(5) "Lui doveva morire."

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Michelle Adams

Cerco invana di addormentarmi cercando di farmi più ore possibili di sonno, non so bene quando sarà la prossima volta che potrò dormire in pace. Domani ci sarà il processo e non mi va di mostrarmi agli altri come uno zombie, ho già la mia reputazione da "mostro" che mi basta.

So per certa che mi dichiareranno colpevole, in fondo non c'è altra scelta per quello che ho fatto, non penso che mi vada bene ma almeno io un giorno sarò fuori da qui, lui sarà dentro una lurida tomba per il resto dell'Eternità.

A volte penso di aver esagerato ma poi se ripenso agli occhi di mia madre stracolmi di dolore, ci ripenso e mi ripeto che quello che gli ho fatto non è nulla paragonato a quello che ha fatto lui. Lui ha tolto a mia madre TUTTO, e io ho tolto a lui la cosa più importante -per quanto misera fosse- ovvero: la sua inutile e ripugnante vita.

La cosa che fa più male è che: primo, in questo misero giorno non ho mai visto il volto di mia madre in aula, secondo; vedere gli occhi dei presenti puntati solo ed esclusivamente su di me mi mette tremendamente a disagio, sapete no? Parlo di tutte quelle persone che ti osservano -o meglio, squadrano- dalla testa ai piedi, come se volessero farti sentire inferiore a loro, come se loro fossero migliori di te in tutto, come se la loro vita fosse perfetta e la tua fosse, una sola e misera.. Vita. Ecco, odio tutto questo.
Magari hanno ragione, in fondo la mia vita è sempre stata misera e disgustosa già dalle elementari; niente amici, niente amiche, niente vicini disposti a giocare a palla con te, niente inviti ai compleanni dei compagnetti, niente scambi di giochi, niente di niente. Però alle medie è cambiato tutto, alle medie ero stata classificata come:" La ragazza strana e asociale" che tutti accantonavano, ero stata bullizzata, maltrattata, umiliata, presa in giro davanti al ragazzo per cui avevo una cotta, picchiata a sangue e anche discriminata dalla classe, dai ragazzi, dalle ragazze e anche dall'intera scuola. Perché si sa, quando un gruppo di ragazzi diventa "popolare" nella scuola, qualsiasi cosa dice o fa è un esempio per loro, già era difficile sopportare un gruppetto di ragazzi, figuratevi un'intera scuola. Alle superiori però, cambiò tutto.

Quando iniziai le superiori mi ripetevo che sarebbe andato tutto bene, che le cose sarebbero cambiate, infatti così fu, le cose cambiarono si, ma non in meglio.
I primi giorni furono quelli più "calmi" se così si può dire, nessuno mi calcolava e nessuno mi infastidiva, perciò arrivai ad essere felice di andare a scuola. Ma col passare del tempo mi resi conto che quello che stavano per farmi, era molto più di chiamarmi "asociale".
I ragazzi iniziarono a fare commenti poco carini sul mio corpo, iniziarono a scrivermi bigliettino con schifezze per poi appiccicarle al mio armadietto, ogni giorno, ogni misero giorno ne trovai uno. Questo però fu una minima cosa, quando i ragazzi iniziarono a prendermi di mira non si limitarono più a molestarmi psicologicamente, ma anche fisicamente. Iniziarono a rinchiudermi nei bagni con loro, iniziarono a tastarmi con volgarità, iniziarono a prendersi qualcosa che andava ben oltre alla dignità.
Quando tornavo da scuola a casa, già da fuori sentivo urlare mia madre, già da fuori la sentivo implorare di smetterla, già da fuori la sentivo cercare il mio aiuto. Nonostante tutto però, i vicini di casa si fecero gli affari propri lasciando così mia madre nelle grinfie del mostro. Studiare iniziò a farsi difficile quando mio padre - non contento di quello che stesse facendo alla moglie- iniziò ad abusare di me, cercavo in tutti i modi possibili e immaginabili di liberarmi, ma come avrei potuto farlo? Avevo solo 14 anni, non avevo tanta forza in corpo. Andare a scuola si fece man mano sempre più difficile, coprivo quello che mi veniva fatto, ma non riuscivo a coprire il dolore psichico. Nonostante tutto però, continuavo a lottare, non per me, a me in fondo non era rimasto nulla, ma per mia madre, sapevo che se mi sarei abbandonata alla morte lei avrebbe sofferto ulteriormente, così iniziai a farmi rispettare, iniziai a riprendermi quello che mi si era stato tolto, inizia a costruirmi un muro intorno a me, iniziai a rispondere alle critiche e ai insulti, iniziai a prendere a schiaffi chi lo meritava, me ne infischiavo della reputazione che mi si era stata data.
Quando un giorno rientrai in casa e vidi mia madre dolorante per terra sul pavimento del salotto non ci vidi più, lui la doveva pagare, doveva pagare per tutto quello che ci aveva fatto, lui doveva morire.
Dissi a mia madre di resistere per qualche altro giorno, il tempo necessario per cercare in internet svariate pene giudiziarie a cui sarei andata contro. Vi starete chiedendo: "Perché ucciderlo? Perché non mandarlo in prigione?" perché? Perché se lui sarebbe andato in prigione, un giorno sarebbe uscito continuando o meglio, iniziando una nuova vita, e che ne sarebbe stato di me e mia madre? Non sarebbe stato facile per lei.
Lui dove pagare per tutto, per la moglie, per la figlia, per la sua misera vita da fallito. Lui doveva morire.
Dopo circa una settimana, quando tornai da scuola ed entrai in casa non ci vidi più, accecata dalla rabbia e dal dolore per mia madre iniziai a picchiare mio padre con tutta la forza che avevo in corpo lasciando prendere il sopravvento alla rabbia, quando lui si liberò e iniziò a urlarmi contro che fossi una "puttana" come mia madre, quella fu la goccia che fece traboccare il vaso, afferrai la prima cosa che mi capitò sotto mano e iniziai a colpirlo al petto ripetutamente, mi fermai solamente quando il mio braccio cedette dalla stanchezza, e lì mi accorsi di aver colpito mio padre più e più volte con un coltello da cucina. Quando ebbi finito abbracciai subito mia madre e gli sussurrai:" È tutto finito." quando vidi mia madre sorridere per la prima volta dopo tanti anni, pensai: Ho fatto la cosa giusta. Lui aveva pagato.
Quando mia madre mi disse che si sarebbe occupata lei del corpo di mio padre, corsi subito a lavarmi. Quello che mi si presentò davanti mi fece venire il volta stomaco, quella notte vomitai anche l'anima.
I mesi e gli anni che vennero dopo non furono dei migliori, perdemmo tutto, la casa, i soldi, e anche la voglia di vivere, inizia a prostituirmi per soldi, mia madre doveva mangiare, le avevo promesso che ci avrei pensato io a lei, e così feci. Iniziai a lavorare giorno e notte, tra bar, pulizie in casa dei ricchi e babysitter, iniziammo una nuova vita, avevo rubato qualche banconota dalla cassaforte -di cui avevo segretamente spiato il codice- di una delle tante case dei ricchi che andavo a pulire. Col passare del tempo ci stabilizzammo sia economicamente, che mentalmente. Nessuno aveva scoperto cosa avevo fatto, o almeno fino a qualche settimana fa, i genitori rompi cazzo di mio padre iniziarono a fare domande e dopo svariate ricerche sia da parte della polizia, che da parte loro, risalirono a me. Trovarono le mie impronte sul corpo della feccia e mi prelevarono da casa portandomi dove sono adesso.

Alla fine, passai un'altra notte sveglia.

Ciao ragazzi!
Eccovi un altro capitolo!
Spero tanto che vi piaccia, e vi faccia capire perché Michelle fosse finita in tribunale, spero che questo capitolo abbia chiarito ogni vostro dubbio, in caso contrario scrivetemi nei commenti, cercherò di chiarire i vostri dubbi (senza spoilerare troppo). Detto questo, vi ringrazio mille per le visualizzazioni e noi ci vedremo alla prossima con un capitolo su Thomas! Bye.

-Chiara

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