Mi aggiravo per la sala con occhi distratti. Facevo piccoli passi, lenti ed indecisi. Provavo ad andare a tempo. Tamburellai le dita sull'addome. Il tessuto leggero e scivoloso del mio top faceva sembrare il tocco così estraneo al mio corpo stesso. Non riuscivo a pensare. Non riuscivo a focalizzare nemmeno un punto di questa sala. Vedevo solo immagini confuse che si agitavano. Almeno loro riuscivano a seguire la musica. Li osservavo come fossero animali esotici mai studiati prima. Le luci stroboscopiche mi irritavano gli occhi e mettere a fuoco una sagoma era piuttosto difficile. Mi ero sempre chiesta cosa portasse gli adolescenti a ballare, muoversi a suon di musica ad alto volume. Camminai un altro po' e provai vagamente a divertirmi. Cercai di evitare con tutta me stessa di essere colpita da qualcuno. Mi spostai nell'angolo più remoto della sala ed osservavo. Osservavo tutto. Il comportamento delle ragazze, le luci che alternavano momenti di buio a momenti completamente confusi e disorientanti, i movimenti poco aggraziati dei ragazzi. Cercai di immedesimarmi nelle loro vite. Cercai di sentirmi come loro e, nonostante fossi una loro coetanea, non ci riuscii. Qui, ma in realtà ovunque, non era il mio posto. Un ragazzo mi urtò la spalla. Era leggermente sudato ed il tessuto della sua camicia nera era aderente alla sua schiena. Mi guardò per qualche secondo, probabilmente chiedendosi chi io fossi e perché me ne stessi in un angolo a fissare la gente. Probabilmente avrà pensato che io fossi strana. Lo capivo, lo pensavano tutti. Poi notai che le sue labbra si erano increspate in un leggero sorriso, come per scusarsi della botta. Non sapevo perché, ma ricambiai il sorriso e per un attimo questo posto non mi sembrava tanto male. Si allontanò con la stessa rapidità con cui era apparso e tornò in mezzo alla folla. Lo guardai ancora per qualche secondo, come se cercassi di trovare qualcosa, anche minima, da salvare in questo ragazzo. Per un attimo ci avevo creduto, ma qualche secondo dopo constatai che non era altro che uno dei tanti. Non c'era niente da salvare. Né in lui né in tutto il resto della folla. Nemmeno in me stessa.Mi sedetti in uno dei divanetti e provai ad isolarmi. Non sarei dovuta essere qui.
Il ragazzo di poco fa camminava per la sala con un'aria spaesata. La sua mano torturava un bottone della camicia ed i suoi occhi correvano impazienti per la stanza. Si guardò intorno e sul suo viso scorsi una leggera espressione accigliata. Cercava qualcuno. C'era qualcosa in lui che mi spinse a continuare a fissarlo. Si perse nella calca ed il mio corpo lo seguì. Era come se gli avessi voluto dare una seconda opportunità. Come se prima di andarmene avessi voluto constatare che non erano tutti uguali. Che qualcuno in realtà si salvava. Il mio cervello smise di funzionare. Mi feci strada tra la massa di gente e di tanto in tanto intravedevo la sua camicia. Lo vidi uscire dal locale, lo seguii senza esitazione. Uscii dall'edificio poco dopo di lui ed un'aria gelida mi avvolse. Il mio top si spostò con il vento, come se danzasse. Un brivido mi attraversò la schiena e d'istinto incrociai le braccia al petto. Cercavo di essere disinvolta. Lo guardavo con la coda dell'occhio, mentre fingevo di chiamare qualcuno al cellulare. Il ragazzo era appoggiato alla parete, tremava leggermente ed ogni tanto sbuffava. Si accese una sigaretta, forse per riscaldarsi, e si guardò intorno. Le luci gli illuminavano il profilo ed accentuavano il suo naso esageratamente grande e per niente perfetto. In contrasto, riuscivo a notare un filo di barba sul mento ed una piccola cicatrice tra la clavicola e la mandibola. Chissà come se l'era procurata. Come se mi avesse letto nel pensiero, le sue dita corsero sul suo collo, sfiorando la cicatrice, per poi terminare la corsa sulla bocca, toccando la sigaretta, leggiadramente tenuta tra due sottili e definite labbra color albicocca.
«Ti decidi a parlarmi o vuoi restare lì in silenzio?» La sua voce mi distrasse dalla mia analisi e spostò la mia attenzione dalle sue labbra ai suoi occhi. Adesso sembravano molto diversi. Qui fuori, avevano assunto una sfumatura ambrata che gli davano un non so che di magnetico.
«Allora?» insistette.
Non sapevo che rispondere. La musica mi arrivava alle orecchie più sbiadita, lontana. Il muro al quale ero appoggiata sussultava a ritmo mentre il rumore del traffico sovrastava quello della sala della discoteca.
«Scusami. Non volevo essere maleducata» risposi a modo, come sempre. Era il modo migliore per nascondere le emozioni.
Adesso era lui a tenere gli occhi incollati sul mio corpo. Fece un passo verso di me e sussultai leggermente.
«Tu sei la ragazza che ho urtato alla festa, vero?» chiese con lo stesso sorriso di prima. Annuii leggermente.
Assunse la mia stessa posizione e fissò il paesaggio urbano davanti ai nostri occhi. C'era un gran viavai di persone lungo la piazza principale. Una coppia camminava lungo il marciapiede in pietruzze mano nella mano, le vetrine dei negozi erano tutte illuminate, mostrando capi costosi ed alla moda, un anziano portava a spasso il suo cane. Le auto percorrevano le strade con estrema tranquillità, come se la gente si stesse godendo ogni singola cosa, prendendosi il tempo necessario. Era tutto così diverso dall'interno del locale.
«Neanche tu riuscivi a pensare lì dentro?» continuò, rompendo il silenzio e sputando un po' di fumo nell'aria.
«Beh, non c'è molto da pensare in una sala da discoteca» dissi, sollevando le braccia.
«Questo è vero, però credo che tu non abbia fatto altro per tutta la serata.»
«Beccata. Diciamo che questo non è un posto che frequento di solito. Sono più un tipo da soffitta.»
«Soffitta? E che tipo sarebbe?» Accennò una risata.
Non sapevo nemmeno io il perché avessi deciso di parlargli. Però in un modo alquanto bizzarro, mi sentivo sempre più vicina alla normalità.
«Un tipo tranquillo, che legge accanto ad una finestra e sorseggia un tè. Quel tipo. Abbastanza noioso, non trovi?»
«Non direi. Penso sia interessante. Se ti consola saperlo, ogni tanto dipingo. È soltanto un passatempo, ma mi soddisfa. È rilassante. So benissimo che il mio aspetto può far pensare tutt'altro. E devo dire che un po' questa cosa mi piace. Sorprende sempre saperlo.» Sorrise e la sua risata mi echeggiò in testa per ancora qualche secondo.
«Io sono sorpresa.» ammisi sorridendo.
La sua sigaretta era ormai finita e, con un gesto veloce, lanciò il mozzicone oltre una siepe.
Era strano. Mi sentivo strana. Non so spiegarlo, ma in quel momento mi sentivo a posto con l'universo. In quella sera del quindici aprile ero esattamente dove sarei dovuta essere. A conversare con uno sconosciuto ed a godermi l'aria fredda che mi gelava le vene.
Era un bel modo per andarsene, no? Terminare questo percorso con un'ultima bella esperienza. In fondo quello che avevo sempre voluto era sentirmi normale e, quella sera, un po' lo ero stata.
Lo guardai un'ultima volta, con un leggero sorriso in volto. Poi mi voltai, feci un passo, un altro e poi un altro. Il mio piede sinistro toccò l'asfalto. Sentii dei passi ed una mano cercò di tirarmi via. Il tessuto del mio top era troppo scivoloso e gli sfuggì. Penso avesse capito le mie intenzioni, così mi girai e gli dissi addio. Un millesimo di secondo dopo mi contrapposi tra un'auto e l'altra. Sentii le ruote che stridevano contro l'asfalto, delle urla in lontananza ed un'imprecazione da parte del ragazzo conosciuto poco prima. Poi un forte colpo al fianco. Qualche lacrima toccò la mia guancia ed un dolore atroce mi attraversò tutto il corpo. Vidi volare il mio cellulare verso il marciapiede e poi tutto si fece buio.
Lo aspettavo da tempo, sapete? Finalmente me ne ero andata, ma con la felice constatazione che alla fine qualcosa da salvare in quel ragazzo c'era.
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Si salva sempre qualcuno
General FictionSi salva sempre qualcuno, in un modo o nell'altro. Solo che in questa storia, a salvarsi non sono io.