Prologo

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Quando iniziò a piovere, Karles doveva ancora raggiungere il luogo nominatogli dal fratello nella missiva. Mancava poco. Alzò lo sguardo dal terreno accidentato notando che gli alberi, finalmente, stavano iniziando a diradarsi. La pelle aveva iniziato a formicolare non appena aveva accettato di incontrare Octavius. Il senso di pericolo che avvertiva però era per lo più infondato, certezza che non l'aveva risparmiato davanti lo sguardo circospetto della compagna, che poche ore prima l'aveva salutato con apprensione. Kerkira non si era mai fidata e questo improvviso slancio da parte sua, non aveva fatto che aumentare incertezza e dubbio riguardo l'opinione che ormai da anni covava per il fratellastro del compago.                                                                            Fissò lo sguardo verso gli edifici che sorgevano un centinaio di metri più avanti. Ormai l'acqua gli aveva impregnato i vestiti, e i capelli -ormai troppo lunghi- ricadevano sulla fronte e gli occhi divisi in ciocche gocciolanti, costringendolo a spostarli continuamente. Per quel che riusciva a scorgere, si trattava di quella che con tutta probabilità era stata una piccola cittadina industriale; anche se in quel momento delle decine di edifici risalenti a chissà quanto tempo prima, ne rimanevano pochi, dai tetti sfondati e le macerie diroccate. Il lego marcito dei telai e delle imposte era per lo più a terra, impregnato di umidità e pioggia, o pendeva tetro dagli antri bui i quei buchi che dovevano essere stati scorci della vita che scorreva in quel luogo dimenticato da Dio. Karles si sentiva sempre più irrequieto, era da tempo che non incontrava Octavius. Da quando il loro padre l'aveva fatto allontanare. Non gli era mai stato detto il motivo, del resto era ancora molto giovane quando tutto era successo. Avevano sostenuto in molti, fosse stato perché non era un sanguepuro, ma Karles ne aveva sempre dubitato. Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Ecco qual era il detto, quindi, anche se quello di cui si trattava era suo fratello, dopo tutti quegli anni non poteva dire di conoscerlo.          Si mise in ascolto, cercando di percepire qualcos'altro rispetto lo scrosciare infinito della pioggia, ma niente. Aguzzò la vista ed iniziò a fare il giro. Avrebbe fatto di tutto pur di tornare a casa dalla sua famiglia, non poteva permettersi di abbandonarli proprio in quel momento. Kerkira era di nuovo incinta. Sola, con un bimbo piccolo -e un altro in arrivo- in quel mondo sarebbe stato per lei, per loro, difficile e pericoloso.                                                                                                                   Aveva un paio d'ore prima che i suoi uomini venissero a cercarlo. Sperava non fosse necessario. Il temporale iniziò a tuonare, illuminando per pochi istanti la pianura circostante. Mise finalmente piede sulla vecchia strada asfaltata, dove buche ed erbacce ingiallite, non facevano che rendere più tetro e degradante il nulla che gli si stendeva tutt'attorno. Vecchi pali della luce impiantati su un lato, sbilenchi a causa del permafrost, erano rimasti bui, con le lampadine bruciate e i vetri rotti che ad ogni passo scrocchiavano sotto gli stivali. Continuò a camminare, macinando sotto le suole di cuoio molti metri, fino a trovarsi all'interno di un grande piazzale. Alla fine, dall'unica auto presente, vide uscire qualcuno. Era un maschio, alto, anche se non quanto lui, si accorse mentre si avvicinava. La violenza di quel diluvio si era attenuata, rimaneva una leggera pioggerellina fastidiosa. Un lampo illuminò a giorno, rivelando a Karles i lineamenti di quello che riconobbe essere il fratellastro. Era invecchiato molto o forse era la lunga barba a farlo sembrare, ma a parte questo pareva stare bene. Gli abiti quasi completamente asciutti, erano tenuti bene, puliti. Non se lo aspettava, aveva sempre pensato a lui con preoccupazione, a come potesse essere la sua vita dopo essere stato cacciato.

<<Credevo non arrivassi più>> gli disse l'altro arrivando ad abbracciarlo. <<A piedi? Dio, sei tutto bagnato>> Octavius  lo strinse forte prima di allontanarsi sorridendo. << Beh, devo dire che essendo l'amato erede di Solon, credevo potessi usare almeno un po' di agevolazioni>>

<<Se avessi preso una macchina, mi avrebbero come minimo chiesto dove dovessi andare. Papà non sarebbe d'accordo>>

<<Quel vecchio...>> scosse la testa <<e tu come stai fratellino?>> gli diede una pacca sulla spalla, continuando a sorridere.

<<Non c'è male>> Con la coda dell'occhio, Karles vide qualcosa che si muoveva tra le macerie alla sua destra. Girando il capo però, trovò solo la triste immobilità di quel luogo. Nient'altro, se non la sensazione di disagio che non accennava a diminuire.

<<Vieni, andiamo dentro a ripararci>> lo prese per le spalle Octavius, spingendolo gentilmente ad entrare all'interno dell'unico fabbricato che notava, avere ancora il tetto. Mentre entravano vide che all'interno era illuminato da una lampada a cherosene. Pareva una lucciola in quell'abisso di oscurità che era quel posto.

<<È qui che sei stato?>>

<<Dio no, ti pare?>> rispose ridendo mentre si allontanava di qualche metro. << Bevi qualcosa?>> gli chiese accennando alla fiaschetta appena estratta dalla giacca a vento.

<<No, grazie>> non gli interessavano tutti quei convenevoli. <<Perché mi hai contattato, Octavius?>>

<<Come perché. Sei mio fratello, volevo vederti dopo tanti ani e sapere come stai>> perso il sorriso, cercò di mascherare l'incertezza scuotendo il capo.

<<Dopo più di vent'anni, mi scrivi di incontrarci solo per sapere come sto... avanti, mi credi così stupido?>>

Il fratello mosse un passo verso di lui <<No, ovviamente no. Quello stronzo non mi avrebbe mai permesso niente>> scosse di nuovo la testa con un amaro sorriso disegnato sulle labbra. <<Per mia fortuna però, il suo cucciolo è talmente ingenuo da venire qui, in questo buco, dopo una sola lettera di merda>> il suono della sua risata riecheggiò nel caseggiato. Era lugubre e distorta dall'eco tanto quanto l'espressione del suo viso, su cui la lampada produceva ombre macabre simili a demoni danzanti. Octavius aprì in alto le braccia come ad abbracciare tutto l'ambiente, ma stava solo accogliendo -nella maniera teatrale che lo aveva sempre distinto- quella che ancora una volta gli parve solo come un'ombra. La forma umanoide era allungata sulle pareti illuminate dal riverbero tremolante. <<Fratellino, ti presento Vargas. Lui è l'ultima cosa che vedrai>>

Ma non fu così, l'ultima cosa che vide mentre gli occhi perdevano la loro lucentezza, mentre la sua anima cercava con tutte le forze di non abbandonare il corpo morente e il suo sangue scorreva sul pavimento lurido, vide il fratello che se ne andava, ma il suo pensiero era tutto per la sua Kerkira, l'amore della sua vita, che stava lasciando senza alcuna protezione.

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