Capitolo quarantotto

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Lauren pov

Dopo la data a Mosca, saremo volate direttamente in Canada, il che vuol dire che si avvicinava il quattro di luglio. Ero intenzionata a portare Camila a casa con me, anche se la mia famiglia non avrebbe preso bene la notizia...
Specialmente mia madre.

I miei parenti volevano bene a Camila, l'avevano accolta come una quarta figlia. Non era mai stata un'ospite in casa nostra, mai. Però, dopo che aveva disertato il gruppo, che mi aveva lasciato solo un foglio di carta con poche spiegazioni su di esso, ma tante domande alle quali non avevo potuto rispondere, mia madre aveva sviluppato un certo astio nei suoi confronti.
Si sa... cuore di mamma.

Mio padre mi aveva riservato solo due pacche sulla spalla, non essendo mai stato un uomo di tante parole, ma soprattutto era la sua difficoltà nell'esprimere i sentimenti a scagionarlo da qualsiasi conforto verbale che potesse offrirmi. D'altronde quella parte del carattere l'avevo ereditata da lui.

Mio fratello e mia sorella avevano avuto due reazioni del tutto diverse. Chris si era arrabbiato indicibilmente, ammettendo che se fosse stato un ragazzo sarebbe già andato a prenderlo a pugni. Mia sorella, invece, era scoppiata a piangere. Non conosco nemmeno oggi il motivo di quelle lacrime, ma credo che sapessi già prima di me che avevo perso l'unica persona in grado di farmi giocare a Monopoly per quattro ore interrotte senza stancarmi, ma continuando a ridere. Dopo quell'anno non avevo più preso parte ai giochi, anche se Lucy si divertiva come una matta.

Lentamente tutti si erano abituati a quell'assenza, ma, anzi, credo che addirittura si fossero convinti che l'avessi superata e che fossi in via di "guarigione". Tutti tranne mia madre.

Lo vedevo da come mi guardava, dal sorriso triste di solidarietà che mi rivolgeva, non azzardandosi ad intavolare l'argomento, ma sapendo che qualcosa dentro di me si era rotto e non c'era modo di ripararlo.

Ecco perché avevo il timore di portare Camila a casa. Sapevo che mia madre avrebbe visto solo la crepa che aveva lasciato dentro di me, paventando che potesse lasciarne altre.
Era il suo compito proteggere i propri figli e se non poteva guidarci sulle nostre strade, perché le seguivamo a chilometri lontani da casa, almeno voleva assicurarsi che nessuno spezzasse il nostro cuore (Penso che questo le facesse credere di avere un minimo di controllo su di noi).
E Camila l'aveva fatto e non sapevo se mia madre sarebbe stato in grado di perdonarla.

Ma soprattutto, non ero nemmeno sicura se la corvina avrebbe accettato di venire con me.

Dopo la discussione avvenuta sull'aereo, non ci eravamo parlate molto. Un po' per l'imminente concerto, per le prove e per tutto quello che c'è dietro, un po' perché mi stava evitando.
Non si premurava nemmeno di eclissarlo; mi faceva capire chiaramente che non voleva rivolgermi la parola. Non ancora almeno.

Non capivo il perché di tanta arroganza. Insomma, non avevo fatto la cosa giusta baciando Lucy. Come una stupida ero stata attirata nella sua trappola, ben congegnata, va ammesso. E lei aveva ottenuto esattamente ciò che cercava: qualcosa con cui tenermi in pugno.

Volevo spiegare a Camila le mie ragioni, ma lei non me ne dava la possibilità e più di una volta mi ero costretta a mantenere i nervi saldi, quando, invece, avrei voluto urlarle contro.
Autocontrollo, una cosa difficile da arrogarsi, ma col tempo si impara che a volte è meglio tacere che inveire, perché l'impeto del momento potrebbe complicare maggiormente la situazione. Autocontrollo.

Eravamo atterrate da poco in Canada, io chiudevo la fila, mentre Dinah e Camila l'aprivano e per finire, Normani ed Ally si dirigevano a passo svelto verso la folla al di là delle inferriate. Lucy si era fermata a Mosca e sarebbe rimasta in Russia per due settimane, dopo? Non so cosa sarebbe successo dopo, per ora mi concentravo su quei quindici giorni d'aria.

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