Sono seduta sul pavimento di marmo congelato del bagno di un hotel.
In che città siamo, di nuovo?
Sembrerebbe sfuggirmi in continuazione il nome di questo posto, dei posti in cui vado in generale.
Ormai appaiono tutti uguali ai miei occhi stanchi.
Non è la prima, nemmeno la seconda volta che improvviso uno studio di registrazione in un bagno.Il computer portatile appoggiato sulla tavoloccia abbassata del gabinetto, una piccola tastiera posata sul pavimento e una miriade di fogli sparsi tutto intorno con frammenti di testi e basi che mi svolazzano nella mente.
Perché il bagno, poi?
Di tutti i posti possibili e immaginabili scelgo sempre questo, il più squallido.Ah, sì. Perchè non ho nessun altro posto in cui andare.
Ovunque mi volto, vedo il nulla.
Ho dimenticato l'ultima volta in cui mi sono sentita a casa.
Questo senso di smarrimento e continuo sconforto mi attanaglia da così tanto tempo che ormai la sua stretta è divenuta quasi un abbraccio fraterno.Così eccomi qua, accucciata contro la parete del bagno di un hotel, uno qualsiasi, con le ginocchia premute contro il petto quasi come se ciò potesse aiutarmi a non fare sprofondare il cuore più di quanto già non sia accaduto.
Si dice sempre che gli artisti scrivono le loro opere migliori quando sono tristi.
Ultimamente, la mia ispirazione sembra essere al suo apice.
O forse sto solo trovando una scusa per scavare nel mio animo e sviscerare ogni malessere nel vano e patetico tentativo di disfarmene.Eppure graffiare la carta ruvida con la punta della penna o la mina della matita mi fa sentire meno desolata, meno sovraccarica.
Almeno mi illudo di condividere con qualcuno questo pungente dolore che mi dilania da dentro.È così che è iniziata: gradualmente.
La solitudine non arriva tutta in una volta... È un'amica silenziosa che si spiana la strada e colleziona ogni tuo fallimento, ogni tua delusione per farne una tappa del proprio sadico percorso lungo il tuo essere.
Non so come sono arrivata al punto di dubitare anche della mia stessa ombra.
Tutti coloro che un tempo mi guidavano nel tragitto tedioso della vita mi hanno voltato le spalle, forse stanchi di corrermi dietro.
O forse sono stata io troppo lenta per raggiungerli.A volte mi sembra di correre una maratona senza fine. L'ossigeno nei miei polmoni si è esaurito molto tempo fa, e adesso non posso far altro che stare a guardare mentre il mondo mi scorre attorno, si trasforma, si evolve.
E io sono ancora troppo lenta.E a questo punto non mi restano che dubbi, infinite domande.
Ho un sacco di domande, domande che vorrei porre a coloro che mi hanno ferita, a coloro che ho ferito.E in mezzo a tutto questo caos, i miei pensieri vanno a lei.
Lei, che fino a un soffio fa era la mia intera vita.
L'unica ragione per cui sarei stata disposta a cambiare tutte le carte in tavola, a stravolgere il mio mondo e quello degli altri.
Ma a volte questo non basta.
Me lo disse anche lei.Getto uno sguardo alla piccola finestra sulla parete di fronte a me.
Fuori tutto è quiete, il sole è scappato via, ma non lasciando il posto alle stelle.
Stanotte il cielo è scuro non solo del suo blu naturale, ma tinto di nubi grigie e malinconiche.Nella mia testa continuano a frullare domande su domande, a cui probabilmente non troverò mai risposta.
Allora perché continui a porgertele? mi chiede una voce che sto cercando di zittire, nel profondo.Dovrei fare qualcosa, per non impazzire. Forse dovrei metterle per iscritto per farle smettere di bruciarmi il cervello...
Ed è lì che le prime parole volano dalla penna sul foglio.
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I have questions (Camren)
FanfictionOneshot ispirata al testo "I have Questions" di Camila Cabello.