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Prendo la bicicletta in cantina e pedalo fin sotto la palazzina di Lea, più o meno a tre minuti da casa mia.
Anche se sono le 5:30 di mattina, suono al citofono, tanto vive già da sola.
Apre il portone e salgo silenziosamente le scale fino a casa sua, cercando di non fare alcun rumore.
Sto morendo di sonno, ho dormito solo per tre misere ore, ma so che resisterò lo stesso.
Entro in casa che, come al solito, è aperta. Ma non ha paura a tenere perennemente aperta la porta? Potrebbe entrarci chiunque.
‹Lea, sei in bagno?› le domando scontata, so che si trova lì. Chiudo la porta alle mie spalle.
‹E dove potrei essere, secondo te?› urla.
Non avevo dubbi.
‹Vieni, vieni, mi sto truccando› mi invita.
Non appena mi vede mi salta al collo, stringendomi forte.
L'adoro quando fa così, mi fa sentire tanto apprezzata e mi trasmette così tanto affetto.
Mi travolge subito con il suo profumo fortissimo e i suoi capelli biondissimi che non taglia da tre anni. Abbracciarla è come stringere un palo della luce. Ha un fisico pazzesco che tutti invidiano, ha stile nel vestirsi ed è proprio una bellissima ragazza, e lei ne è pienamente consapevole.
Siamo migliori amiche da ormai dieci anni, e non posso desiderare persona migliore di lei al mio fianco.
‹Tesoro, come stai?› mi domanda affettuosamente.
‹Bene, dai. Tu?› mento, in parte.
‹Su, dai, racconta a Lea› mi guarda comprensiva.
‹Sto bene, che ti devo raccontare?›
‹Non avresti risposto così se non avessi avuto niente› appoggia il tubetto di mascara sul lavandino e riposa lo sguardo su di me ‹Ti conosco troppo bene›
‹Ti ricordi il concorso a Firenze, l'anno scorso?›
Annuisce.
‹Ieri a lezione ho ritrovato lo spartito di "Ricomincio da me" e...›
‹Oooooddio!!› m'interrompe.
‹Sì, dunque, dicevo. L'ho risuonato e mi ha dato un senso di... non so, libertà, felicità. A dire la verità non ho ancora capito bene cosa mi sia successo in quel momento. Avrei solo voluto strappare quei fogli ma, contro il mio volere, ho iniziato a suonare e mi sembrava di stare seduta su una nuvola. Tutt'ora non capisco e... non... boh, non so spiegartelo, io...›
‹Sì, ho capito tesoro. Si vede che ci tenevi da morire ai Dear, che non ne potevi fare a meno. Mi fa molto, moltissimo piacere che tu abbia ritrovato quello spartito e non abbia seguito il tuo istinto di brucialo, presuppongo. Vero che ti stai riavvicinando sia alla band che ad Alessio? Come ti senti?›
‹Mi sento rilassata, ma anche arrabbiata. E no, assolutamente, non se ne parla, non mi faccio abbindolare come fai tu che continui ancora a sbavare dietro ad entrambi›
‹Non capisci nulla, Nicole. Comunque l'avevo capito che sei anche arrabbiata. Dunque ora mi spieghi›
'Fanculo al liceo delle scienze umane, mi capisce anche da un solo respiro ‹Lea, sbrigati a truccarti, dobbiamo andare anche a prendere Celeste› cerco di deviare.
‹C'è tempo›
Sospiro ‹Tornata a casa mia mamma mi ha chiesto perché fossi felice›
‹Eh beh?›
‹Eh beh niente! Non ho il diritto di essere felice anch'io? E se non ci fosse stato motivo? Devo sempre fare la rompi coglioni? Okay, lo faccio. Te lo giuro, me l'ha chiesto in un tono che mi ha fatto capire questo, che non posso essere felice. Mio Dio, per una volta che lo sono lasciamelo essere. Che poi non so se sono felice, forse sì. Oppure no. Non lo so›
‹Cole› mi chiama sempre con questo diminutivo ‹dai, è un periodo in cui sei davvero introversa e scontrosa, sempre imbronciata e triste. Avendoti vista rilassata e con un'espressione diversa dalle altre ultimamente, si sarà sollevata e ti ha domandato. Guarda che le mamme si preoccupano a vederci così, anche se siamo già abbastanza grandi, e conoscendo la tua figurati...›
Alzo le spalle e accenno una smorfia. Mi irrita quando parla così, come una pensionata di 60 anni, quando ha solamente un anno in più di me.
‹Non fare sempre l'orgogliosa, smettila› mi dice.
Ha ragione, sono spesso egoista, tanto ‹Sì, è come dici tu. Sono stata un po' troppo dura con mia mamma›
‹L'importante è accettare i propri errori. Appena vedi tua mamma dalle le scuse, capito?›
L'abbraccio. È sempre così tanto dolce, calma e disponibile con me e non so come faccia, sono davvero una persona insopportabile, io.
Suonano al citofono.
‹Vai ad aprire tu? Sono Marco e Luca› mi chiede Lea.
Marco è il suo ragazzo, stanno insieme da due anni, io li adoro! Luca, invece, è un loro amico stretto.
‹Hey, ciao! Come stai?› saluto Marco con due baci sulle guance.
‹Oggi mi sento particolarmente entusiasta, ma non so perché› ridiamo ‹Tu Cole?›
‹Sì, bene dai› lo dico per davvero, aver parlato con Lea mi ha fatta liberare un po'.
‹Lea è in bagno?›
‹Figurati, abita lì ormai!› confermo ridendo.
Adoro Lea anche per il suo fare eccentrico, estroverso e vanitoso. Deve essere sempre al meglio e passa le ore in bagno a prepararsi davanti allo specchio.
‹Mi sarei preoccupato se non fosse stata in bagno› ridacchia scherzosamente.
Saluto anche Luca. Non lo conosco ancora molto bene, ci siamo visti pochissime volte.
‹Noi due non ci vediamo dall'ultima festa alla quale siamo andati, ricordi?› gli chiedo.
‹Sì, è stato un mese fa. Mark, tu eri ubriaco da far paura!› ride.
‹Ah già, c'eri anche tu Luca?› chiede lui.
‹Cretino, ti ho pure riportato a casa, eri messo davvero male eh!› gli ricorda dandogli una pacca sulla spalla.
Finalmente Lea si decide ad uscire dal bagno ‹Amore mio!› va incontro a Marco che la raggiunge per poi stamparle un intenso bacio sulle labbra.
Voglio anch'io.
Io e Luca ci guardiamo imbarazzati, sentendoci molto dei terzi incomodi.
‹Finitela di sbaciucchiarvi, fate schifo› si lamenta Luca, ironico.
Passiamo a prendere Celeste che ci aspetta sotto casa sua.

Sono le 7 di mattina quando approdiamo in un bosco totalmente isolato da tutta la città, per passare insieme una giornata all'insegna della natura e del divertimento.
‹Facciamo un giro per risvegliarci?› domanda Lea. Non è la prima volta che passiamo una giornata in questo modo e le rare volte che capita abbiamo i nostri piccoli rituali: uno alla mattina, appena arrivati, e uno la sera tardi, a fine giornata.
Ci incamminiamo, spiegando a Luca, che è la prima volta che si unisce a noi in queste giornate alternative, le nostre abitudini.
Iniziamo ufficialmente la nostra rituale passeggiata nel verde in totale silenzio, come sempre.
Riteniamo che di prima mattina sia fantastico lasciare un attimo di sollievo al corpo da poco sveglio ed abbandonarci completamente ai suoni circostanti.
Allo scricchiolio delle prime foglie secche sotto i piedi.
Al dolce canticchiare degli uccelli.
Al lieve venticello autunnale.
Al fruscio delle chiome degli alberi.
Al forte silenzio piacevole delle nostre voci che non escono per nulla dalle nostre bocche.
Alla musica muta del sole che sale, pronto per una nuova giornata.
Finiti i tre quarti d'ora di camminata silenziosa, senza una meta precisa, ci troviamo inconsciamente su un paesaggio immensamente fantastico.
La prima luce del giorno ci acceca violentemente, una volta usciti dall'area del bosco nascosta dagli alberi.
Si presenta davanti a noi una distesa di petali rossi e rosa indescrivibile.
Una visuale da perdere davvero il fiato, che emana freschezza e libertà.
Vorrei tuffarmici dentro.
‹Ragazzi, che bello...› rimane incantato Marco, rompendo il rituale silenzio.
‹Davvero› conferma Celeste ‹Ho portato la mia macchina fotografica, vi va se ci scattiamo qualche foto?›
Entusiasti e gioiosi, accettiamo.
Passiamo un'ora abbondante a scattarci foto in mezzo ai fiori. Le facciamo in gruppo, da soli e alla coppietta. Ci mettiamo nelle pose più strane e buffe e ci divertiamo da matti.
Mi serviva ridere così tanto oggi.
Per l'ora di pranzo abbiamo dei semplici panini con affettato e sottaceti, fatti dai genitori di Luca, e acqua e qualche bibita.
Stendiamo sul prato due tovaglie e mettiamo tutto sopra.
Ci sediamo ed iniziamo a mangiare, chiacchierando del più e del meno.
Per il resto del pomeriggio ci cimentiamo in giochi infantili come nascondino, uno due tre stella, mosca cieca e, poi, facciamo una partita a calcio, nel quale sono stupendamente negata.
Risultato di tutto ciò? Sudati e sporchi, ma contenti.

Si fa sera tardi e, dopo aver cenato con i panini avanzati dal pranzo, rimaniamo ancora lì, sotto il buio pesto di questa notte, illuminati solamente da qualche stella e dalle nostre torce.
Mettiamo un po' di musica sul telefono di Celeste, che ha una playlist favolosa, adoro i generi che ascolta, e ci stendiamo su delle coperte a guardare il cielo, come da rituale.
Sempre la stessa regola: non parlare, oppure, se si ha qualcosa da dire, in questo caso la si può sussurrare.
Dalla fantastica playlist di Ele, chiamiamo spesso Celeste così, parte "Demons" degli Imagine Dragons.
Subito mi sento pervadere da ansia, nervosismo, malinconia e rabbia.
Chiudo gli occhi e inevitabilmente la mia mente mi riconduce a quel maledetto giorno di ottobre dell'anno scorso in cui andai al concerto dei Dear Jack.
Perché non riesco a togliermeli dalla testa? Ogni cosa la ricollego a loro, è ora di finirla.
Tra le cover che fecero ci fu proprio questa canzone.
A prescindere da loro, questo brano mi fa sempre destabilizzare.
"Don't get too close, it's dark inside. It's where my demons hide". Quanto mi rivedo in questa parte!
Da qualche anno sono diventata, per vari motivi, una ragazza abbastanza timida che pensa sempre di poter essere giudicata dagli altri. Tutta quell'insicurezza che a volte ho dentro, tutti quei pensieri, mi hanno resa, e rendono tutt'ora, la persona che sono: riservata e anche un po' acida e fredda con chi non conosco o con persone in particolare, ma spigliata, divertente e dolce quando mi si da' quella sicurezza che basta appena a colmare la mia insicurezza, e con i miei amici con i quali non ho paura di essere me e di fare le cose più assurde che mi piacciono fare.
‹Ragazzi› sussurra Luca ‹Nicole si è addormentata›
Apro piano gli occhi e cerco il suo sguardo ‹Tranquillo, sono sveglia. Stavo solo pensando› mi giustifico.
È vero, pensavo. Forse penso troppo, è questo il problema.
A mezzanotte e mezza passata, usciamo dal bosco ed ognuno pedala verso casa propria.

Dopo una doccia rinfrescante ed un infuso di frutti rossi, sono già più delle due di notte.
M'infilo sotto le lenzuola ma constato di non avere per niente sonno, nonostante stanotte abbia dormito solamente tre ore e oggi abbia consumato tutte quelle poche energie che avevo.
Recupero le cuffiette dalla mia borsa e le attacco al mio mp3.
Mi ributto a peso morto sul mio letto e spengo la lampadina.
Adoro rimanere al buio da sola, sembra di essere in un'altra dimensione.
Non hai la sensazione che tutti ti osservano e se apri gli occhi non vedi niente comunque.
Premo play sulla mia playlist.

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Mi risveglio con "Siamo uguali" di Lorenzo Fragola. Questo ragazzo mi perseguita, decisamente.
E mi accorgo di avere dormito l'intera notte con le cuffiette nelle orecchie.

«Prendi quel microfono e canta» // Alessio Bernabei [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora