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Eravamo stesi su un letto bianco circondati da cuscini ed io tenevo la testa poggiata sul suo petto, mentre lui cingeva le mie spalle con un braccio e con l'altro giocava distrattamente con i miei capelli. Il suo respiro regolare mi rilassava, ma mi trattenni dal chiudere gli occhi. Avevo bisogno di una spiegazione e sapevo, dal suo sguardo impensierito, che di lì a poco me l'avrebbe data.

Quando mi aveva detto di aver prenotato una camera d'albergo per una notte speciale, ero andato in paranoia. Entrambi avevamo ricordi estremamente vividi del giorno in cui mi aveva fatto la stessa proposta. Quella notte era scappato via, senza vestiti e con chissà quali folli idee in testa ed io ero venuto a conoscenza del suo disturbo bipolare. Una volta averlo visto uscire dalla stanza, all'incredulità era subentrata una paura viscerale. Mi sentivo completamente perso, svuotato. L'unica cosa a cui riuscivo a pensare era il suo nome: Even, Even, Even. E quell'unica parola, che aveva preso il posto di ogni pensiero razionale, era riuscita a farmi correre per un interminabile lasso di tempo. Non avevo idea di quale direzione prendere, non sapevo se stava bene o cosa gli fosse successo. In un momento di razionalità mi ero deciso a chiamare Sonja, la sua ragazza, e a raccontarle l'accaduto. Sentivo la testa scoppiare e il cuore battere all'impazzata. Il sollievo mi aveva pervaso quando Even era stato ritrovato dalla polizia, ma dopo la breve conversazione con Sonja, durante la quale avevo scoperto della malattia, tutte le mie certezze erano crollate. Non potevo far altro che andare a casa, mentre il senso di colpa gravava sulle mie spalle come un macigno.

Era stata di certo la peggior notte della mia vita.

Ecco perché il mio stupore si era moltiplicato quando Even, prendendomi la mano, mi aveva condotto nello stesso hotel e, successivamente, nella stessa camera, passando per la stessa porta da cui, quella notte, era uscito e fuggito chissà dove.

Osservando il mio volto incredulo, era scoppiato in una risata, nella quale però avevo colto un certo nervosismo. Continuavo a non capire. Prima che avessi potuto aprire bocca per chiedergli qualunque cosa però, lui si era avvicinato, costringendomi a guardarlo negli occhi. Aveva solo sussurrato: "Rendiamo questa notte indimenticabile, okay? Domani ti spiegherò tutto." e poi, dopo il mio debole cenno di assenso, mi aveva baciato. Non avevo potuto far altro che lasciarmi andare e abbandonarmi al sapore delle sue labbra.

Dopodiché, con Even era sempre una continua scoperta, del mio corpo e del suo; una costante ricerca delle parti più sensibili al tocco dell'altro, dei punti deboli, delle frasi giuste al momento giusto.

Riusciva a smascherare tutte le mie insicurezze e ad amare ogni parte di me. Era la sensazione più bella che avessi mai provato.

Even interruppe il flusso dei miei pensieri quando spostò il braccio dalle mie spalle. Mi sollevai su un gomito in modo da poterlo guardare negli occhi e gli sorrisi. Poteva prendersi tutto il tempo di cui aveva bisogno.

Dopo essersi schiarito la voce, iniziò a parlare.

"So che forse tornare qui non è stata una delle mie più grande idee, ma..."

Un sorriso ironico spuntò sulle sue labbra. Bastò a tranquillizzarmi.

"Non so se quello che sto per dirti ha senso, ma il fatto è che avevo bisogno di tornare qui, in questa camera. Quando ho prenotato questa stanza per la prima volta eravamo due persone completamente diverse ed io non ero proprio in me. So che per te è stata una notte difficile e so quanto è stata dura Sonja..."

Sonja. Curioso come una persona preoccupata possa diventare così crudele. Mi aveva detto che era impossibile che Even fosse innamorato di me. Mi aveva urlato di stargli alla larga. Il solo rivivere con la mente quei momenti era sufficiente a provocarmi un groppo in gola.

"...e infatti ancora non riesco a credere che tu sia rimasto. Questo...questo spettro che mi tormenta non ti ha spaventato. Sei tornato da me e mi hai sorretto e supportato. Non hai rinunciato, non ti sei mai arreso. Abbiamo lottato insieme e guardaci adesso."

Sentii le lacrime calde pronte ad uscire, così le mascherai con una risata. Scoppiò a ridere anche lui, ma dopo poco si interruppe e, continuando a sorridere, zittì anche me.

"Mi sono preparato il discorso e tu non mi prendi neanche sul serio...

Okay, ascolta. Il punto è che questa camera d'albergo, nonostante il ricordo spiacevole, ha dato inizio a qualcosa. E' stato il luogo dove la nostra storia ha subito una svolta. E' la stanza dei nuovi inizi."

"Molto poetico, ma non sei credibile." dissi, non potendo fare a meno di ridere ancora.

Poi però mi resi conto che non mi aveva ancora dato un risposta.

"Quindi siamo qui perché..." suggerii.

Even sospirò e si mise seduto. Lo imitai. Gli sorrisi ancora dolcemente, non volevo mettergli fretta. Di rado aveva un'aria così nervosa.

"Siamo qui perché ti amo e voglio chiederti di venire a vivere con me."

Mi mancò il respiro per un attimo.

"Non so bene dove o quando, ma a quanto pare Noora non tornerà a Londra molto presto e ho sentito che vorrebbe riprendersi la sua camera, quindi mi è sembrato il momento giusto per chiedertelo."

Era vero. Eskild e Linn non me lo avevano mai detto direttamente, soprattutto quando Noora era nei paraggi, ma sapevo che avrebbero preferito vedermi andare via in modo da riconsegnare a Noora le chiavi dell'appartamento. Tuttavia, non sapevo se vivere con Even fosse la cosa giusta da fare, se avrebbe giovato o meno alla sua salute. La sua richiesta mi aveva scioccato.
Dopotutto eravamo giovani. Avremmo avuto tanto tempo per convivere.
La realtà era questa: avevo paura. Una paura indescrivibile. Ero terrorizzato dall'idea che vivere insieme avrebbe deteriorato pian piano il nostro meraviglioso rapporto. Che non sarei stato all'altezza. Che avrei finito col rovinare tutto.
Even mi guardava impaziente, ma lasciandomi del tempo per riflettere. Mi conosceva abbastanza bene da sapere che una richiesta del genere mi avrebbe mandato in confusione.
Lo osservai scrupolosamente, dagli occhi luminosi che mi avevano fatto innamorare alle labbra carnose che mi mandavano fuori di testa. E all'improvviso, una serie di immagini mi balenarono in testa. Io ed Even in una casa vuota, intenti a sistemare dei libri su uno scaffale. Io li riponevo a caso, mentre lui cambiava disposizione e li ordinava per genere e autore. Io ed Even in cucina insieme che tentavamo di assemblare ingredienti e preparare un pranzo commestibile. E ancora, io ed Even sul divano davanti alla TV, la mia testa sulla sua spalla e il suo braccio attorno ai miei fianchi. Io ed Even nel nostro letto.
Arrossii leggermente e sorrisi tra me e me. Ricevetti in risposta uno sguardo interrogativo, vagamente rincuorato.
Annullai distanza tra noi e lo baciai. Volevo provasse tutto quello che stavo provando io. Volevo farlo sentire come lui faceva sentire me. Volevo amarlo, in quel momento e ogni giorno, prima che si addormentasse e al suo risveglio ogni mattina. E volevo averlo vicino nei periodi bui e in quelli euforici e semplicemente stargli accanto in silenzio quando non aveva voglia di parlare, di alzarsi o di mangiare. Ormai lo sapevo troppo bene ed era inutile continuare ad ignorarlo; il mio posto era insieme ad Even.
"Va bene, va bene. Cerchiamo un appartamento."

GrønlandDove le storie prendono vita. Scoprilo ora