I TRE DONI

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Nel momento in cui entrai in possesso della giacca dell'uomo in grigio, ricordo di differenti doni estraibili dalla tasca destra... Erano tre: una spada, una fenice e un mantello d'oro. Volli con me il trio al completo.

La spada era affilata, dotata di un'elsa ornata da particolari elementi, rimandanti un po' ai motivi tipici dell'arte celtica. Impugnandola, mi parve anche abbastanza comoda... o quantomeno leggera. Mi sentii immediatamente a mio agio, incredibilmente sicuro di me stesso e delle mie capacità, come se non dessi la benché minima importanza alle azioni altrui: tutta la fatica dei miei coetanei nel compiere determinate attività costituiva per me un semplice gioco da ragazzi, facilmente superabile mediante un rapido schiocco delle dita di una mano.

Non ci misi molto a comprendere che non era quella la scelta corretta: giunse il giorno, in effetti, in cui avvertii la spada farsi più pesante... quasi insostenibile. La esaminai ben bene, ma non notai alcun mutamento fisico. Qualcosa mi teneva legato a quell'arma... come se potesse rappresentare qualcosa di innegabilmente irrinunciabile, da cui risultava impossibile allontanarsi; peraltro il desiderio di volerne delle altre accrebbe sempre più, fino a quando, insoddisfatto, misi da parte il primo dono, per entrare in possesso del secondo: la fenice. Era una creatura estremamente elegante e straordinariamente "magica", dai toni e le sfumature corporee eccezionalmente sensuali, trasmettitori di un estremo senso di tranquillità e perfezione.

Decisi di prendermene cura in ogni ora e in ogni momento delle mie giornate, pur essendo a conoscenza del suo triste destino. La fenice raggiunse rapidamente la sua fase finale; tuttavia, dopo diverso tempo, dalle ceneri prese vita una nuova "bambina", con le medesime qualità, suscitanti le medesime sensazioni, con i medesimi bisogni.

Mi presi cura anche di quella, ma, nuovamente, dovetti dirle addio. Per la terza volta: la rinascita. Sapevo che la fenice sarebbe rimasta lì con me per sempre e ne ero felice. Ma vederla soffrire più volte (infinite volte) era un dolore per me insopportabile, ardente e straziante. Comprendevo che una vita come quella della fenice poteva sì, rappresentare per l'innocua creatura diverse possibilità, nonché diverse chance da adottare, fino a ritrovarsi dinanzi agli occhi il giusto scenario, in cui avrebbe vissuto un'altra vita. Mi accorgevo degli occhi luminescenti, che imploravano pietà al momento della sua morte: gridavano aiuto, pur essendo a conoscenza delle sue infinite "seconde possibilità". Fui certo che implorasse un momento di riposo... un riposo eterno, che sicuramente io non le avrei potuto concedere in alcun modo, se non abbandonandola. Dissi addio anche al secondo dono.

Estrassi, dunque, il terzo elemento: il mantello d'oro.

Lo indossai e una volta coperte le spalle, mi sentii libero di correre per le strade, libero di compiere innumerevoli percorsi e azioni legalmente "proibite". Nessuno era a conoscenza della mia identità, né aveva il diritto di arrestare la mia corsa per via delle mie spalle coperte, quella volta, non da un essere comune come lo ero io, bensì dalle sensuali sfumature del dorato, capaci di abbacinare chiunque si fosse casualmente trovato sulla mia strada nel corso degli interminabili percorsi, instaurando uno stato di totale confusione e ammirazione per la bellezza della mia esteriorità, la quale mi permetteva in ogni occasione di agire indisturbato senza essere notato, né in volto, né tantomeno nell'anima.

Giunse, tuttavia, anche questa volta, il momento in cui capii di dover rinunciare anche al terzo dono. Il mantello non lo rimossi più, ma mi accorsi della totale indifferenza della gente nei miei confronti nel momento in cui osservai altri miei coetanei indossare mantelli simili al mio... forse anche più affascinanti e di valore.

Era come se fossi improvvisamente ed inspiegabilmente "scomparso"... ma seppi per certo che ciò non era possibile. Cosa era successo, dunque?

La risposta riuscii a darmela nel secondo incontro con l'uomo in grigio.

Egli confermò le mie supposizioni e non potei fare a meno di domandargli in che modo avrei potuto raggiungere la massima soddisfazione.

Mi rispose che non vi era soluzione al dilemma e che anche una banale giacca, come quella che fui costretto a restituirgli, non avrebbe in alcun modo impedito alla società di farci sentire "estranei". Mi guardai attorno: la campagna circostante sembrava cambiata da quando ero entrato in possesso della giacca... e anche la città visibile in lontananza appariva più adocchiabile per qualche strano motivo che non individuai su due piedi. Mi ci volle un po' per comprendere la realtà: mi chiesi come si chiamasse o se almeno fosse stata scorgibile una qualche Statua della Libertà o Tour Eiffel che avrebbe potuto guidarmi nell'individuazione del posto in cui mi trovavo. Non c'era nulla. Compii una rotazione di centottanta gradi e fu lì che avvistai una nuova città a pochi kilometri da lì esattamente identica a quella alle mie spalle.

Tornai con lo sguardo sull'uomo in grigio, in tempo per accorgermi della sua scomparsa.

Ero solo...

I TRE DONI {#Wattys2017}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora