"Senti che bel profumo che c'è nell'aria, Giacomo." disse Ranieri, aprendo un poco la finestra per lasciar passare qualche soffio di vento.
A fatica, stanco come non si sentiva da giorni, Giacomo si sporse in avanti, per annusare meglio. Quella, per lui, era stata una giornata orribile, eppure quell'aroma lo rimise alla vita, almeno per qualche istante. Si sentì tornare ragazzino.
Tossì un paio di volte, tanto che Ranieri, preoccupato, si affrettò a chiudere di nuovo la finestra.
"Non dovevi, amico mio..." disse piano Giacomo, dispiaciuto: "Mi faceva piacere. E scommetto che un po' d'aria fresca non possa farmi peggiorare ancora."
Ranieri, riluttante, aprì di nuovo, un po' meno e cercando di deviare il venticello in modo tale che non colpisse l'amico.
"Stavo pensando..." sussurrò Giacomo, perdendosi con lo sguardo nel cielo azzurro che si vedeva attraverso il vetro.
Ranieri restò in attesa, per sentire quali pensieri avessero affollato la mente dell'amico.
"Niente, non è poi così importante." concluse Giacomo, mettendosi le mani in grembo ed assumendo un'espressione placida e tranquilla.
Stava ripensando a Teresa e a quando la vedeva fare i lavori di casa. Com'era giovane e bella, com'era effimera.
"Sicuro che va tutto bene?" insistette Ranieri, appoggiandogli con fare premuroso una mano sulla spalla.
Giacomo annuì platealmente: "Sto benissimo. A parte la salute, sto benissimo."
Ranieri non ne era molto convinto, ma sapeva che non era il caso di insistere, quando l'amico faceva così.
Si decise, allora, a cambiare radicalmente argomento: "Tra un paio di mesi è il tuo compleanno." disse: "Stai già facendo dei programmi?"
Giacomo sospirò: "Trentasette anni e mi sembra di andare a compierne novantasette."
Ranieri si sentì uno stupido, pensando di aver toccato l'ennesimo tasto dolente.
"Ti va di mangiare qualcosa?" chiese Ranieri, sperando di risollevare finalmente l'amico.
"Mangerei volentieri un bel gelato." soppesò Giacomo, non riuscendo a nascondere un rapido sorriso.
"Lo sai che il dottore ti ha detto di limitare i gelati. Non ti fanno bene." lo ammonì l'amico.
Giacomo alzò un sopracciglio: "Un sorbetto, allora."
Ranieri lo guardò, fingendosi molto spazientito.
Alla fine cedette: "E va bene. Un gelato."
Ranieri uscì dalla stanza con passo baldanzoso e Giacomo lo invidiò per un momento. Era così giovane e forte, lui, non era stato vessato quanto lui dalla natura, dalla perfida sorte che attanaglia gli esseri umani. O meglio, anche Ranieri un giorno sarebbe stato conscio del grande inganno in cui era stato gettato dalla sua creatrice, ma era ancora presto.
La sera napoletana era tiepida e serena. Perfino le ossa malandate di Giacomo ne gioivano. Il cielo era pieno di stelle e sembrava un'enorme prato scuro, disseminato di piccoli fiori luminosi.
Quando i due amici ebbero finito di bere il caffè sul balcone, Ranieri aiutò Giacomo a rientrare in casa e a raggiungere la sua camera.
"Va bene, lasciami pure, voglio scrivere un po', prima di dormire." disse Giacomo, una volta che furono nella sua stanza.
Ranieri sorrise: "Va bene. Non ti stancare troppo, però."
Giacomo lo ringraziò di tutto, come sempre, e, quando finalmente l'amico se ne fu andato, Giacomo si mise seduto più dritto che poteva e, ricordandosi come suo fratello minore si preoccupava della sua schiena quando erano poco più che bambini, prese il necessario per scrivere.
Con un respiro profondo che lo fece tossire rumorosamente, intinse la punta della penna nell'inchiostro e poi l'appoggiò sulla carta: "A me stesso." sussurrò, mentre scriveva.
Dopo aver apposto il titolo, si fermò un momento a pensare. Quel giorno, quei profumi di primavera lo avevano riportato indietro, gli avevano fatto rivedere Teresa, gli avevano fatto risentire la sua voce. Lo avevano fatto di nuovo sentire giovane, giovane com'era stato un tempo, non cosciente fino in fondo della realtà.
Si era creduto immortale, come fanno tutti i bambini. Sapeva che la morte esisteva, ma non l'aveva capito fino a quando non se l'era trovata davanti. E ora la morte era la sua unica certezza, ed era sempre più vicina.
E lui, che si era creduto lontano da quel fato, ora capiva che si avvicinava davvero. Il suo cuore prese a battere senza sosta, colto dai ricordi, dai presentimenti e dalle certezze che il suo futuro portava con sé.
'Batti, cuore mio – pensò – finché puoi, scandisci il tempo che mi resta.'
Chiuse un istante gli occhi e poi intinse di nuovo la penna per cominciare a scrivere ciò che provava in quell'istante: "Or poserai per sempre, stanco mio cor." bisbigliò, scrivendo.
Una lacrima cadde sul foglio, e Giacomo non fece nulla per asciugare il piccolo fiume che si stava aprendo sulle sue guance, mentre proseguiva: "Perì l'inganno estremo, ch'eterno io mi credei."
Le sue esili spalle erano ormai scosse da singhiozzi, mentre la sua voce tremava e si rompeva del tutto quando, colmo di amarezza, nostalgia e disperazione, quasi gridò: "Perì!"
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Perì l'inganno estremo, ch'eterno io mi credei
Historical FictionStremato dalla malattia e dal male di vivere che lo aveva accompagnato fin dalla giovane età, Giacomo Leopardi, senza mai abbandonare il suo tratto malinconicamente allegro, si confronta con sé stesso su qualcosa di così grande da portarlo quasi all...