Parte Seconda

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Tendo le orecchie per capire se sono stato individuato. Le voci sono lontane, ma ci sono, e si confondono con quelle che già mi abitano il cranio. Facciamo il punto della situazione: è notte fonda, sono stanco morto e sono inseguito da almeno tre auto e quindici uomini a piedi. Dritto non posso andare, ho lasciato tracce troppo evidenti dietro di me e basterebbe seguirle un altro po' per trovarmi. Vedo una strada oltre gli alberi, ma è troppo pericoloso imboccarla; nel bosco dimezzo il numero dei miei segugi. A qualche chilometro da qui c'è una ferrovia... ma è impossibile raggiungerla, con tutte quelle pattuglie. L'unica è allontanarmi furtivamente verso sud, attraverso il fitto bosco, cambiando spesso direzione.

Sebbene gli occhi mi si chiudano e le gambe cedano ad ogni passo, mi impongo di proseguire. Solo quando inizio a trascinare i piedi lasciando solchi tra le foglie secche, mi concedo un po' di riposo. Cancello in fretta le tracce negli ultimi dieci metri che ho percorso, e mi immergo in un cumulo di foglie e rametti. Il sonno mi sorprende prima di essere riuscito a pensare a quanto è bello essere liberi.

۲

È difficile continuare ad avere i nervi tesi e camminare con circospezione, dopo tanto che non succede nulla. Negli ultimi tre giorni mi sono orientato con il sole, ho dormito dentro due alberi cavi e una grotta e mi sono cibato della carne dei due conigli che sono riuscito a catturare. Ieri, dopo trentotto ore senza mangiare, gli insetti hanno incominciato ad avere un'aria appetitosa. Il primo giorno ho bevuto l'acqua delle pozze create dal diluvio, cercando di non essere schizzinoso. Il secondo ho trovato un torrente, e risalendolo non ho avuto il problema della sete neanche per il terzo giorno.

Gradualmente, il bosco ha iniziato ad essere in pendenza, la pianura è diventata collina e la collina montagna. Stamattina ho trovato la fonte del ruscello, ma sono ancora troppo lontano dal confine per fermarmi. Ora sono senz'acqua, senza cibo e per giunta credo di essermi preso una brutta influenza, a causa delle notti passate su giacigli freddi e umidi. E ogni notte, appena mi addormento, devo rivivere le sofferenze e la fame del giorno prima, tali e quali. Sono stremato. Le voci sono sempre più insistenti, anche se fondamentalmente ripetono sempre le stesse cose: "Acqua". "Cibo". "Ho freddo". "Basta". Non ce la faccio più, ma devo andare avanti. Pur di non soccombere alla fatica, inizio a mangiare le foglie degli alberi e gli insetti che riesco ad catturare.

Verso sera, raggiungo il crinale. Sopra un panorama mozzafiato si erge l'altura su cui mi trovo, tagliata in due da un sentiero completamente scoperto. La catena montuosa sembra la coda di un imponente dinosauro, gli alberi le sue squame. Davanti a me si stende la maestosa corona delle Alpi, sotto di me i monti del Giura. Il mio rifugio è proprio lì in mezzo: la Svizzera.

Esausto ma esaltato per il grande risultato, mi ritiro sul versante nord a cercare un posto in cui addormentarmi.

Durante la notte ho la prima crisi di astinenza. È passato troppo tempo dall'ultima volta che ho preso una di quelle pillole. Passo ore in preda alle allucinazioni e alle convulsioni, non c'è nulla che possa darmi sollievo. Tra i gemiti e le grida, la nottata prosegue.

Quando la crisi si esaurisce, lasciandomi un senso di vuoto e di sofferenza, è già l'alba. Sono sfinito, affamato, assetato, dolorante, febbricitante e drogato. Mi rannicchio su quel rudimentale cumulo di sterpi, sperando che il dolore finisca.

Mi prendono mentre sono meno preparato.

۲

Il sacco nero mi cala sulla testa proprio mentre penso che peggio di così non possa andare. Inizio subito a dimenarmi, ignaro di ciò che sta succedendo, ma delle braccia possenti mi sollevano da terra. Uomini nerboruti. Devono essere almeno in due. Che stupido, uscire allo scoperto su quel crinale, non superarlo e poi urlare tutta la notte! Era praticamente un invito con raccomandata!

Dò fondo a tutte le mie energie per sfuggire dalla stretta, ma è inutile. Con un assurdo movimento di spalle riesco a liberarmi del sacchetto: per un istante, abbagliato dalla luce del sole, assimilo la situazione. Due energumeni, uno dei quali tenendo sottobraccio il mio esile corpicino, si stanno dirigendo verso una macchina militare, parcheggiata sul sentiero, dentro la quale un uomo in camice bianco tamburella sul volante. Senza pensarci, sferro un calcio sul ginocchio dell'omone e nella frazione di secondo in cui l'incredulità gli fa perdere la presa sguscio via dalle sue braccia e mi metto a correre come un forsennato. Le due guardie del manicomio mi circondano, ma con una finta riesco a schivarne una e corro. Dove? Verso la macchina, oltra la quale si cela la mia salvezza. Altri due uomini scendono dai sedili posteriori. Tentano di afferrarmi. Il mio battito cardiaco cresce. Gli sto arrivando incontro. Ora o mai più. Sudando freddo e caldo al tempo stesso, trattengo il respiro e salto. Le loro braccia mi mancano. Supero il crinale. Precipito verso la valle.

Atterro sull'erba del versante sud, privo di alberi ed estremamente pendente, e mi scaravento sempre più giù, a una velocità da falco in picchiata. Corro, corro, corro.

Senza rallentare, giro a destra infilandomi nel sentiero di un bosco. La pendenza diminuisce, la strada diventa pianeggiante e poi torna in salita. Faccio infinite deviazioni, supero colline, avvallamenti, radure, ma non mi fermo. Li sento, mi stanno sempre alle calcagna. È incredibile come la paura della morte dia energia ad un corpo che non ne ha più.

La macchina mi ha perso di vista, ma sa in che zona sono. E in compenso, si è portata le amiche. Ormai ci saranno almeno sei automezzi al mio inseguimento.

Cala il sole, e l'estenuante corsa si conclude solo quando vedo una baita, al limitare della radura che ho appena oltrepassato. Faccio solo in tempo a bussare alla porta che la fatica di tutta la giornata mi piomba addosso. Cado a terra, senza riuscire più a muovere un muscolo.

Dopo poco meno di un minuto, si apre la porta. Un vecchio dal viso duro e gli occhi azzurro ghiaccio, mi squadra da capo a piedi. Riesco solo a mormorare: "A..iu..to..."

Poi tutto diventa buio.

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