Capitolo undici.

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1 Luglio 2013, Doncaster.

Il viaggio di ritorno verso Doncaster è stato il più lungo di tutta la mia vita, appena mi appisolavo le immagini di un Louis morto, scheletrico e spento, circondato da polverina bianca, mi saettavano davanti agli occhi, e ogni volta mi svegliavo urlando, con le mani dolci di George che mi accarezzavano, cercando di farmi calmare. Una volta capito che dormire non era davvero possibile, ho alzato la musica cercando di zittire i pensieri, ma anche questo era del tutto inutile, visto che una canzone parlava di quanto fosse straziante la perdita di qualcuno che ami, l'altra di come i suoi occhi brillavano di una luce magica appena vedevano il proprio amato, e l’ultima- che ho interrotto a metà- di come sia bello ritrovare un amore perduto. Alla fine ho optato per starmene lì, immobile, con la mano di George intrecciata alla mia, sulla mia coscia, con i miei singhiozzi a riempire l'aria, perchè contro le pupille io vedevo le immagini della notte precedente e della mattina, quell'aria di vuoto dentro i suoi occhi, quel tutto che si era annientato in nulla, ma da quello non potevo scappare, perchè era la realtà, e per quanto tu possa scappare, per quanto feroce sia la barricata che tu hai creato fra il Mondo vero e il tuo universo, la realtà ti verrà a scovare sempre. Ed era tutto registrato in loop nei miei occhi, appena tiravo un sospiro di sollievo perchè finito, le immagini ritornavano più nitide di prima contro le palpebre chiuse: il non avermi riconosciuto, il bacio rude con Zayn, l'andatura traballante, gli occhi morti, e poi il barlume di speranza che avevo sentito quella mattina, quando aveva sussurrato il mio nome con gli occhi che si tendevano in un mezzo sorriso, e poi ancora il buio, lui che annullava se stesso, che colpiva me con la forza delle parole, lui che non sapeva dov'era Zayn, lui che aveva passato la notte con un altro ragazzo, un certo Nick, e lui che una volta bevuto il caffè mi aveva pregato di andarmene, perchè aveva bisogno di riposare. E ogni fotogramma di quel maledetto film, mi ha portato a venire qui, nel nostro parchetto a piangere lacrime ancora più amare. Perchè se in macchina piangevo per ciò che il mio migliore amico era diventato, adesso piango per non aver fatto nulla per impedirlo.

Perchè chi ti ama, chi ti ama davvero dovrebbe esserci sempre, nonostante i lividi, nonostante il sangue, perchè chi ti ama dovrebbe esserci prima di se stesso, prima di te stesso. Ed io non c'ero stato, io non ci sono stato. Avevo promesso a lui, ma soprattutto a me, di far di tutto pur di vederlo sempre felice, ed invece adesso sono spettatore passivo di come la tristezza, la solitudine, o qualsiasi altra paranoia lo ha trasformato. E piango avvolto nel mio giaccone da quattro soldi tutte le lacrime di cui lui si sarebbe vergognato, quelle che ha sempre trattenuto, ma che si divertiva ad asciugare dai miei occhi, con dei gesti probabilmente automatici ma infinitamente dolci, che facevano calmare me e lui. Perchè quello che sta diventando, quello che è diventato, non è un cambiamento così radicale come fingo di pensare, il barlume di follia si è annidato nelle vene, fra i muscoli, tra le ossa da quando é nato, perchè se c'è una cosa che tutti hanno sempre riconosciuto a Louis, oltre il suo essere sfrontato, stravagante e spesso narcisista, è il suo essere perfetto. Era il bambino perfetto perchè piangeva raramente, non faceva mai i capricci, si lavava sempre i denti, era il ragazzino perfetto, che amava la scuola, teneva in ordine la camera, aiutava la mamma con le sorelle minori, era il ragazzo perfetto perchè si era diplomato a pieni voti, aveva trovato un lavoro di successo, aveva una vita a cui tutti ambivano, ma l'uomo, l'uomo che poteva essere perfetto senza sforzarsi nemmeno tanto, ha voluto esagerare, perchè voleva superare la perfezione, non voleva essere bello, voleva essere il più bello, non voleva essere famoso, voleva essere il più famoso, non voleva essere perfetto voleva essere un Dio, e come Icaro si bruciò avvicinandosi troppo al Sole, così Louis Tomlinson è caduto troppo preso dalla sua ambizione, che vera ambizione non è stata mai, che l'ha portato troppo vicino alla pazzia. Una mania che lo fa sentire ancora inopportuno, perchè io ricordo i momenti in cui prendeva a parolacce il suo corpo ed io lo sentivo attraverso la porta del suo bagno, ricordo quando giravamo interi negozi per trovare una camicia che non gli mettesse in risalto la pancia, ricordo il suo sguardo quella volta alla fashion week. Ma ricordo ancora più nitidamente la soddisfazione nei suoi occhi quando il pantalone gli cadeva a pennello, quando qualcuno gli faceva un complimento, quando iniziò a parlarmi della moda come un vero lavoro e non più come una cosa impossibile, perchè si è sempre rialzato, dopo ogni caduta era ancora più fiero, ancora più bello, si rialzava mano nella mano con me, e poi prendeva di nuovo il volo, donandomi saltuariamente pezzi di paradiso. Era perfetto il mio migliore amico, Louis è ancora perfetto ma per quel mondo non basta, per le sue paranoie non basta, per il suo cervello non basta, e questo non lo porterà solo a cadere, ma a disintegrarsi, schiacciato dal peso di tutti i suoi pensieri, delle sue aspettative, delle migliaia di foto che ama e odia in modo così distinto. E solo adesso mi rendo conto che, chissà da quanto tempo, le lacrime non scorrono più lungo le mie guance, e si potrebbe facilmente pensare che abbia, finalmente, smesso di piangere. Ed invece no, le lacrime continuano a rigarmi l'anima, in un'infinita e alquanto desolata cascata di rimpianti. Potevo non farlo cadere, potevo farlo rialzare dopo ogni passo falso, adesso invece dovrò scavare, armarmi di pazienza e recuperare il suo corpo dal burrone in cui si è volutamente buttato, ma lo farò, sia l'ultima cosa che faccio.

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