CAPITOLO 33

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Apro gli occhi e un mal di testa terrificante comincia a martellarmi il cervello.

Cosa diamine è successo?

Sono nel letto: nella mia stanza riecheggia 'runaway' dei linkin park.

Ho caldissimo e non credo sia solo perché ci sono quaranta gradi all'ombra.

Quando vado per toccarmi la fronte, ritiro la mano zuppa.

Grondo di sudore.

Il martello continua a picchiettare in testa.

Mi tolgo il lenzuolo che copre la parte inferiore del busto e mi siedo con le gambe a penzoloni.

Sono completamente distrutta, non riesco a reggermi in piedi.

Mi sorreggo a stento aggrappandomi al mobile e, a passi lenti e controllati, arrivo allo scorrimano delle scale.

Passo dopo passo, un po' alla volta, arrivo al piano di sotto.

Credo di avere la febbre.

Non è normale che io mi senta così.

Controllo la cucina e il piano di sotto, ma Tobias e mio padre non ci sono.

Cerco il termometro nell'armadietto delle medicine e sbraito quando non lo trovo.

Vado in cucina a prepararmi una spremuta d'arancia, sperando che serva a qualcosa.

Prendo un'arancia nel cassetto in basso al frigorifero e lo spremi arance.

Un bel bicchierone di vitamine.

Lo stringo nella mano e ripercorro nuovamente le scale.

Una volta arrivata in cima, passo dal bagno per lavarmi la faccia con dell'acqua congelata.

Apro la porta e tutto all'improvviso mi ritrovo un ragazzo davanti a me che armeggia con uno straccio.

Lancio un gridolino, per quanto la mia poca forza fisica me lo permetta, e lascio cadere il bicchiere di aranciata dalla mano.

"Esci immediatamente da casa mia!", Urlo allo sconosciuto.

I capelli di un colore rosso accesso, spiccano con le pareti color lilla del bagno.

"No aspet..."

"Fuori o chiamo la polizia!", Lo minaccio di nuovo.

Dio mio sono terrorizzata.

Non è cosa da tutti i giorni trovarsi un ragazzo che non conosci nel tuo bagno, a lavare gli stracci.

"Cazzo, la memoria. Quei robot di merda me la pagheranno.", Bofonchia.

"Cosa stai farfugliando?"

"Senti, può sembrare strano, ma tu mi conosci. Siamo fidanzati."

"Tu sei malato! Esci subito, non fartelo ripetere, mio padre è un poliziotto!", Cerco di minacciarlo più pesantemente, ma non molla la presa.

"D'accordo, non vuoi andartene? Chiamerò la polizia."

Prendo il cellulare che fortunatamente ho vicino a me, e inizio a digitare il numero di mio padre.

"E va bene va bene, non chiamare nessuno; ora me ne vado."

Lo guardo allontanarsi lentamente restando comunque sull'attenti.

Quando sono certa che se ne sia andato, serro tutte le porte di casa.

È davvero pazzesco come io abbia reagito.

Un segreto da custodireDove le storie prendono vita. Scoprilo ora