Mi svegliai di colpo. Era tutto buio intorno a me, non riuscivo a vedere nulla, così cercai un interruttore per accendere la luce: con la mano sfiorai quella che sembrava la cornice di un quadro, e subito la stanza si illuminò. Scacchi. Il soffitto, il pavimento, le pareti, i mobili, erano tutti decorati con lo stesso motivo a scacchi; scacchi tradizionali, bianchi e neri, ma ovunque. Feci un passo avanti, e subito davanti a me si materializzarono tutte le pedine avversarie. Io però ero sola. Un pedone si mosse, poi continuai ad avanzare; dopo qualche mossa riuscì a mangiare il pedone, sapeva di liquirizia, e poi un altro ancora, il suo sapore mi ricordava più la marmellata. La partita proseguì, mi trovai davanti un cavallo: era grande, nero come la pece, gli potevi scorgere un bagliore luminoso, quasi accecante, negli occhi. Stava per venirmi addosso, per investirmi, sentivo il suo odore sempre più vicino, il suo respiro sempre più pesante, poi mi ritrovai sulla sua groppa, senza aver fatto nulla, senza aver mosso un muscolo. E allora iniziò a correre,e corremmo fuori dalla stanza, scappammo, attraversammo i muri e ci ritrovammo in una campagna, immersa nel verde; ovunque crescevano fiori, di tutti i tipi: rose, ciclamini, gigli, fiori enormi, grandi quanto una casa, alti più degli alberi, composti da un sottile stelo e da corolle d'argento e blu, e fiori piccolissimi, alti quanto una coccinella, con steli grandissimi e piccoli petali rosa, sui quali posavano piccoli pois gialli. Erano fiori tanto piccoli da essere invisibili mentre si cavalcava, certamente, ma in qualche modo riuscivo a vederli, a scorgerne le più piccole sottigliezze e i particolari meno evidenti. Mentre ero sulla groppa del possente animale riuscivo a sentire il vento sul viso, che profumava di torta appena sfornata, e che mi scompigliava i capelli, dandogli forme e colori stranissimi: piccole trecce azzurre, importanti acconciature settecentesche dai colori improbabili, fiocchi di capelli bianchi come la neve e chignon rosso fuoco. Corremmo per un tempo che sembrò infinito e infinitamente bello, sentivo il rumore degli zoccoli sulla morbida terra verde, i grandi muscoli contrarsi e rilassarsi in un perfetto e armonico alternarsi, il cuore del cavallo battere con una cadenza estremamente ritmica, sicuramente troppo ritmica per una corsa tanto veloce. Chiusi gli occhi e mi sembrò di volare, sempre più in alto, e andare sempre più veloce, mi sentivo invincibile in quel momento, libera da ogni oppressione.
Poi suonò la sveglia. Il suo rumore mi riportò alla realtà in un balzo, facendomi spaventare. Cercai l'interruttore per accendere la luce, ma la stanza non si rivelò a scacchi: era semplicemente la mia camera, sempre la solita, sempre uguale sin da quando ero piccola. Le pareti lilla, le fotografie appese al muro, una valanga di quaderni e libri sulla scrivania, che era tanto in disordine da sembrare un mostro di carta, più che un tavolo su cui scrivere. Mi alzai con fatica, mi preparai e feci colazione, poi partii per andare scuola, e con le mie amiche, Irene e Francesca, entrai in classe; non appena misi piede nell'aula vidi subito Davide, il ragazzo che mi piaceva da una vita, ma che non mi aveva mai nemmeno considerata. Non era un ragazzo particolarmente carino, o perlomeno così dicevano le mie amiche, però sono sempre riuscita a vedere in lui qualcosa di speciale, che non aveva nessuno, e mi piaceva per questo. Si girò verso di me e gli sorrisi goffamente, mentre sentivo il mio cuore fare un tuffo; lui non mi ricambiò il sorriso, semplicemente si voltò e andò dai suoi amici. Qualche minuto dopo la professoressa entrò in classe e iniziò a spiegare ed io, che mi trovavo in ultima fila, appoggiai la testa al banco, e poco dopo mi ritrovai su una spiaggia.
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Non tutti possono volare
Fantasya volte la distinzione tra sogno e realtà può essere invisibile.