Capitolo 1

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Ho davvero bisogno di una pausa. Ogni tanto una persona normale ha bisogno di allontanarsi da tutti i pensieri che vagano nelle loro teste. Potrei dire lo stesso, ma non sono così. Vengo considerata pazza da chiunque mi trovi davanti. Anche se probabilmente una persona normale non farebbe questo.
《Non stare troppo vicino alla televisione.》mi rimprovera Grace continuando a passare l'aspirapolvere su quel tappeto mal ridotto che popola ogni centimetro di questa minuscola ed insignificante stanza.
Chiudo gli occhi. Odio quando mi tratta come una bambina piccola. Avrò anche bisogno di aiuto, ma so cavarmela, in qualche modo.
《Non dormire è quasi ora di cena.》continua con le sue asfissianti lamentele. Apro gli occhi di scatto e me la ritrovo davanti, con lo sguardo fisso sul mio. Potrei andarmene senza parlarle ma sono troppo stanca per alzarmi.
《Mi hai sentita?》corruga la fronte in attesa di un altra risposta.
Annuisco.
《Stasera saremo solo io e te.》annuncia. Sembra preoccupata quanto me all'idea.
《E lui dov'è? 》 chiedo curiosa.
《Non ti riguarda. Ma ha detto di darti questo.》dice porgendomi un bigliettino bianco ripiegato più volte su se stesso e lo prendo.
Le mostro un sorriso tirato, solo per farla andare via, senza successo ovviamente.
《Io vado di sopra.》annuncio. Mi alzo di scatto e raggiungo la mia camera.
Mi accovaccio accanto alla finestra e apro il bigliettino. Al suo interno è presente una frase:
"A volte le cose sono proprio come sembrano, ecco tutto."
– Charles Bukowski.
Lui mi manda in continuazione frasi di questo genere, forse per far arricchire la mia cultura, o come dice Grace, per "trovare un modo semplificato di farmi studiare."
Lo ripiego, prendo del nastro adesivo poggiato sulla destra della mia scrivania e lo attacco alla parete.
Ritorno alla finestra e scorgo il nostro vicino, giocare con suo figlio, Tommy. Lo guardo e sorrido. Ho sempre amato i bambini in tutta la loro innocenza.
Stanno osservando il cielo. Colta alla sprovvista io e Abram incrociamo gli sguardi e la sua espressione cambia totalmente. Prende Tommy e lo trascina quasi con violenza verso l'ingresso del suo appartamento ammobiliato in stile vittoriano.
Faccio questa impressione alle persone?
Mi siedo sul letto. Fisso il vuoto davanti a me e dopo nemmeno un minuto mi getto all'indietro. L'impatto con il materasso è immediato. È come un bicchiere d'acqua fresca in un'afosa giornata estiva.
《La cena è in tavola.》annuncia mia madre aprendo a metà la porta. Non appena la richiude alle sue spalle scoppio in una risata. Mi diverte stare qui. Non bisogna essere delle persone normali per fare le cose più comuni.  Mi alzo, apro la porta e mi dirigo verso la cucina, o l'angolo "dei cibi bruciati" come lo chiamava mia sorella.
Mi siedo al lato destro del tavolo.
Grece apre il forno e vi estrae un grande piatto dal colore verde.
Lo posiziona davanti a me porgendomi una forchetta. Alzo un sopracciglio con aria interrogativa. Prendo la forchetta e inizio a infilzarla in questa poltiglia deforme dall'odore nauseante.
《Mangialo.》cerca di sorridermi.
Lo porto alla bocca,  controvoglia.
Devo sputarlo. Il sapore amaro si divaga al primo impatto con le mie papille gustative.
《Ordini della dottoressa Watts.》esordisce.
La dottoressa? Allora posso solo immaginare la quantità di medicinali ridotti in polvere e nascosti negli angoli più oscuri di questa pietanza. Sempre se si può definire così.
《Ah...》distolgo lo sguardo《quanti farmaci ci ha messo?》domando.
《Farmaci? Oh non essere sciocca Clare.》
《Non lo sono. So quello che dico.》continuo a tenere lo sguardo basso.
《Ah si?》ridacchia《Allora, se sai quello che dici, perché ti porto tutti i sabati agli appuntamenti dalla psichiatra? Eh?》le pulsa una vena sulla fronte.
《O-okay. Ho esagerato. Ora mangia.》continua a parlarmi come se non fosse successo niente. Vorrei alzarmi. Urlarle in faccia e dirle di smetterla di trattarmi così perché conosco le condizioni in cui mi mi trovo, conosco il mio stato mentale e non ho bisogno di lei per ricordarlo.
Metto tutto quello che posso in bocca per evitare di insultarla. Appena finito vado in bagno. Chiudo la porta a chiave e mi posiziono davanti allo specchio. Sono uguale a tutti i giorni eppure sembro così diversa ora.
Sento i medicinali fare effetto.
Lo stomaco inizia a stringermi e il respiro si fa corto e affannoso.
Mi siedo per terra con le gambe incrociate. Ecco lo sento: il dolore sta tornando. La testa inizia a pulsare e tutt'intorno a girare. Devo evitate di cacciarlo fuori. Ma è impossibile.
Mi accovaccio vicino al gabinetto, infilo due dita in bocca e spingo. Sento le gola bruciare. Butto fuori tutto mantenendomi i capelli in una coda. Mi alzo. Tiro lo sciacquone e mi appoggio alla parete. Ho il naso ghiacciato. E per di più in bocca ho un sapore ancora più disgustoso. Mi getto  un po' d'acqua fredda sul viso. Il sollievo è immediato.
Prendo un asciugamano e mi asciugo. È ruvida e fa il solletico. La rimetto al suo posto. Esco dal bagno e vado nel mio rifugio.
《Clare?》la sento avvicinarsi. Apre la porta e si avvicina con un bicchiere d'acqua in mano con una pasticca color rosa carne nell'altra.
Mi viene di nuovo da vomitare. Non riesco a guardarla.
Me la porge. Io scuoto la testa.
《Ti prego non...》inizio.
《Non cominciare. Vuoi guarire si o no?》m'interrompe. Lei pensa che con qualsiasi pillola o con la quantità giusta di medicinali io possa "guarire".
《No. 》 dico.
Lei fa una smorfia. Non riesco a capire bene la sua espressione. La fisso. È sempre stata più vecchia rispetto alla sua età e lo stress per via del lavoro si vede: ha due profonde occhiaie sotto gli occhi, le quali cerca sempre di coprire con un po' di trucco. Crede che in questo modo non si notino. Ai lati degli occhi color nero carbone si intravedono delle rughe sottili, quasi inesistenti. Ha sempre avuto un naso sproporzionato per il suo volto e delle labbra troppo sottili. 
《Bene.》sbatte il bicchiere sul comodino, facendo traballare l'acqua al suo interno 《Io mi sono stufata di te. E se questo è il tuo ringraziamento per tutti i soldi che spendo per le tue terapie, prenderò dei provvedimenti.》si passa violentemente una mano tra i capelli ed esce sbattendo la porta alle sue spalle.
《Vaffanculo.》sussurro quando ormai sono sicura che non mi senta.
Iniziano a scendermi le lacrime. Scorrono violente sulle mie guance come producendo dei solchi immaginari. Stringo le ginocchia al petto e cerco di soffocare un gemito. Non voglio che sappia che le sue parole mi fanno star male più dei medicinali.
Chiudo gli occhi.
Continuo a ripetermi che tutto questo passerà. Continuo a ripetermi di non essere io il problema ma una parte di me, chissà quale, non fa altro che ripetermi che è colpa mia.
Sento aprirsi la porta. È tornata a darmi il colpo di grazia?
Apro leggermente un occhio e vedo lei.
L'ombra. Il battito del mio cuore è martellante. Credo che tra pochi secondi mi perforerà il petto.
La fisso. E deduco che lei stia fissando me, difficile a dirsi dato che ha il volto completamente vuoto.
Deglutisco a fatica.
Sento parole confuse dentro la mia testa.
Percepisco un unica frase: "È ora."
Ricordo le conversazioni con la dottoressa Watts. Lei dice che sono frutto della mia immaginazione, un disturbo ossessivo-compulsivo.
《Non è reale. Non è reale.》mi ripeto questa frase per farmela entrare in testa ma non ci riesco.
La vedo muoversi verso di me.
Mi alzo di scatto e corro verso lla finestra. Cerco di aprirla ma è chiusa dall'esterno.
Sento la stanza ghiacciarsi. Il vetro si appanna e ai lati appaiono delle piccole crepe.
《Ti prego...》inizio a sussurrare sperando che se ne vada.
Mi giro e me la ritrovo davanti. Alza un braccio e richiude pesantemente le dita appuntite sul mio collo. Mi sento mancare il respiro. Urlo. Urlo con tutto il fiato che ho nei polmoni.
La sento. La sento attraversare il mio corpo. La sento impossessarsi di me. Mi sta uccidendo dall'interno. Sento lo scatto di una serratura e le luci si spengono.
Mi sento come appiattata in una stanza senza una via di fuga. Mi sento in trappola. La luce si riaccende e sono sola. Il cuore continua a battere velocemente.
Mi giro verso la finistra: le crepe sono sparite.
Non riesco a trattenermi dal piangere.
Il dolore sembra diventato il mio passatempo preferito.
Mi sdraio sul letto, sotto le coperte. Le alzo fino alle orecchie e stringo gli occhi.
Sono gelida sotto questo ammasso caldo di stoffa. Sto tremando.
《Ora dormi... Ora dormi...》sussurro a me stessa.
Questa è la punizione per tutte le cose terribili che ho commesso e non esiste un momento nel quale io non sia perseguitata dalle mie paure.

La mia lettera DDove le storie prendono vita. Scoprilo ora