7. Persone sorprendenti e ingredienti speciali

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Quando avevo tre anni, non parlavo ancora e mia mamma terribilmente spaventata da quella mia forma di primordiale mutismo mi aveva fatta visitare dai migliori logopedisti di Shrewsbury, la città in cui ero cresciuta. Proprio quando tutti pensavano non avrei mai parlato,  li sconvolsi  con la mia prima parola alla tardiva età di tre anni e mezzo. Nessuno avrebbe potuto immaginare che da allora non mi sarei più fermata; con il passare del tempo mi ero resa conto di quanto le parole fossero necessarie nella mia vita, molto più di qualsiasi fatto. Ripudiavo l'idea che aveva avuto Caio Tito qualche millennio prima della mia nascita, affermando: verba volant, scripta manent. Non ero solo contraria a questa affermazione, ma avevo per giunta difeso da sempre l'idea che le parole non si possano perdere semplicemente al vento. Avevo lentamente scoperto come esistano migliaia di parole che si definiscono sinonimi, le quali però non erano mai perfettamente identiche nel significato e avevo imparato ad apprezzare ognuna di esse in un dato contesto.

Amavo anche il linguaggio non verbale, quello del corpo, tacito ma rivelatore, e non avevo potuto fare a meno di renderlo padrone della mia vita. Qualsiasi forma di linguaggio era per me degna di nota, e meritava di essere studiata tanto quanto lo può meritare la scoperta dell'America di Cristoforo Colombo.

Questa riflessione si era insinuata dentro di me nei giorni immediatamente successivi al pomeriggio trascorso con Harry e non avevo potuto fare a meno di essere incredibilmente incuriosita da quel nuovo linguaggio, da me totalmente ignorato fino ad allora.

"Allora ti ha detto dove ti porta, il tuo principe Azzurro?" domandò Rosie, mentre sceglieva lo smalto più adatto "Rosso o nero?" tentò poi, per fingersi disinteressata dalla questione. Tolsi lo sguardo dalla rivista di gossip che stavo facendo finta di leggere, mentre distendevo più comodamente le gambe sul suo letto.

"Non è il mio principe Azzurro e comunque non ho idea di dove andremo" le risposi sinceramente, vedendo la sua espressione nascondere un velo di curiosità "in ogni caso, opterei per il rosso" le risposi, per poi ritornare alla rivista dove leggevo dell'inaspettato divorzio tra Angelina Jolie e Brad Pitt.

"Possibile che tu non sia ansiosa, curiosa, terribilmente in attesa che arrivi stasera?" riprese allora, quasi arrabbiata per la mia, a suo dire, indifferenza; la guardai stranita, alzando il sopracciglio destro in un'espressione sicuramente molto eloquente. Mi alzai, poi, dal letto e presi a sistemarlo per evitare rimanesse sgualcito: un'altra delle tante fissazioni che mia madre mi aveva trasmesso.

"Non capisco perché dovrei esserlo" le risposi allora, dopo averla sentita sbuffare per averla ignorata "non nascondo che sono curiosa, ma dovresti sapere non sono quel genere di ragazza che conta i minuti che mancano" mi giustificai, anche se effettivamente avevo poco da giustificarmi.

In effetti, le persone più vicine a me, mi avrebbero descritta come l'essere con meno affettività dell'universo. Per mia indole e anche per il mio trascorso, avevo imparato che spesso gli abbracci e baci sono convenevoli che nulla hanno a che vedere con sentimenti reali e avevo preferito dosarli e riservarli a momenti e occasioni che ritenevo speciali. Stesso discorso valeva per il contatto fisico, per il quale avevo un parere discordante: da un lato lo evitavo categoricamente, dall'altro mi sentivo vittima dei miei desideri più carnali e fisici. Questo non si traduceva in una ninfomania spietata, ma apprezzavo piacevolmente il contatto fisico oculato e mirato.

"A volte mi domando se avremo mai qualcosa in comune" commentò divertita Rosie, mentre sorrideva al cellulare.

"Non credo" risposi certa io "ed è proprio per questo che siamo amiche" conclusi.

*

Quando nel bel mezzo del pomeriggio avevo ricevuto un messaggio da Harry che mi confermava l'ora stabilita, Rosie aveva insistito per aiutarmi a scegliere cosa indossare, consapevolmente pronta ad un mio rifiuto che non era tardato ad arrivare. L'avevo invitata a lasciarmi decidere da me, ricordandole che l'ultima volta che qualcuno aveva deciso cosa dovessi indossare era stato dieci anni prima e che quel qualcuno era stato mia madre. Aveva riso divertita e si era poi dileguata, minacciandomi di divertirmi e "staccare quel cervello che funziona un po' troppo" almeno per una sera; dal canto mio non avevo nascosto un sorriso, annuendo d'accordo con lei.

CANTHARIDE- [H.S. AU]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora