Parte 1

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Ma dove era andato a cacciarsi? Finiva alle cinque di lavorare, erano quasi le otto ed ero preoccupato. Tantissimo. Mi aspettavo di trascorrere una seratina romantica con il mio compagno e sembrava si fosse dimenticato del mio compleanno... non mi aveva neanche mandato un messaggio in tutto il giorno per farmi gli auguri e la cosa mi aveva lasciato perplesso e infuriato.
Io e Travis vivevamo insieme da soli quattro mesi, la nostra relazione era iniziata un anno prima e pensavo che fosse tutto perfetto tra di noi. Davvero mi ero sbagliato così tanto?
Che fosse accaduto qualcosa? Gli avevo invaso il cellulare di chiamate e messaggi, ma niente, non mi aveva risposto.
Di solito, seppure impegnato, mi mandava un messaggio dicendomi che mi avrebbe richiamato quanto prima, quindi non sapevo davvero cosa pensare di questa nuova svolta.
Guardai il tavolo apparecchiato per due, la candela rossa al suo centro e i piatti che utilizzavo per le occasioni speciali. Il profumo di arrosto e torta di mele permeava l'aria e, se prima avevo avuto l'acquolina in bocca, adesso avevo lo stomaco chiuso.
Mi sedetti al mio posto, per rialzarmi subito al rumore della porta d'ingresso e inciampai due volte prima di raggiungerla.
Ed eccolo lì il mio compagno, lo sguardo sfuggente e il corpo rigido di chi sa di avere combinato qualche cazzata. Sì che l'aveva combinata grossa, dato che mi aveva snobbato per un'intera giornata!
«Sei tornato finalmente! Stavo pensando di cercarti tramite uno di quei programmi televisivi che vanno tanto in voga al momento e che rintracciano persone scomparse!»
«Avanti Sammy, non cominciare-»
«Non cominciare??? Non cominciare... un cazzo! Non mi hai risposto una sola volta e non sapevo cosa pensare. Sei uno stronzo!» la voce mi uscì acuta sulle ultime parole, sembrando una checca isterica.
«Ho avuto da fare sul lavoro, ok?!» urlò come non aveva mai fatto. «Stanno facendo dei tagli sul personale e devo dare il meglio di me, se non voglio entrare nella lista dei disoccupati. E poi chi manterrà questo appartamento lussuoso che desideravi tanto?»
Eh? Avevo capito bene? Gli avevo persino proposto di restare nel suo appartamento o nel mio e di mettere da parte dei soldi per permettercene uno migliore più in là, e lui adesso incolpava me?
Certo, i nostri appartamenti non erano un granché ed erano in affitto, ma avremmo avuto modo in seguito di comprarcene uno. Era stato Travis quello più interessato a trasferirci, diceva che voleva iniziare una nuova vita con me, partendo da zero e, davanti alla mia espressione estasiata, nel momento in cui avevo visto per la prima volta quella che era diventata casa nostra, aveva dichiarato di volere assolutamente quella. Purtroppo, due mesi dopo il trasloco, ero rimasto senza lavoro, arrivando a sentirmi una nullità.
«Ti avevo detto,» replicai in tono controllato, «e lo ricordo perfettamente, che non era necessario farlo subito, quindi non accusarmi.»
Travis appese il giubbetto sull'appendiabiti nell'ingresso e mi superò con passo marziale, dirigendosi in camera da letto, senza neppure notare la tavola apparecchiata con cura.
Quando lo raggiunsi, era sdraiato al centro del letto con le braccia aperte come un angelo di neve, e davvero lo sembrava con i suoi capelli ricci e biondi e gli occhi celesti, tutto il contrario di me, che avevo capelli e occhi scuri.
«Non avremmo dovuto correre,» disse, squarciandomi il cuore. «Abbiamo fatto tutto troppo in fretta, forse è meglio rallentare.»
Eh? Rallentare in che senso? Stava per lasciarmi?
«Cosa stai...?»
«Sto cercando di dirti,» mi spiegò come se fossi il più tardo dei tardi, «che avremmo dovuto pensarci di più, prima di decidere di convivere. Siamo troppo diversi, non abbiamo niente a che vedere l'uno con l'altro.»
Okay, non avevamo molti interessi in comune, ma eravamo sempre stati bene insieme o, per lo meno, così avevo creduto.
Abbassai lo sguardo, osservando la camicia verde menta e i jeans neri che avevo indossato per l'occasione, desiderando di aver dato ascolto a Dean, il migliore amico di Travis quando, i primi tempi della nostra storia, mi aveva messo in guardia dal mio ragazzo, definendolo incostante e... stronzo.
«E te ne rendi conto adesso?» sbottai, i pugni stretti e il corpo rigido di rabbia e delusione.
Travis si limitò a sollevare le spalle e, come se nulla fosse, afferrò il telecomando posato sul comodino e accese la TV, facendomi quasi cadere la mascella dallo sconcerto.
Diceva quelle cose per poi farsi i fatti suoi? Dovevo considerare chiuso l'argomento, così, senza alcuna spiegazione?
Incavolato nero, mi diressi all'armadio e tirai fuori il mio piumino nero, il più bello e costoso che possedevo. Sarei uscito a divertirmi, così da non trascorrere la sera del mio compleanno chiuso in casa con un uomo che non mi voleva... per cui non contavo nulla.
«Dove stai andando?» mi chiese Travis in tono indifferente.
«Vaffanculo!»
«Se stai uscendo, ti consiglio di non prendere l'auto. Sei troppo arrabbiato e non...»
Non gli risposi nemmeno, anzi, lo lasciai lì a conversare con i muri, deciso a non pensare più a lui e a nulla che lo riguardasse, deciso a trascorrere qualche ora serena lontano dalla sua presenza.
Avevo quasi trent'anni, non era la fine del mondo ritornare single. No? Cazzo, chi volevo prendere in giro? Io ero innamorato pazzo di Travis, come potevo dimenticarlo e andare avanti?
Feci velocemente le scale dal primo piano e raggiunsi la portineria, una volta fuori marciai con passo deciso sino al box, cercando il telecomando nella tasca del giubbetto.
Mi bloccai. Quel rottame che era la mia macchina non mi avrebbe portato molto lontano e la mia idea era proprio quella di prendere la maggiore distanza possibile dall'uomo che mi aveva ferito oltre ogni dire.
Non avevo soldi, neanche morto li avrei chiesti a Travis, quindi non mi restava altro da fare che chiamare qualcuno che mi venisse a prendere. Ma a chi potevo chiedere un passaggio? E per andare dove, poi?
Avevo sempre tenuto tutti a distanza, quindi nessuno si sarebbe precipitato da me, nessuno mi avrebbe vendicato ricoprendo il mio ragazzo dei peggiori epiteti esistenti sulla faccia della terra e, ad essere onesti, nemmeno lo volevo dal momento che ciò che desideravo davvero era quella di nascondermi, di trovare un posto tranquillo dove rifugiarmi, pensando a cosa potesse essere andato storto e a come, stupidamente, non me ne fossi mai accorto.
E se...? Estrassi il cellulare dalla tasca e composi il numero di Dean, era stato lui a mettermi in guardia, del resto.
«Sammy, tutto bene?» rispose Dean, il migliore amico di Travis, al secondo squillo.
«No,» mormorai, tremando per il gelo e il dolore. «Travis mi ha lasciato.»
«Cazzo! Vengo a prenderti, dove sei?»
«Sotto casa,» dissi con voce spezzata.
«Okay, ascoltami bene, prendo la macchina e ti raggiungo in una decina di minuti. Tu non muoverti da lì e non fare cazzate? Chiaro?»
Il suo tono agitato mi destabilizzò un pochino. Cosa credeva? Che mi sarei buttato sotto un'auto in corsa? Non ero così disperato... okay, forse lo ero, ma non per questo avevo intenzione di farla finita o cose simili.
Rassicurai Dean velocemente, dato che la batteria mi stava lasciando e, dopo aver riposto il telefono scarico nella tasca, attraversai la strada, così da trovarmi pronto per salire dalla parte del passeggero, evitando ulteriori perdite di tempo.
«Vuoi spiegarmi cosa è successo?» mi domandò il giovane.
«Lui... mi ha lasciato.»
Non c'era bisogno che pronunciassi il nome della persona a cui mi riferivo e dirlo ad alta voce, oltretutto, mi faceva male.
«Cosa???» esclamò Dean, distogliendo lo sguardo dalla strada che stava percorrendo, per guardarmi di sfuggita. Aggrottò le sopracciglia, ritornando a guardare davanti a sé, e per un istante mi parve di cogliere qualcosa, un rapido sollevarsi delle sue labbra, una specie di sorriso, ma mi dissi che dovevo essermi sbagliato, che il dolore mi stava giocando brutti scherzi.
Non gli chiesi dove mi stesse portando, qualunque posto lontano da Travis mi andava più che bene.
Dean fermò l'auto fuori da un locale gay che conoscevo di nome, nonostante non ci fossi mai entrato. Ci incamminammo verso l'entrata, la musica alta che si faceva più forte ad ogni mio passo, rilassandomi. Amavo ballare ed era da tempo che non uscivo a divertirmi in compagnia, forse potevo risfoderare questa mia passione e mettere da parte la delusione, almeno per un po'.
Il locale mi risultò opprimente, troppa folla, un odore nauseabondo di corpi sudati e gente che rideva e urlava sguaiatamente, tanto da coprire quasi la musica.
Dean mi artigliò un polso, per impedire che ci perdessimo di vista in mezzo alla calca, e mi condusse a un tavolo che si stava liberando in quel momento. Mentre mi sedevo, osservai i vari bicchieri vuoti davanti a me e arricciai il naso. Ero astemio, non poteva essere altrimenti dal momento che entrambi i miei genitori naturali erano degli ubriaconi e che, se ero passato da una famiglia adottiva all'altra, era solo per colpa loro. All'età di dodici anni gli assistenti sociali mi avevano prelevato e affidato a due perfetti sconosciuti, dopo che erano arrivate diverse segnalazioni sulle urla che provenivano ogni giorno da casa mia. I miei genitori si picchiavano e picchiavano me se solo provavo a dividerli. Non era stata una passeggiata la mia infanzia, non avevo mai avuto un porto sicuro e mi ero sentito fuori posto ovunque e con chiunque... se non da quando Travis era entrato nella mia vita.
«Non dovevo venire qui,» dissi a Dean, alzandomi e dirigendomi all'uscita senza guardarlo negli occhi.
«Aspetta,» mi fermò una volta fuori. «Credevo che fosse una buona idea farti svagare un po', mi dispiace, ho sbagliato tutto. È solo che non mi sembra vero che tu finalmente sia libero e-»
«Cosa??? Finalmente?! Che cazzo dici?» mi girai ad affrontarlo, odiandolo come non avevo mai odiato nessuno.
Nonostante fosse sera, le luci fuori dal locale erano sufficienti a farmi notare il suo pallore improvviso.
«Sì... ecco...» provò a spiegarsi a disagio. «Il fatto è che sono innamorato da te da parecchio. Se avessi saputo di avere la minima possibilità di averti ti avrei portato via a Travis, ma eri così innamorato che-»
«Sono,» precisai, interrompendolo nuovamente. «Sono innamorato di lui e lo sarò sempre. Sei felice che le cose tra me e lui siano andate a puttane, quando io sono a pezzi? E dici di amarmi? Beh, non ho bisogno del tuo amore, se così lo si può chiamare.»
Mi allontanai da lui, furioso per il suo comportamento. Che persona era una che gioiva delle disgrazie altrui? E come poteva ritenersi amico di Travis uno che gli avrebbe soffiato il ragazzo, se solo ne avesse avuto la possibilità? No, non avrei accettato la sua ospitalità, piuttosto avrei dormito su una panchina. Anzi, no! Avevo pur sempre la mia auto. Ecco cosa avrei fatto: sarei tornato a casa e mi sarei ripreso la mia automobile. Catorcio o meno, mi avrebbe garantito un posto sicuro in cui dormire, anziché starmene per strada, mi bastava che riuscisse a muoversi quel tanto che bastava a raggiungere un posto isolato.
Se in auto con Dean avevo impiegato quindici minuti, a piedi ci misi circa un'ora a percorrere la strada a ritroso.
Grazie a Dio tenevo sempre in tasca il telecomando del garage, così non avrei neanche dovuto disturbare Travis. Chissà che non se la stesse già spassando con qualcun altro. Ricacciai indietro le lacrime e, sfinito per il lungo cammino, mi concentrai sul mio compito.
Quando la basculante elettrica iniziò a muoversi, le diedi le spalle, osservando i pochi alberi spogli e il cielo coperto di nuvole grigie. Faceva un freddo assurdo e mi chiesi se il Natale avrebbe portato con sé i fiocchi di neve, trasformando le strade in un manto bianco e soffice. No, mi corressi scuotendo la testa. Eravamo a Londra e la neve sarebbe diventata una poltiglia grigiastra lungo i margini della strada.
Il meccanismo del box si arrestò, segno che la basculante aveva concluso la sua apertura. Girai su me stesso, pronto a salire sulla mia vecchia ferraglia, e mi ritrovai a fare un salto indietro.
Davanti a me c'era la macchina dei miei sogni, quella che desideravo da anni ma non avevo mai potuto permettermi. Persino il colore era azzeccato! La berlina era nuova di pacca e la vernice argentata sembrava brillare da tanto era lucida.
Diedi uno sguardo intorno, verificando di avere aperto il box giusto e, accertatomi di non aver commesso errori, avanzai sino a posare il palmo di una mano sul cofano, sentendo un dolore acuto trafiggermi il petto. Non poteva che appartenere a Travis e mi chiesi quale fosse il suo scopo. Voleva umiliarmi? Prendersi l'auto dei miei sogni e lasciarmi lo stesso giorno, mi sembrava una cattiveria bella e buona. Perché non mi ero mai accorto di quanto fosse crudele il mio ragazzo? Oltretutto, la sua automobile non poteva definirsi "da buttare", era molto bella e non necessitava di essere sostituita. Al contrario della mia che... Ehi! Dove era finito il mio catorcio a quattro ruote? Oddio! Me lo avevano rubato? Non feci in tempo a chiedermelo che scoppiai a ridere come un dannato, convinto che non lo avrebbero voluto nemmeno in regalo. La risata passò da divertita a isterica e, senza preavviso, mi ritrovai a piangere. Era il peggior compleanno di sempre, ero senza lavoro, ero un uomo adulto da un pezzo, in attesa di trovare una nuova occupazione che mi avrebbe permesso di riprendere in mano le redini della mia vita.
Nascosi le mani nelle tasche in cerca di calore e aggrottai le sopracciglia quando la mano sinistra toccò qualcosa di freddo e sconosciuto.
Passai una mano sul volto, tirando via le lacrime traditrici e, tolto il velo che mi annebbiava la vista, mi imbambolai sull'oggetto che avevo appena estratto dal giubbetto. Nello stesso istante, feci caso a un particolare fondamentale, sfuggitomi in precedenza: l'auto di Travis, quella che conoscevo bene, era parcheggiata dietro a quella nuova.
Premetti un tasto sul piccolo oggetto e le chiusure della berlina rossa scattarono, accompagnate da un breve lampeggiare dei fari.
Facciamo mente locale, mi dissi. La mia vecchia auto è sparita, quella di Travis è al solito posto e, oltre a questa, se ne è aggiunta una nuova di zecca, le cui chiavi sono finite dentro la mia...
Oddio! Vuoi vedere che...? Chiusi le portiere col telecomando, il box e corsi veloce sino alla portineria, facendo due o tre gradini alla volta e catapultandomi dentro casa.
Non feci in tempo a farlo, che mi ritrovai a sbattere contro qualcosa di solido e, confuso, sollevai lo sguardo incontrando gli occhi chiari di Travis.
«Io... Tu... Tu mi hai detto che... Ma giù ho visto...» iniziai a blaterare, avvolto dal calore del suo corpo, dalle forti braccia che mi stringevano quasi temessero di vedermi scappare via.
Scossi la testa, sentendomi un emerito idiota balbettante, mentre Travis mi trascinava di sopra.
Chiuse la porta dell'appartamento con un calcio e mi sovrastò con la sua altezza imponente. Non ero un nano, ma lui era un metro e novanta di testosterone.
«Sammy! Dove cazzo sei andato?!» mi aggredì torvo, facendomi gelare e, allo stesso tempo, facendomi formicolare le palle.
«Mi hai cacciato, no? Me ne sono andato, ovviamente!» replicai in tono bellicoso.
«E dove sei stato tutto questo tempo? Pensavo che fossi sceso a prendere la tua auto, invece nulla! Ho provato persino a chiamarti ma il tuo telefono risultava spento!»
I suoi occhi azzurri parevano trafiggermi come una lama e la mia eccitazione salì alle stelle. Conoscevo quello sguardo... cavolo se lo conoscevo bene.
«Mi avevi detto che non era il caso che uscissi in auto, quindi di cosa ti lamenti?»
«Abbassa la cresta, ragazzo!» ruggì, facendomi quasi venire nei pantaloni. «In ogni caso, quando mai fai quello che ti dico?»
Beh, in effetti mai, obbedirgli non era per niente spassoso, fargli perdere la pazienza, invece, era un altro paio di maniche... adoravo le sue punizioni.
Mi limitai a sollevare le spalle, sapendo quanto la cosa lo irritasse e fui quasi certo di vedere del fumo uscirgli dalle orecchie.
«Vuoi dirmi dove sei stato?» mi chiese di nuovo, spintonandomi in salotto, fino a farmi cadere sul divano, guardandomi dall'alto in basso come se fossi la sua preda.
«Con Dean,» confessai, in tono zuccheroso. «Mi ha portato in un locale dove ha confessato di amarmi, così ho deciso che fosse meglio non accettare la sua ospitalità e sono tornato qui a piedi per riprendermi la mia auto. Sempre meglio che dormire fuori al freddo.»
Travis aprì e richiuse la bocca per un paio di volte, dopodiché mi voltò le spalle e lo vidi stringere i pugni.
«Quel lurido verme, io lo uccido. Dimmi che non ti interessa o giuro che ammazzo anche te!» ringhiò, ritornando a guardarmi.
A chiunque altro avrebbe fatto paura, ma non a me, la sua furia mi accendeva come una miccia e lui lo sapeva bene.
«Non c'è nessuno che desideri più di te,» sussurrai abbassando lo sguardo.
«E allora perché, Sammy?» mi sentii chiedere in tono angosciato. «Questo è il nostro gioco. Mi fingo arrabbiato, affermo di volerti lasciare e poi ti vengo a cercare e scopiamo come se non ci fosse un domani. Perché questa volta te ne sei andato?»
«Perché ti ho creduto. Da quando sono disoccupato mi sembra di essere solo un peso per te. Tu mi hai detto tutte quelle cose e io...» la voce venne a mancarmi.
«Guardami,» mi ordinò Travis.
Non obbedii, mantenni lo sguardo basso e mi rifiutai di farlo. E se non mi fossi sbagliato? Se pensava davvero alle accuse che mi aveva rivolto e glielo avessi letto negli occhi? No, non potevo guardarlo.
«Guardami, ragazzo!»
I miei occhi saettarono su di lui e rimasero avvinti.
«Ti ho detto che ti avrei amato per sempre e non vengo mai meno alla mia parola.»
«Dean ti ha sempre definito uno stronzo, la prima volta che l'ho visto ha detto che ti saresti stufato di me, spezzandomi il cuore.»
Sbattei gli occhi, per trattenere le lacrime e portai le mani in grembo, stringendole tra loro.
Travis mi sovrastò in un attimo e mi afferrò il piumino che ancora indossavo. «Spogliati, ragazzo.»
Aspettai che si facesse indietro e eseguii il suo ordine, denudandomi nel giro di un minuto. Il mio sesso svettava glorioso, la punta bagnata e lucida.
«Lo ha detto perché ti voleva per lui,» sbottò, iniziando a svestirsi. «Non ho mai amato nessuno come amo te e non esiste che io ti lasci. Non mi importa se non hai un lavoro, quello che guadagno è più che sufficiente per entrambi. Che tu lavori o meno non cambia nulla, puoi benissimo badare alla casa per quanto mi riguarda, te la cavi benissimo. Sarai una brava mogliettina e mi invidieranno tutti.»
Arrossii alle sue ultime parole, soprattutto perché scorsi la verità che vi contenevano. Allo stesso tempo, però, mi turbarono. Era una proposta la sua?
Travis, completamente nudo, mi fece gesto di fargli spazio sul divano e si sdraiò accanto a me, portandosi sul fianco e girandomi verso di sé, così da farci aderire in ogni minima parte.
Rilasciai un gemito nell'avvertire la sua erezione contro la mia e lo sentii trattenere il fiato.
Mi mossi contro di lui e Travis mi divorò le labbra incitandomi a muovere i fianchi sempre più in fretta. Poi, però, si fermò e mi osservò in uno strano modo.
«Voglio sposarti, Sammy. Dimmi di sì,» sembrò supplicarmi, accarezzandomi la guancia.
Non lo avevo mai visto tanto insicuro, non sopportavo di vederlo così, ma ero anche incredibilmente felice. Non avevamo mai parlato di matrimonio, avevo sperato e desiderato di saperlo mio per sempre, eppure avevo sempre creduto che non saremmo mai arrivati a quello. Travis, del resto, non era una persona particolarmente romantica, passionale, ma decisamente non romantica.
«Dici... sul serio?» riuscii a mormorare, rifuggendo le sue carezze.
Il mio uomo sbiancò davanti alla mia reazione e mi parve perso.
«Come potrei scherzare su qualcosa di tanto importante? Okay, forse non sono un campione di dolcezza, però posso sempre rimediare se me lo permetterai? Lo farai, Sammy? Mi permetterai di amarti come meriti per il resto delle nostre vite, finché morte non ci separi?»
«Sì!!!!» urlai, lanciandomi addosso a lui. «Sì, sì, sì! Per sempre sì!»
Travis fece una risatina, mi abbracciò forte e un breve ansito lasciò le nostre labbra.
«E adesso giochiamo, ragazzo!» mi sorrise, prima di mordicchiarmi il labbro inferiore.
I nostri uccelli pulsarono l'uno contro l'altro e un brivido scosse il mio corpo nell'avvertire la sua durezza.
Avrei sposato il mio ragazzo, ma adesso non dovevo pensarci perché dovevo accontentare il mio padrone.
Portai le braccia dietro la schiena, un chiaro segno di sottomissione, e guardai negli occhi celesti con totale fiducia, leggendovi lo stesso amore che provavo io.

Un litigio di troppoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora