Capitolo 1

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"Spiegami perché cazzo devi avere sempre tutto tu"

alzo gli occhi al cielo, e continuo a disfare la mia piccola valigia, sparpagliando i vestiti sul letto e provando a non ascoltare la voce bisbetica di mia sorella che urla da stamattina presto.

"Vaffanculo, El, lo sai che non è così. Mamma e papà hanno trascinato pure me qui solo per fare un piacere a te"

Lei sbuffa e mi fa il dito medio, ma sa che ho ragione. Doveva venire qui a Londra a studiare, e quindi ai nostri genitori è venuta la bella idea di costringere anche me ad accompagnarla

"Un'esperienza all'estero non ti farà male, Katie, sei sempre nella tua bolla. Ti devi un po' svegliare" hanno detto. Ho evitato di dirgli che ero più sveglia di loro già a quattro anni, e ho annuito distratta.

Una settimana dopo ero su un volo per Londra, con mia sorella, a chiedermi che diavolo ci facevo lì.

"Katie, mi stai ascoltando?" Fa mia sorella Eloise, ripiegando con cura la sua roba sul letto

"Sì sì, hai ragione. Quando andiamo a fare la spesa?"

"Katie, la spesa è secondaria. Dobbiamo prima imparare ad orientarci in questa meravigliosa città, poi cercheremo un supermarket. Tanto sono ovunque, no?"

Annuisco di nuovo, già distratta da altro.

Dalla piccola finestra del nostro monolocale vedo gruppetti di ragazzi camminare per la strada, chiacchierando e facendo un sacco di rumore. Questa zona non è delle migliori, ma i nostri genitori si potevano permettere solo questa, dato che i costi di Londra sono piuttosto alti. Non è servito a nulla dirgli che se magari ci fosse andata Eloide da sola avrebbero speso molto meno. Irremovibili, ovviamente.

"Katie, vestiti che voglio andare subito a comprare una mappa della città e i biglietti per la metro"

Raccolgo una delle tante felpe sparpagliate sul letto e me la infilo, raccogliendomi i capelli mentre mi lamento

"El, siamo appena arrivate da un lungo viaggio. Mi piacerebbe riposarmi"

Lei non mi ascolta ed apre la porta, facendo tintinnare il mazzo di chiavi impaziente. Prendo il telefono e il portafoglio ed esco dalla porta, lanciandole un'occhiata assassina.

"Dai Katie, non fare così...ti divertirai, vedrai" mi dice mentre camminiamo attraversiamo la strada

"Quante volte ti ho chiesto di non pronunciare il mio nome in pubblico, El? Dai, lo so che lo fai apposta"

Odio il mio nome. É il classico nome ottocentesco odioso, epoca della quale i miei genitori sono affascinati, che mi è stato affibbiato quando ancora non potevo protestare. Io e mia sorella ci prendiamo sempre in giro per i nostri nomi, facciamo a gara per pronunciare il nome dell'altra nei posti più affollati possibili, per far fare figure di merda all'altra. É un gioco tra noi, così come quando litighiamo insultandoci pesantemente.

Camminiamo per strada, diamo un occhiata alla zona e compriamo una cartina. Ci stiamo per dirigere verso casa quando vedo un piccolo supermarket all'angolo. Lo stomaco mi brontola ancora più di prima.

"El, andiamo dentro a comprare la cena?"

"Oh, okay. Dopo torniamo però, si sta facendo buio e non conosciamo bene la zona"

"Okay"

"Ti aspetto fuori"

A vederci sembrerebbe quasi lei la sorella maggiore. Responsabile, brava a scuola, con obiettivi precisi. Io sono più ingenua, un'artista con un concetto di vita molto astratto, di certo non un esempio per lei, anche se c'è solo un anno di differenza tra noi. Entro nel minimarket semideserto, e mi dirigo verso la corsia del pesce, alla ricerca del sushi. Non sono molto forniti, ma non è il caso di fare gli schizzinosi.

Prendo qualche vaschetta e le infilo nella borsa di plastica. Latte, pane, sale, uova, qualche verdura e qualche pacchetto di patatine dal nome strano. Non abbiamo molti soldi per ora, e non è il caso di spendere tanto, però in un reparto dove ci sono piccoli oggetti di abbigliamento noto una felpa stracarina. Guardo il prezzo: anche no. Meglio spenderli in altro, i pochi soldi che abbiamo. A malincuore ripongo la felpa e mi avvicino alla cassa. Non c'è fila, c'è solo qualcuno dietro di me, una figura maschile, che aspetta il suo turno. Non so perché, ma come presenza mi inquieta parecchio.

Sono incuriosita, mi giro un po' e noto che la figura in questione ha il volto coperto. Un brivido mi passa lungo la schiena, e capisco che il tipo mi sta osservando

Faccio due più due, è quasi mi paralizzo. Volto coperto, felpa nera con il cappuccio tirato su. Ti prego, no. La cassiera non si è accorta di nulla, continua a passare la mia roba masticando una gomma, e guardando ogni due secondi l'orologio mi passa il resto.

Mi incammino velocemente verso l'uscita, quando sento un gridolino sommesso, ed una voce profonda

"È una rapina, vecchia cogliona. Svuota la cassa"

Mi giro e mi paralizzo. Il ragazzo dal volto coperto ha sfoderato una pistola, che punta verso la cassiera. Lei sembra in trance, ma con un gesto del rapinatore si scuote ed apre la cassa, svuotandola delle poche banconote che contiene. Io a piccoli passetti mi avvicino all'uscita, magari non mi nota.

Il ragazzo impreca, probabilmente alla vista dei pochi soldi, e butta un occhiata verso l'uscita, incontrando il mio sguardo. Sembra quasi che sorrida, brividi di paura mi scuotono, e non riesco più a muovermi.

La cassiera ha appena finito di riempire la borsa del ragazzo che lui gliela strappa di mano, prende qualcosa li vicino, che non riesco a vedere e corre verso di me. Apro la bocca per urlare, ma lui me la tappa e mi spinge fuori dalla porta. Sento un odore fortissimo di...rose. Ma che diavolo?

"Stà zitta, idiota" mi dice, mettendomi tra le mani la felpa rossa. Poi corre via, e cinque secondi dopo è fuori dalla mia vista.

Sono sotto shock. Sento mia sorella che mi abbraccia, sono contenta che sia rimasta fuori dal supermarket. Insieme a lei mi incammino verso il nostro appartamento, in silenzio. Sa anche lei che non è il caso di parlare.

Questo non è decisamente il posto per me. Che diavolo ci faccio qui?

 He's the Devil-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora