Atto I - Come tutto ebbe inizio

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Il mio nome è Irelith e sono una mezzelfa.

Sono nata, nel piccolo villaggio umano di Ralios, dall'unione fra mia madre Selenia, elfa e druido del villaggio, e mio padre Lario, un umano che faceva parte dei cacciatori del villaggio.

L'unione fra elfi e umani era considerata simbolo di tradimento e fonte di sdegno a Ralios e, per questo motivo, i miei genitori furono costretti a fuggire dal villaggio subito dopo la mia nascita.
All'epoca ero troppo piccola per capire il motivo per cui avevamo dovuto lasciare il "mio" villaggio ma capii dove stavamo andando.

Dopo diversi giorni di cammino arrivammo al villaggio di Solfeim, un piccolo villaggio elfico situato nei boschi millenari.
Col tempo scoprii che Solfeim era il villaggio natio di mia madre da cui, 45 cicli lunari prima, erano stati rapiti numerosi elfi dagli umani di Ralios. Questo creò una forte diffidenza da parte degli elfi nei confronti di mio padre il quale dovette guadagnarsi la fiducia del saggio Elinor attraverso numerose imprese che però, infine, gli permisero di divenire un riconosciuto guerriero delle armate elfiche, nonché guardia del saggio.
Nel frattempo, mentre mia madre stava continuando a prestare i suoi servigi druidici a tutto il villaggio, io e una decina di altri giovani elfi imparavamo le arti della caccia, dell'alchimia e della magia.

I giorni passavano in fretta, finalmente eravamo tornati in uno stato di pace quotidiana, a differenza delle continue aggressioni da parte degli umani che subivamo ogni giorno a Ralios. Ma purtroppo, la pace non durò a lungo.

Avevo 19 anni quando successe... e ancora oggi quel giorno è rimasto impresso nella mia mente...

Il quinto ciclo solare della terza era, un manipolo di soldati umani riuscirono a battere alcune delle guardie incaricate di proteggere il saggio. Un uomo, in una lunga tunica dal color corvino, riuscì ad entrare nella stanza di Elinor, il quale, venne rinvenuto qualche minuto dopo privo di vita e con un pezzo di pergamena sul viso:

Mai togliere ad un uomo ciò che esso si prende

Il messaggio si riferiva a mia madre, l'unico druido del villaggio che, all'epoca, era incaricata di curare le ferite dei soldati che tornavano dalla guerra.

Quel giorno, quel fatidico giorno, scoppiò la guerra fra Solfeim e Ralios.

Mentre mio padre era stato chiamato a combattere in prima linea per difendere il villaggio, mia madre ed io eravamo rimaste in piccoli rifugi scavati negli alberi con lo scopo di proteggere bambini e feriti a curare più soldati che potevamo.
Più passava il tempo e più speravo in una conclusione pacifica della guerra, non ce la facevo più a vedere bambini che piangevano dalla disperazione, famiglie separate dalla morte e soldati talmente tanto feriti che il loro destino era già segnato per sempre.
Perché umani ed elfi non potevano convivere, perché bisogna sempre combattere contro ciò che è diverso, perché non si può star bene tutti assieme... queste erano le domande che mi facevano, domande che più che essere tali erano speranze per una vita migliore.

Ma quelle speranze, un giorno, sparirono per sempre.

Una notte mio padre venne ricoverato nel centro in cui eravamo io e mia madre. Mi ricordo perfettamente quel momento, mia madre che correva per tutto il centro per riuscire a prendere erbe e unguenti e mio padre con mezza freccia che gli fuoriusciva dal petto mentre ormai un fiume di sangue gli bagnava la schiena ancora coperta dall'armatura.
Il mio viso era un misto fra paura, dolore e voglia di piangere, mentre quello di mio padre era sereno... nonostante il dolore che gli provocava quella freccia continuava a sorridere pur di non far scoppiare a piangere me e mia madre.
"Tranquilla, mia piccola lince, il tuo papà tornerà come prima" – mi disse.

Finalmente, dopo un'ora di lungo lavoro da parte di mia madre, mio padre era stabile, non ancora pronto per tornare in battaglia ma almeno riusciva a respirare senza problemi e l'emorragia causatagli dalla freccia si era già fermata, quando ad un tratto, le porte del nostro centro vennero sfondate.
Un enorme demone dalle sembianze umane con addosso un'armatura fatta di vetro, aveva fatto breccia nel centro, permettendo così ai suoi soldati, assetati di sangue, di entrarvici.
Appena ci accorgemmo di ciò che stava succedendo io e i miei genitori ci rifugiammo in una delle stanze più remote del centro, quella delle erbe mediche. Dalla porta udimmo urla strazianti, porte e mobili che venivano distrutti dai soldati umani, pianti e infine, silenzio, eravamo gli ultimi superstiti del centro.
Dopo qualche minuto, la porta della stanza si aprì di colpo e in quel momento mi si gelò il sangue, il demone di vetro stava entrando nella stanza.
Mio padre, con le poche forze che gli rimanevano, sguainò la sua spada in Esmarillion e si pose davanti a me e mia madre per difenderci dal "demone di vetro", ma quando lo fece, il demone estrasse da una piccola borsa una collana in argento a cui era attaccato un insolito ornamento in cristallo che ricordava un occhio di drago.
Quando mia madre vide l'amuleto sbiancò, sapeva che cos'era, ma non feci in tempo a chiederglielo, si tolse velocemente uno dei suoi anelli e dopo averlo riposto fra le mie mani mi ordinò di scappare lontana dal villaggio senza mai più far ritorno e così feci.
In fretta mia madre mi fece uscire dalla finestra che vi era alle nostre spalle ed iniziai a correre lontano, cercando di non farmi vedere dai soldati umani che stavano incendiando l'intero villaggio.
Ad ogni passo che facevo le lacrime aumentavano, tanto che riuscivo a malapena a vedere ciò che mi circondava. I ricordi si facevano sempre più vivi, i ricordi degli amici, delle persone del villaggio che mi hanno sempre aiutata, i miei genitori... non potevo abbandonarli così.
Mi voltai e correndo ancor più veloce di prima andai verso il villaggio ma quando mi mancavano solo qualche decina di passi per tornare al centro, udii un enorme boato e poi un fascio di luce illuminò tutto il villaggio, accecandomi per qualche istante tramutandolo in polvere.
Quando aprii gli occhi mi trovai davanti a uno scenario agghiacciante, le uniche cose che erano rimaste erano l'esercito umano e il demone di vetro fermo esattamente dove fino a qualche secondo prima vi era il centro, lo stesso centro in cui vidi i miei genitori per l'ultima volta, del resto del villaggio nemmeno una traccia.

I miei amici, dove ci addestravamo, la mia casa, i miei genitori, i miei sogni, le mie speranze, la mia vita, era tutto sparito in un istante.

A quella visione mi cedettero le gambe, mi inginocchiai per terra, con le mani fra i capelli, mentre fiumi di lacrime tagliavano la mia pelle come lame affilate e un urlo di agonia squarciava le mie corde vocali e poi, il nulla.

Mi risvegliai la mattina successiva in quel poco che ormai rimaneva del villaggio, ormai dove una volta vi era Solfeim, ora vi era soltanto un lago di sangue color cremisi, seppur questa visione avesse provato duramente i miei sentimenti e il mio stomaco, una visione molto più agghiacciante faceva da sfondo a quel macabro dipinto.
Per tutto il villaggio vi erano corpi umani martoriati e pieni di tagli, come se un esercito nemico li avesse sconfitti e poi razziato i loro corpi.
Pensai che non fosse possibile, avevamo perso, com'era possibile che tutti quegli umani fossero stati uccisi durante lo scontro, ma non appena finii di pormi queste domande notai che il mio braccio sinistro era diverso dal solito e del sangue umano gocciolava da esso.
Il braccio, seppur stesse tornando come prima, era di un color nero come l'ebano e dei lunghi artigli affilati, come di acciaio, avevano preso posto della mia mano, l'unica cosa di familiare che era rimasta era l'anello che mi aveva dato mia madre.
Dopo una decina di minuti il mio braccio tornò normale, avrei voluto capire cosa stesse succedendo ma non c'era tempo, iniziai a cercare tra i corpi quelli dei miei genitori, ma senza risultati. Né dei mei genitori né del demone di vetro vi era più traccia.

Poco prima di iniziare il mio cammino scorsi un piccolo frammento lucente dove una volta vi era il centro, mi avvicinai per capire cosa fosse. Era la spada in esmarillion di mio padre, quella lunga spada che un tempo mio padre impugnava a due mani ora era ridotta ad una piccola lama, poco più lunga di un semplice pugnale.
Quel piccolo pugnale era l'unica cosa che rimaneva della mia famiglia e l'avrei sempre difeso, anche a costo della mia stessa vita.

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