Prologo

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Il viaggio verso casa è più lungo del previsto o almeno così sembra oggi. I sedili di pelle nera del SUV di mio padre sono gelidi e incredibilmente scomodi, come se ci fossero dei chiodi conficcati nella mia schiena. Mi muovo in continuazione, sperando di trovare una posizione confortevole, ma senza successo. Guardo fuori e Milano, la mia città, sembra triste. Rispecchia esattamente come mi sento. Il cielo si tinge di un blu scuro e il sole che brillava alto viene coperto da fitte nuvole che non lasciano spazio all'immaginazione, fra poco pioverà.

Mia madre seduta sul sedile davanti al mio, singhiozza e piange in silenzio o almeno ci prova. Forse dovrebbe almeno provare a farmi sentire meglio, invece frigna come una bambina alla quale non è stato comprato il gelato o un giocattolo che desiderava tanto. Mio padre invece, mi fissa attraverso lo specchietto. Sento i suoi bellissimi e grandi occhi verdi scrutarmi. Mi vedo riflessa nel finestrino e vedo quei due grandi fari uguali ai suoi, ma oggi sono inespressivi, la loro bellezza non ha quasi più alcun senso. Scosta lo sguardo solo per guardare la strada, ma poi li sento di nuovo addosso. Cercano di capire i miei pensieri, ma non li conosco nemmeno io. Vorrei tanto avere delle risposte e avere più che altre delle domande, ma adesso mi sembrano insensate e vuote.

La macchina si ferma davanti al cancello e vedo Dakota e Tartufo, lì davanti ad aspettarci. Loro non sanno nulla e sono felici, le loro code oscillano come barche nel mare in burrasca. Apro la portiera e mi prendo i loro abbracci, mi butto sull'erba del giardino di casa e sono ricoperta da due montagne di pelo. Cerco di divincolarmi e mi metto seduta, mi guardano e girano la testa di qua e di là, il che li rende ancora più adorabili. È come se capissero che qualcosa che non va. Vorrei tanto parlare con loro, come si fa con le persone, ma l'unica cosa che riesco a fare è lasciarmi andare in un pianto inconsolabile, nemmeno i miei labrador possono rincuorarmi. Non so nemmeno io perché piango, sono stata fredda e impassibile fino ad ora. Mi rendo conto che solo con loro sono me stessa, forse ho solo paura di far vedere alle persone che amo che anche io posso stare male, e che per colpa mia, possano stare male anche loro. Li abbraccio e i miei cuccioli con le loro lingue ruvide e bagnate, mi leccano via le lacrime. Li stringo, come se fosse l'ultima volta, li bacio e mi alzo, li lascio alle mie spalle, senza più voltarmi.

Entro in casa e corro di sopra, senza dar retta ai miei. Apro la loro stanza e corro verso la cabina armadio, sposto il quadro e dietro vedo la cassaforte e digito la combinazione: la mia data di nascita. All'interno ci sono i gioielli di mia madre, qualche orologio, i passaporti, e tre robuste valigette di cuoio che contengono tre pistole, ne prendo una e controllo che sia carica. I proiettili brillano dentro al caricatore e sorrido nel pensare con quanta maniacalità mio padre pulisca le sue armi. Possiede un'agenzia di sicurezza da prima che io nascessi e ne va davvero fiero.

Ha comprato questa pistola per me, il giorno del mio diciottesimo compleanno. Una Beretta 92 Fs, un'edizione limitata ornata da un'incisione floreale in oro sul carrello e sul fusto, fatta interamente a mano e le guancette in legno di ebano nero. Una vera meraviglia. Ed è come se il tempo si fermasse e la mia mente volasse esattamente in quel preciso istante. Mi ricordo ogni cosa, il tempo, la musica che ascoltano, "Little Things dei One Direction" e  i miei che discutevano.Non succede mai, per quello ne sono sicura,  sono come quelle coppie perfette che si vedono solo nei film d'amore. Sono stati soli loro due per tanto tempo, hanno cercato di avere un figlio per dieci anni, provando qualunque sistema, ma senza risultati e quando alla fine si rassegnarono, ecco che arrivai io. Mi dicono sempre di essere il loro miracolo.

Mia madre non voleva che io mi avvicinassi al mondo di mio padre, ma io non vedevo l'ora. Ogni venerdì andava al poligono e io andavo con lui. Adoravo le sensazioni che mi descriveva, potenza, forza e libertà. Mettere le cuffie e lasciare il mondo fuori, prendere a calci nel culo ogni problema. Era facile, forse troppo. Tutti i dubbi e le incertezze che avevano in quel periodo sembrano così stupidi in questo momento, ma allora sembravano giganti montagne impossibili da spostare. Il ragazzo che mi piaceva non mi filava, i voti a scuola che non andavano bene, la pallavolo accantonata per colpa dello studio, il trasferirmi a Bologna per andare nell'università che desideravo. Lontano da casa e da tutti. 

Ho sparato per la prima volta quello stesso giorno e adesso lo farò su di me per l'ultima volta, per porre fine alla mia esistenza. Non vorrei, ma come sarà la mia vita da domani? Come si affronta tutto questo?

I miei pensieri suicidi sono interrotti dal il mio telefono che vibra nella Celine color carta da zucchero, regalatami il giorno del mio ventiseiesimo compleanno. Non l'ho ancora appoggiata. Sono salita e non ho pensato nulla, solo a prendere questa maledetta arma e mettere fine a questa sofferenza.

Infilo la mano nella borsa e trovo subito il mio I-phone, guardo il display e ci sono un sacco di chiamate senza risposta, la maggior parte di Martina, la mia migliore amica. Siamo cresciute assieme e ora vuole sapere cosa sia successo in questo giorno infernale. Penso a tutte quelle persone che saranno deluse dal mio comportamento, vorrei solo finirla qui, per non vederle soffrire, non voglio spegnermi davanti a loro come una candela che piano piano si esaurisce. Non voglio provare dolore, forse sono solo una codarda, ma non mi importa, almeno non adesso, non ora. E quando allora? Non potrò più tornare indietro, non potrò dare spiegazioni, anche se non sarà difficile da capire. Forse dovrei scrivere qualcosa.

Prendo la penna e un piccolo foglio dalla tasca interna della mia borsetta e scrivo la prima cosa che mi viene in mente:

"Mi chiamo Sofia e ho 26 anni e questa è la mia vita. La fine della mia vita."


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⏰ Ultimo aggiornamento: May 19, 2017 ⏰

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