❝Sunk in the thought to feel the distance ❞

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Volevo solamente chiudere gli occhi, affogare nei miei pensieri ed ergere un muro tra me e tutto ciò che mi stava attorno. Ma quando mi isolavo e le uniche due persone che ascoltavo erano le altre due proiezioni immaginarie di me che vivevano nella mia testa (sapete, come nei cartoni animati: una dolce angioletta e una sexy diavolessa), tutto mi sembrava ancora più buio e triste. Nemmeno dentro me stessa mi sentivo al sicuro, poiché quando non si hanno le fondamentali certezze che costituiscono ogni essere vivente, si è completamenti persi.

"Io sono un uomo", "Io sono un gatto", "Io sono una pianta". 

Io cosa ero? Se non mi fossi guardata allo specchio, non avrei mai avuto la certezza di essere un umano. Se non mi fossi tolta i vestiti e non mi fossi costretta a guardare quelle rotondità, non avrei avuto la certezza di essere una donna. Se non avessi visto quelle cicatrici, quelle sbucciature sulla pelle, non mi sarei capacitata del fatto che avevo schiacciato un pisolino di ben otto anni, ferma immobile in un letto di ospedale, mentre la vita là fuori scorreva e la mia rimaneva ferma, ma non del tutto, perché il mio corpo di bambina mi mancava, anche se non lo ricordavo, come non ricordavo tutto il resto. Tutto ciò che potevo fare era accettare le cose come stavano, come avevo dovuto accettare quella proposta di mio padre. In fondo, i soldi che mia madre aveva messo da parte per il mio ricovero, erano esauriti. Io non avevo mai lavorato ed ero sicura avrei avuto qualche difficoltà a cominciare adesso. Praticamente mi stavano buttando fuori a calci ed io non avevo altro dove andare se non da mio padre, nella nostra vecchia casa. A quanto mi aveva raccontato per telefono, prima abitavamo tutti e tre in un "posto immerso nel verde e nel blu, quanto più c'è di simile al Paradiso" e se così era, io volevo arrivarci il più presto possibile, già che ero costretta ad andarci. Forse  lì avrei trovato un po' di pace - pensavo - ma non avevo la più pallida idea che sarebbe stato solo l'inizio dei miei guai. 


Dorksville era esattamente come me l'ero immaginata.

Tanto per cominciare, che nome è "Dorksville"? Al massimo lo avrei dato ad un parco giochi; secondo era completamente, prevedibilmente e assurdamente immersa nel "verde e nel blu" come aveva detto papà e questo lo amavo. Poche strade di campagna si snodavano intorno alla piazza del paese, ricoperta di mattoni rossi e vecchie ed enormi pietre grezze. I bordi delle vie erano meravigliosamente acconciati di Gerani rossi e rosa e dove non c'erano abitazione, c'erano negozi, pochi e fondamentali, ma che avevano un aspetto antico e montanaro. Quel luogo mi ricordava quasi di un libro che avevo iniziato a leggere tempo fa. Parlava di streghe della luce e della notte che vivevano in questo villaggio sperduto dai sentieri di pietra e dell'enorme quercia parlante al fulcro del bel paesello. Non riuscivo a ricordarmi il nome, ma trovavo comunque incredibile aver memorie di una storia inventata piuttosto che degli avvenimenti della realtà. 

I medici avevano parlato di "memoria semantica" e " memoria procedurale"; le aree in cui il mio cervello aveva catalogato i comportamenti fondamentali che avevo appreso prima dell'incidente (nuotare, andare in bicicletta, la capitale della Francia) erano rimaste lì dov'erano, erano la  memoria episodica e quella autobiografica ad avermi giocato un brutto scherzo, per questo non riuscivo a ricordarmi tutti gli avvenimenti vissuti, i volti delle persone più importanti della mia vita...almeno per il momento. 

Ed intanto, con un po' di fantasia, non era difficile immaginarmi fate che danzavano per strada. Forse, questo posto non è poi così male pensai in un primo momento, soprattutto quando venne l'ora di incontrare casa Leblanc. 

Il taxi mi aveva portata un po' fuori città, perché si, mio padre mi voleva con lui ma non aveva avuto nemmeno la decenza di venire a prendermi e in quel tempo in cui me la dovetti cavare da sola, sentii di cominciare a maturare più velocemente di ogni altro frutto, forse per recuperare il tempo perduto. Il sapore dell'indipendenza mi aveva soggiogata e presto mi sarei accorta che avrei preferito fare tutto per conto mio, piuttosto che abbassarmi a chiedere aiuto a qualcuno. 

JADE - Le cronache dei lupiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora