La sala è immobile, sembra una veglia funebre, e tutti sono silenziosi come il giorno prima, e quello prima ancora. Immediatamente cerco con lo sguardo Cameron e lo trovo seduto vicino alla finestra che muove la testa a ritmo di una musica che è solo nella sua mente. Appena si accorge di noi sorride cordialmente e io gli rispondo. E' incredibilmente bello quando sorride e poi adoro le fossette che gli si creano sulle guance. Averlo vicino mi rassicura, è come quando è inverno e fuori si gela, e ti rifugi vicino ad una stufa o un camino e ti senti finalmente al sicuro, quieto.
Cameron è la stessa cosa.
"Sediamo qui" mormora Maria Antonietta.
"Perché non andiamo a sederci vicino a Cameron, emh, al conte Fersen?" propongo indicandolo.
"Non è appropriato farmi vedere vicino ad Axel in pubblico."
"Ma ci sono io. È nei limiti del massimo decoro" insisto. Lei sorride e mi prende a braccetto.
"Conte Fersen" lo saluta, rivolgendogli un sorriso malizioso.
"Maestà" risponde lui, sorridendole. Poi si rivolge a me "Abigail". La sua voce mi è sembrata più calda quando ha pronunciato il mio nome o è stata solo una mia impressione? Sto per sedermi vicino a lui, ma lei mi trattiene.
"Anche se sono la regina, è buona norma che sia chi è arrivato prima ad invitarmi a sedere."
"Prego" esclama Cameron, indicandole con la mano una delle due sedie libere accanto a lui.
"Splendida giornata" commenta lei.
"Io preferisco le grige giornate di pioggia" ribatto.
"Davvero? Ma voi donne non temete l'umidità per i vostri capelli?" chiede Cameron alzando un sopracciglio. Scuoto la testa indifferente.
"Axel, spetta a voi introdurre un nuovo argomento."
"Il vostro abito è meraviglioso, oggi" improvvisa.
"Oh, vi ringrazio. La seta con cui è confezionato proviene dall'India e il pizzo dalla Navarra."
La divisa bianca e anonima che tutti noi indossiamo rende la descrizione dell'abito talmente surreale che Cameron si morde il labbro per non ridere. Io, invece, sentendo nominare l'India provo una stretta al cuore perché il pensiero va subito a mia madre. Mia madre. Quando sono entrata qui non mi ha nemmeno accompagnata, nemmeno salutata. Mio padre invece si è fermato sulla soglia dell'Istituto, aveva un sorriso tirato. Da lei non me lo sarei aspettato.
"Non ti piace l'India?" mi chiede Cameron vedendomi assorta.
"Non mi piace mia madre" ringhio.
Lui mi guarda interrogativo, ma non mi chiede niente, rimane in silenzio e io lo ringrazio mentalmente per questo.
"Oggi siete andato a caccia con il re?" continua la nostra amica.
"No, sfortunatamente. E non credo che ne avrò l'occasione perché presto partirò."
"Come presto?" esclamo.
"Esco di qui tra due mesi" mormora.
Ecco, le sue parole mi freddano come un colpo di pistola. Cameron è l'unico amico che ho, non posso perderlo.
"Tornate in Svezia?"
"No, a San Francisco."
"Santo cielo! Questa San Francisco è molto popolare oggi giorno!" esclama l'altra.
"Torni a lavorare da tuo padre?"
"Marlowe non è mio padre, ma ne è un degno surrogato, oltre che il mio datore di lavoro."
"Quindi riprenderai a suonare" mormoro "Voglio dire, per un pubblico."
"Il migliore pubblico che abbia mai avuto, l'ho avuto ieri notte" conclude lanciandomi uno sguardo complice. Sorrido alla sua allusione, che per un verso mi intimidisce mentre dall'altro mi lusinga, tuttavia ciò non basta a sollevare dalla mia anima il peso della consapevolezza che lui se ne andrà e mi lascerà qui da sola.
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Red as Blood, Red as Wine
Художественная прозаAbigail ha sedici anni, una madre assente, un padre freddo e distaccato, un amico molto particolare e una lametta con cui si ferisce spesso per scappare da una vita che odia. Cameron ha diciotto anni, una madre che l'ha abbandonato, un lavoro che od...