"Abigail, è ora!" grida mio padre, bussando rumorosamente alla porta della mia stanza.
Infilo la testa sotto il cuscino, protestando con parole impastate dal sonno.
"Abigail, non lo ripeterò!" insiste.
Stavolta lancio il cuscino contro la porta.
"Raccogli il cuscino prima di venire a colazione" conclude.
Sospiro. Odio la mattina. Solo una cosa mi dà la forza di alzarmi.
Infilo un paio di jeans neri e una felpa rigorosamente a maniche lunghe.
"Sei in ritardo" sentenzia mio padre.
Guardo l'orologio squadrato, poggiato vicino al timer per cucina sul ripiano della credenza.
"Sono solo le sette e un minuto" rispondo sulla difensiva.
"Quindi sei in ritardo di un minuto" insiste.
"Possiamo fare colazione?"
"Ti riferisci alla stessa colazione che per colpa tua verrà servita con un minuto di ritardo?"
"Sì, e se questa stupida conversazione continuerà, sarà servita con due scandalosi minuti di ritardo" esclamo.
Mi siedo di fronte a lui e, tenendo le mani sotto il tavolo su cui campeggiano uova strapazzate, toast, succo d'arancia e caffè, comincio a tormentarmi una pellicina. Sento con piacere la sottile fitta di dolore che aumenta mentre spingo sul minuscolo lembo di pelle.
"Non rispondermi indietro, Abigail!" scatta. "Sono tuo padre!"
"Davvero? Non me ne sono accorta!"
Ora la pellicina si è staccata completamente e al suo posto c'è una piccola scia rossa di sangue che contrasta con il verde dello smalto.
"Vattene" sibila mio padre. "Vai a scuola e oggi evita di farti vedere."
Mi alzo, afferro lo zaino e le chiavi ed esco sbattendo la porta. Respiro a fondo e, soffocando un urlo in gola, comincio a scendere le scale verso il seminterrato.
Il garage di Michael è il più piccolo del condominio ed è praticamente inutilizzato. Michael non ha l'auto, lui chiama i taxi; e non ha ricordi da stipare in un baule, nulla che possa ricordare la sua giovinezza, qualche follia adolescenziale, la maglietta di un concerto, la foto del suo primo ballo al college, se mai ne ha avuto uno. Sembra essere venuto al mondo così, come un alieno che nasce già grande e resta così com'è; anche il modo di vestire, da che ricordi, è sempre lo stesso.
L'unico ospite del garage è una vecchia, cigolante bicicletta verde. Adoro la mia bicicletta, è l'unico pensiero che mi convince ad alzarmi ogni mattina. Ci salgo e comincio a pedalare e man mano che prendo velocità lo sforzo diminuisce. Andare in bicicletta per me è come volare: l'aria che ti scompiglia i capelli, sfrecciare senza toccare terra con i piedi, la sensazione di leggerezza. E' bello immettersi nel traffico della città e zigzagare tra le auto quasi ferme in coda. Mi fa sentire superiore.
Sorrido. Rido. Forse è l'unica risata della giornata, ma va bene così. Questo momento è troppo bello per pensare alla realtà.
D'altronde la vita è solo un eterno fuggire da sé stessi, fuggire dagli altri, e non fermarsi a vedere il fallimento della propria vita.
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Red as Blood, Red as Wine
General FictionAbigail ha sedici anni, una madre assente, un padre freddo e distaccato, un amico molto particolare e una lametta con cui si ferisce spesso per scappare da una vita che odia. Cameron ha diciotto anni, una madre che l'ha abbandonato, un lavoro che od...