Amor può troppo più che né voi né io possiamo

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Giuliano guardò sconsolato fuori dalla finestra di palazzo Medici. La via Larga era animata dai fiorentini che ancora si attardavano nel rientrare dalla messa domenicale.

L'aria di gennaio era immobile, quasi paralizzata, e la città pareva al sedicenne come un grappolo d'uva rimasto congelato sulla vite, dimenticato sia dai vignaioli sia dai grappolatori.

Con un sospiro pesante, il giovane si mise a fissare ora questa ora quella donna che passava sotto alla finestra, una per mano al marito, l'altra con la madre e i fratelli, l'altra ancora con una dama di compagnia...

"Che fai?" la voce di Lorenzo, ruvida e un po' secca come sempre arrivò alle spalle di Giuliano, che si girò con lentezza verso di lui.

"Perdo tempo." rispose, senza pensarci troppo sopra.

Da quando a dicembre era morto loro il padre, i due fratelli Medici si erano industriati per prendere il suo posto, tanto nell'economia di Firenze, quanto nella sua Signoria.

Se Lorenzo pareva trovarsi abbastanza a suo agio, in quella nuova veste, forte dei suoi ventun anni appena compiuti e della sua ambizione spropositata, Giuliano non si sentiva altrettanto entusiasta della sfida che il destino gli aveva messo sulla strada.

Prima di tutto, prendere il posto di un uomo come Piero Medici non era facile. Non era stato un personaggio di spicco quanto il loro nonno Cosimo, ma aveva dato un nuovo risalto alla banca di famiglia e non c'era persona, in Firenze, che non lo ritenesse degno dell'importanza che aveva negli ingranaggi del governo.

Prima di tutto, se Lorenzo si diceva capace di miscelare potere e amore per l'arte, facendo del primo un servo del secondo, Giuliano trovava il tutto molto più complesso. Lui preferiva fare attività fisica, andare a caccia, cavalcare, pescare, stare in campagna. Era la villa di Cafaggiolo che lui amava, al massimo quella di Careggi. Nella casa che possedevano in centro città, lì, sulla via Larga, si sentiva in prigione.

"I nostri ospiti arriveranno tra meno di una settimana." gli fece notare Lorenzo, gli occhi sporgenti che indagavano gli abiti del fratello come per valutare se fossero o meno consoni al loro nuovo status di capifamiglia.

"Lo so – rispose Giuliano, staccandosi dalla finestra e avvicinandosi al fratello – e so bene che è già tutto predisposto. Che dovrei fare, io?"

Lorenzo guardò gli occhi neri del fratello e trovò la sua pelle olivastra molto pallida. Forse tutti i cambiamenti di quegli ultimi tempi lo avevano scosso più di quanto non sapesse esprimere. Si era fatto pensieroso e si era chiuso non poco. Però anche Lorenzo si sentiva in lutto e dunque quella non era una scusa valida per disertare i propri compiti diplomatici.

"Dovrai intrattenerli, come farò io e come farà mia moglie Clarice." su quell'ultima parte, la voce di Lorenzo si incrinò, mentre le sue labbra, già non simmetriche in condizioni normali, si storcevano ancora di più, come se fosse stato costretto ad assaggiare qualcosa di molto aspro.

Giuliano finse di non notare quella reazione involontaria, anche se si chiese mentalmente come si potesse accettare di condividere la vita con qualcuno che non si amava. Lorenzo aveva preso in sposa un'Orsini perché così doveva fare, ma era chiaro come la luce del sole che Clarice non era la donna giusta per lui, così come lui non era l'uomo giusto per lei.

"Quindi – riprese il fratello maggiore, nascondendo le mani nodose nel tascone centrale della sua tunica di raso rosso – leggi qualche libro, informati su qualche pettegolezzo, ripassati le ultime mode, così avrai qualcosa da dire durante i banchetti."

Giuliano abbozzò un sorriso, chinò il capo, facendosi scivolare i capelli neri sul viso e disse: "Sia come vuoi, fratello. Farò questo sforzo!"

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