Arrivato davanti alle porte del tempio, il gruppo di diplomatici congedò la propria scorta, ed entrò. Il maestoso tempio di Sartius era una della più imponenti opere architettoniche dell'era antica, costruita col lavoro di migliaia di operai e la magia degli sciamani delle vecchie tribù come omaggio agli dèi creatori. Un tempo era un luogo sacro frequentato dai pellegrini di tutti i cinque regni, ma da quando era cominciata la guerra per la successione di Rodrick era caduto sempre più in disuso. Con gli anni, fu abbandonato a se stesso. Anche i monaci curatori se ne andarono, così non era rimasto più nessuno a lucidare gli inserti d'oro della gigantesca porta d'ingresso, nessuno che ripulisse i dodici bracci della fontana davanti all'entrata, la cui acqua era diventata putrida e stagnante, nessuno avrebbe più suonato le sei campane d'oro che a ogni ora indicavano ai pellegrini il raggiungimento della loro meta. La lunga incuria aveva permesso ad alcuni animali selvatici di entrare indisturbati nei giardini del tempio e di scavarvi la loro tana, e anche la foresta circostante stava cominciando a reclamare quelle terre, man mano che le piante rampicanti scavalcavano i muri di pietra e colonizzavano l'interno. Dell'antica gloria di questo luogo rimanevano solo i ricordi.
Il generale Varrus spinse il portone, che si aprì senza difficoltà. Il lucchetto arrugginito che lo sigillava era stato rimosso alcuni giorni prima, da colui che i diplomatici speravano di trovare ancora nel tempio.
Entrarono. La cascata di luce che le porte aperte e le vetrate, quasi tutte infrante, lasciavano passare illuminò l'immensa sala centrale del luogo di preghiera. Era facile intuire gli sfarzi che un tempo dovevano averla adornata, ma ormai ogni oggetto prezioso in buone condizioni era stato razziato, gli arazzi pendevano laceri e insudiciati alle pareti, una delle titaniche colonne era crollata, stritolata dai viticci di uno dei rampicanti più invadenti, e tutto era ricoperto da un cinereo strato di polvere. In fondo alla sala, dietro all'altare, le statue dei dodici Divini si stagliavano in tutta la loro magnificenza, ma neanche loro erano state risparmiate dal tempo: lunghe crepe percorrevano il pregiato marmo bianco con cui esse erano scolpite. La grande sacerdotessa Lubiz non poté trattenere un gemito di sconforto nel constatare che alla statua di Elandil, dea della vita e della fertilità, mancava la testa.
-Questo posto cade a pezzi. Un vero peccato- commentò il console Fromm, lisciandosi la folta barba grigia.
-Evidentemente al nuovo inquilino questo aspetto decadente non dispiace- sentenziò il generale Varrus.
-Potrebbe benissimo essere stato lui a dileggiare la statua della venerabile Elandil- disse la sacerdotessa con disprezzo. -Un individuo del genere, in rapporti così intimi con la morte, di certo non sopporta la vista di una reliquia della dea della vita... Davvero disgustoso-.
-Signori, posso ricordarvi che siamo qui in missione diplomatica?- intervenne la tetrarca Moryen, l'elfo inviato dalla gilda degli Assassini di Tyrr -Colui con cui siamo venuti a parlare potrebbe rappresentare la soluzione a questa guerra che sembra durare in eterno. Non ritengo saggio approcciarci a lui così pieni di risentimento prima ancora di avergli parlato-.
La grande sacerdotessa sbuffò, ma non aggiunse altro.
-Giusto, giusto, dobbiamo avere un atteggiamento positivo- convenne il console. -Prego, generale, fateci strada-.
Il generale Varrus, altero condottiero militare indurito da anni di guerra, attraversò a grandi passi la sala raggiungendo una delle porte sul fondo, che conducevano alle rampe di scale che collegavano l'altare con gli appartamenti dei monaci, ai piani superiori. Aperta una delle porte, si bloccò all'improvviso, sentendo un suono attraversare l'aria. Più che un suono, era una vera e propria melodia: qualcuno stava suonando uno strumento.
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La danza della morte
FantasyMentre il suono dei tamburi di guerra si fa sempre più assordante, e i regni sono devastati dalle battaglie incessanti, un piccolo gruppo di diplomatici cerca di convincere un improbabile alleato ad aiutarli a porre fine al conflitto.