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Quando arriviamo a scuola le persone cominciano a fissarci curiosamente, ed io mi infastidisco. A dire il vero la cosa non mi stupisce, anche perchè a scuola mi hanno sempre visto girare da solo, perciò questa mia entrata in scena assieme ad Emily è un po' una novità.
Mi volto verso di lei, notando con stupore che sembra molto tranquilla, come se non si fosse accorta degli occhi puntati su di noi.
<<Non ti irrita che ci stiano fissando tutti?>> le domando mentre attraversiamo i parcheggi.
Si guarda attorno, corrugando la fronte ma abbozzando un sorriso. <<Perché non sanno farsi i fatti propri? No, non mi importa>>.
Entriamo a scuola ed Emily sale immediatamente su per le scale senza dire una parola. Sto per fare lo stesso, ma qualcuno mi posa una mano sulla spalla.
<<Signor White>>.
Mi volto, incrociando lo sguardo della preside, i cui occhiali sistemati sulla punta del naso adunco le danno un aria più severa di quanto sia in realtà.
Sospiro. <<Che ho fatto, stavolta?>>.
La verità è che le volte in cui ha scambiato qualche parola con me è stato per qualche comportamento scorretto da parte mia, avvenuto all'interno di queste mura.
<<Venga nel mio ufficio, prego>> dice facendomi cenno di seguirla.
Non ricordo di aver fatto qualcosa di sbagliato tra ieri e oggi; per lo meno, non a scuola.
Entro nello squallido ufficio a me molto familiare. Sono stato sospeso tantissime volte sin dalla prima al Liceo ed essere convocato in questo ufficio era per me la conferma che avevo combinato qualcosa.
<<Prego, si sieda>> dice la preside facendomi cenno di accomodarmi davanti alla scrivania.
Scuoto il capo e sbuffo. <<Sto bene in piedi>>.
Il suo sguardo severo mi fa cambiare idea, alchè prendo posto sulla sedia nera di eco pelle.
<<Bene... arriviamo al dunque>> dice incrociando le braccia. <<Ho saputo che sta frequentando la signorina Ray>>.
Dapprima non riesco ad associare il cognome ad alcun volto ma poi, considerando che tra ieri e oggi ho visto soltanto Emily, deduco si stia riferendo a lei. <<Non nel senso in cui crede lei>>.
La preside sospira e mi guarda severa. <<Stando a ciò che si dice in giro la signorina Ray ha passato la notte a casa sua ed io stessa questa mattina vi ho visti arrivare a scuola assieme>>.
Mi avvicino e poso una mano sulla scrivania, confuso e irritato al tempo stesso. <<Non ci stiamo frequentando e comunque, anche se fosse... che importa?>>.
<<Forse, signor White, lei non sa che la signorina Ray ha vari problemi... familiari>> dice la preside tirandosi su e lisciandosi le pieghe della gonna con le mani, passeggiando davanti alla finestra, pensierosa.
Problemi familiari? Onestamente non ne sapevo nulla, ma sospettavo qualcosa del genere nel momento in cui Emily non è voluta rientrare a casa sua, ieri notte. <<No, non lo sapevo>>.
<<Bene>> dice, guardandomi. <<Preferiremmo per il suo bene, visto e considerato che forse quest'anno riuscirà finalmente a diplomarsi, che lei frequentasse persone diverse>>.
Sciocco le labbra. <<Diverse?>>.
<<Si>> ribatte. <<Visto il suo andamento scolastico sarebbe meglio la compagnia di qualcuno che abbia un influenza positiva su di lei, così da poterla aiutare a studiare, o che comunque non vada ad interferire ulteriormente in un percorso di studi già critico da tempo, ormai>>.
Improvvisamente mi sento di difendere Emily, avvertendo la rabbia ribollirmi dentro. <<A dire il vero, se mi permette, non credo assolutamente che Emily potrebbe avere cattive influenze su di me. Semmai è più probabile accada il contrario>> dico, riferendomi al fatto che tra i due la compagnia meno raccomandabile è la mia.
<<Senza troppi giri di parole : suo padre è alcolizzato e la picchia spesso, e la madre...beh, diciamo che non ha una gran bella reputazione in città>> mi spiega la preside, tornando a sedersi di fronte a me.
Non sapevo niente di tutto ciò, ovviamente. <<Beh, mi dispiace... ma ancora non capisco cosa c'entro tutto questo con un eventuale rapporto tra me ed Emily>>.
<<Diciamo che dall'anno precedente lei è riuscito a tornare sulla retta via e ora... non vorremmo che frequentasse persone di questo tipo>> dice.
Mettendo da parte il fatto che parla al plurale, nonostante sia lei l'unica a pensare determinate cose, mi alzo in piedi, arretrando di qualche passo e mordendomi il labbro, nervoso. <<Giudicate le persone in base alla famiglia dalla quale provengono?>> chiedo, alzando di poco il tono di voce. <<Io sono la prova lampante del fatto che provenire da una buona famiglia non implica necessariamente essere una persona... apposto>>.
E questo l'ho sempre pensato; a vedere i miei genitori si potrebbe pensare ad un figlio modello, bravo a scuola, tranquillo e con principi sani, eppure io non sono niente di tutto ciò, così come mio fratello.
Mi rendo conto che ho messo in difficoltà questa donna, ma era esattamente ciò che volevo.
Mi scruta attentamente, poi sospira. <<Faccia come meglio crede, signor White, ma si ricordi che io l'ho avvertita>>.
Non ribatto, uscendo dall'ufficio senza dire una parola, sbattendo la porta più del dovuto.
Salgo su per le scale, diretto nella mia aula, e non appena entro in classe - ovviamente in ritardo - vado a sedermi accanto ad Emily, che mi guarda preoccupata mentre mi sistemo al mio posto.
<<Dov'eri finito?>> domanda.
Faccio spallucce. <<Da nessuna parte>>.
Mi rendo perfettamente conto che questa non è una risposta, ma dalla mia bocca non uscirà mai niente riguardo la conversazione avvenuta qualche minuto fa con la preside; sarò anche uno stronzo che non si cura di come si sentono le altre persone, ma non voglio che Emily stia male per colpa di mentalità così ristrette da giudicare una persona senza nemmeno conoscerla.
A questo punto non risponde più e resta in silenzio durante tutta la mattina, limitandosi ad incoraggiarmi nel prendere appunti mentre il professore spiega, attività che svolgo giusto un paio di volte, per poi abbandonare la penna sul banco e tentare di prestare semplicemente ascolto a ciò che dice, facendo affidamento sulla mia memoria.
Non appena suona la campanella che segna la fine dell'ultima ora esco dalla classe, fermandomi in corridoio per aspettare Emily, ancora dentro intenta a far entrare un libro nella sua borsa già colma di quaderni.
<<Dove vai, adesso?>> le domando non appena esce dall'aula.
Sospira e poggia la schiena contro la parete. <<Non lo so, a casa probabilmente>>.
Ora che so che clima regna a casa sua non mi va di lasciarla tornare. <<Che ne dici se andassimo a mangiare qualcosa? Poi ti accompagno a casa>>.
Sembra sorpresa della mia proposta, ma sorride. <<Va bene, ci sto>>.
Mentre raggiungiamo la mia auto nei parcheggi decidiamo di pranzare da McDonald's; non vado in quel posto da parecchi anni e a dire la verità il cibo spazzatura un po' mi manca.
Durante il tragitto lascio che il silenzio venga invaso dalla musica, scelta di comune accordo.
<<Hanno ristrutturato?>> domando una volta arrivati davanti all'enorme struttura con una 'M' dorata in alto al centro.
Ricordo che l'intonaco cadeva a pezzi e il logo era ancora appeso soltanto grazie ad un chiodo. Di solito le persone entravano velocemente per paura che la gigantesca 'M' potesse cadere da un momento all'altro.
Emily fa spallucce. <<Non lo so. L'ultima volta che sono venuta qui avevo sei anni>>.
Le sue parole non mi passano inosservate; deve aver passato una brutta infanzia. <<Vale lo stesso per me; non vengo quì da un pezzo>> mento, nel tentativo di farla sentire meno in imbarazzo.
Entriamo all'interno del locale, arredato come ogni McDonald's del mondo e dall'aria non molto pulita, prendendo posto ad un tavolo in fondo alla sala, dove una cameriera ci viene subito incontro.
Dopo aver ordinato, io ed Emily ci mettiamo a parlare, chiacchierando delle lezioni di stamattina e - cosa che mi sorprende alquanto - raccontandoci un po'.
<<Non vedo l'ora di diplomarmi per andare via da Jacksonville>> ammette, poggiando i gomiti sul tavolo e guardandomi con aria sognante. <<Vorrei andare a vivere in una grande città, trovare un buon lavoro, mettere su famiglia e... essere felice>>.
Si rabbuia ed io assieme a lei, consapevole di ciò che è costretta a vivere ogni giorno tra le mura della sua casa.
<<Anche io vorrei andare via da quì>> confesso, un po' per farla sentire meno sola e un po' perchè, in fondo, è quello in cui spero davvero. <<Non è il massimo, per me, vivere in questo posto>>.
Fa per chiedermi qualcosa, ma la cameriera arriva con le nostre ordinazioni.

My Everything #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora