1. unmöglich - impossibile

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Disclaimer: i personaggi che compariranno nel corso della storia sono fittizi (eccezion fatta per la menzione di personaggi storici quali Hitler, Himmler e così via...). Anticipo che le vicende saranno narrate dal punto di vista di un personaggio neutrale che si muoverà "tra le linee nemiche", per cui frasi, atteggiamenti, idee che riporterò saranno quelle di chi credeva d'esser dalla parte del giusto, senza filtri, unicamente allo scopo di renderli/e più credibili all'interno del contesto trattato. Ben lungi da me l'intento apologetico, tutt'altro; un po' come fece Hannah Arendt, non fornirò alcuna giustificazione all'ingiustificabile orrore che fu, ma allo stesso tempo cercherò di capire come fu possibile realizzarlo, analizzando le motivazioni delle diverse parti chiamate in causa. 

Qui il banner che realizzai quando la storia si intitolava ancora: "Canone inverso - Behind enemy lines". 

 

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Noia. Ecco tutto. Mi rendo perfettamente conto che potrei usare numerosi altri termini per descrivere ciò che provo in questo momento, ma non posso negare che la mia vita sia solamente un circolo vizioso di noia, noia e ancora noia.

Asociale. Forse è questo il termine che mi descrive davvero; questo perché mi risulta difficile trovare una qualunque forma di affinità con i miei compagni di classe - che, peraltro, ho sempre ritenuto insipidi e privi di carattere - ma, essendo loro ritenuti "normali" nel duemilaquindici, deduco di essere io la "strana." 

Diversa. Un altro termine che mi descrive. Sono sempre stata considerata ombrosa, apatica, secchiona magari, caratteristiche che nella mia società ti rendono praticamente un inetto; le persone davvero non capiscono e non potranno mai capire come ci si possa sentire ad essere tale. Talvolta, mi capita di ritrovarmi a pensare: "se ci provassi, se mi sforzassi di assomigliare agli altri... Mi accetterebbero?" Poi, il momento dopo, mi prenderei letteralmente a ceffoni per questo mio assurdo pensiero. Io non voglio essere come gli altri, sono così come sono e nessuna critica riuscirà a cambiarmi. Riflettendoci bene, non ho nemmeno interesse nel farlo: chi ha stabilito che ciascun individuo debba per forza omologarsi agli altri? Ogni era ha i suoi idoli, ma mai come in quella contemporanea si avverte il peso di non rispecchiare quei canoni di perfezione propinati da TV e mass media. Trovo la nostra società ingiusta e superficiale e, proprio per questo, mi sono ritrovata più volte a rimuginare su ciò che avevo sentito raccontare dal nonno, che spesso lamenta la carenza di valori sopravvissuti fino al secolo scorso. È capitato che mi sia addirittura ritrovata a immaginare come sarebbe stata la mia vita in un'altra epoca; in quel caso, credo che le cose sarebbero state diverse e io, io...

Niente. Nemmeno a me stessa riesco ad ammetterlo. Maledetto orgoglio, rovina mia, non mi sei proprio di alcuna utilità. Hai condizionato la mia vita e modificato il mio carattere a tuo piacimento, rendendomi molto più cinica di quanto avrei dovuto essere. Ma io ne sono felice, in fondo.

"No feelings, no pain." Ho sempre amato questa frase perché, in un certo qual modo, mi rappresenta. Detesto essere costretta a fingere di provare empatia verso l'umanità, perché tutto ciò che sta accadendo, le migrazioni, la povertà, il cambiamento climatico, sono imputabili a noi soltanto e alla nostra infinita crudeltà. Non mi sento di mostrarmi felice se non lo sono, non voglio che qualcuno mi tocchi solo perché viene considerato normale scambiarsi manifestazioni fisiche di affetto. Vivo serenamente nel mio piccolo mondo, tuttavia, persino in ogni mio più bel sorriso traspare un velo di malinconia. Bisognerebbe essere ciechi per non notarlo ma, a quanto pare, hanno perso quasi tutti la capacità di vedere.

Mi domando perché io sia dovuta nascere al tempo del qui e dell'adesso, quando io vorrei solo soffermarmi a osservare le sfumature del cielo in una bella giornata di Sole.
Questo mondo non mi appartiene: nutro odio verso ogni forma di progresso che non riguardi il campo medico, per non parlare della terra marcia che mi è stata lasciata da chi ha depredato il nostro pianeta in nome del "dio denaro".
Sarebbe gratificante vivere in una dimensione in cui possa sentirmi bene con me stessa e so per certo che quella dimensione non si trova qui, in questo pazzo, pazzo mondo.
Vorrei non sentirmi una disadattata, mi piacerebbe talvolta guardarmi intorno, felice di ciò che mi circonda.

Sempre belli i sogni, destinati a restare solamente sogni.

A interrompere i miei pensieri è un rumore che proviene da fuori, al di là della staccionata che mi separa dal noceto. Ci vorrà ancora qualche mese prima di poterle andare a raccogliere, ma preferisco affacciarmi dalla finestra e vedere una fila di alberi senza frutti, piuttosto che una distesa di asfalto.

Non mi accorgo mai di quanto tempo passo a pensare. La TV è ancora accesa e trasmette "Salvate il soldato Ryan". Nonostante lo abbia visto svariate volte, mi spiace di essermi persa i primi venti minuti; non nascondo che i film di guerra siano tra i miei preferiti, una scelta un po' insolita, per una ragazza.

Altro rumore.

Se dovessi prestare attenzione ad ogni singolo suono che avverto, sarei sempre in preda all'ansia. Questa volta però, confesso di star iniziando ad allarmarmi anche io, perché i corvi non producono quel fruscio, quando svolazzano tra le frasche. Scendo dal divano su cui ero sdraiata scompostamente: la luce del sole, man mano che mi approssimo alla zanzariera, si fa sempre più intensa, tanto che devo porre la mano davanti agli occhi e strizzare le palpebre per cercare di vedere qualcosa oltre a chiazze informi di colore.

La rete non mi permette di vedere nitidamente, per cui la faccio scattare, disturbando qualche passero appollaiato sulla steccata. Il giardino, le siepi, i campi...
Non vedo nessuno.
Faccio per voltarmi, ma l'ennesimo fruscio fa crescere in me il sospetto: che ci sia davvero qualcuno?
Corro in cucina per afferrare il coltello più grosso e acuminato del set - come faccio sempre quando ho paura e temo di poter essere aggredita - e brandendolo con una certa naturalezza, dovuta all'abitudine, mi avvicino tentennando verso la stessa finestra sulla quale mi ero affacciata. Ciò che vedo, mi lascia senza parole: un giovane ragazzo sui vent'anni e dalla strana uniforme grigia uggiola dal dolore, toccandosi il capo nascosto da una sorta di elmetto militare. Non si è accorto della mia presenza; barcolla e sembra abbia sbattuto da qualche parte e, sinceramente, è molto buffo a vedersi. Il suo aspetto non è minaccioso e i suoi abiti sono troppo sgargianti per poter essere quelli di un rapinatore. La luce del giorno, non nego, mi tranquillizza sempre un po' sotto questo punto di vista.

Prudenza, è questo che mi è stato insegnato, ma quando lo vedo inciampare su di un ramo e ruzzolare per terra, non riesco a trattenere una risatina.

Dio, dev'essere più imbranato di me...

Il ragazzo, però, se ne accorge e, dopo essersi rialzato da terra, guarda da questa parte. Impossibile che non mi abbia vista.

Sarà stata una bella mossa la mia?



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Angolo autrice:

Buon giorno! Se a qualcuno fosse insorto il dubbio, sì, la storia è già edita (da me) su un'altra piattaforma e con lo stesso titolo, ma apporterò alcune modifiche e la revisionerò per intero. Detto ciò, do ufficialmente il benvenuto a nuovi/e lettori/lettrici :), sperando di potervi tenere compagnia durante questo periodo di "vacanze forzate" #restiamoacasa.



Unsere Schatten - Le nostre ombreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora