l'esame? Spero davvero che stavolta sia tu il primo della classe!-. Il suo tono entusiasta mi dava il voltastomaco. Le avrei voluto sbattere il telefono in faccia, ma il carattere accomodante l'ho preso da mio padre e le risposi: -Tra un mese. Scusa, ma ho un'altra chiamata. Ci sentiamo-.
Le misi giù. Ogni volta che le parlavo, la mia giornata diventava improvvisamente schifose e cupa.
Il telefono squillò ancora e lessi il nome di mia madre. Cosa voleva ancora?
-Cosa vuoi ancora? No, non ho preso premi in questo periodo e no, non mi sono distinto in nessuna materia in particolare!-
-Røl, il vero motivo per cui ti avevo chiamato prima era perchè ho ricevuto una chiamata dall'ospedale.
Mi hanno chiamato per una possibilità di guarirti dal cancro-. Finalmente sentii l'impotenza nella sua voce. Il fatto che qualcosa non fosse andato secondo i suoi piani, le dava fastidio e non le permetteva di fare niente. Soprattutto il mio cancro, che per lei era inesistente fino ad ora.
-Che novità sarebbe?-. Decisi di continuare con freddezza. Il mio obiettivo non era farmi compatire, ma farle capire che non poteva girare tutto intorno al suo egoismo.
-Solo questo hai da dirmi? Neanche uno scusa per non avermi detto niente?-.
-Tu non meriti le mie scuse e ora dimmi di questa novità! Ora!-.
Urlai così forte, che due uccellini volarono via e uno di loro, lasciò un regalino sulla mia giacca.
Era ovviamente una giornata NO.
-Ha... vieni a casa e te la dirò-.
E riattaccò.
Non volevo parlarle, ma il fatto che lei avesse novità sul mio cancro, mi obbligava ad andare nell'ultimo posto sulla terra dove volevo stare: a casa.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 27, 2017 ⏰

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