Ogni ciocca di capelli, ogni singola lentiggine, ogni piccola vena delle guance, persino le unghie slabbrate e tartassate dalla frenesia: tutto conosceva di lei. Se chiudeva gli occhi era in grado di replicare nel fondo nero della mente ogni millimetro della sua pelle o le linee appena abbozzate del cavo delle mani. Avrebbe saputo disegnare il profilo della sua figura anche usando la sinistra, che non era certo la sua mano buona. E le labbra, quelle sarebbe stata in grado di farle emergere da un piccolo avvallamento di sabbia semplicemente soffiandoci delicatamente sopra. Perché Teresa era la sua bambina, era la sua rosa, la sua vita, carne della sua carne, pensiero del suo pensiero e adesso non poteva più avvicinarla, non poteva più toccarla, non poteva più stringerla al seno, inebriandosi dell'odore di talco e menta che emanava, né ascoltare in silenzio i suoi sussurri segreti, i suoi ansiti, i suoi gemiti, il suo sonno regolare.
E allora aspettava la pioggia, Irene, diventata adulta e madre mentre era ancora ragazzina, senza rendersi conto di quel che accadeva. Aspettava la pioggia e s'avvicinava sotto l'acquazzone, perché nel mosaico di ombrelli, auto che s'addossavano il più possibile ai cancelli, sciabordii di stivali nelle pozze e tergicristalli lanciati al massimo contro il ritmo lesto delle gocce, poteva mescolarsi nella folla e arrivare a sfiorare la piccola Teresa, mentre la madre di rimpiazzo saliva con le ruote su uno dei marciapiedi attorno alla scuola. Ecco che Irene si abbassava fino alla punta di quel nasino, ne captava il respiro e interpretava facilmente quei timidi pensieri di attesa e apprensione.
«Ciao piccolina, non ti preoccupare, adesso tua mamma arriva!» La tranquillizzava sorridendo, col cuore che si contorceva, costretta ad assegnare a un'estranea quel sostantivo d'appartenenza familiare.
«Sì, lo so, ho visto la macchina. Ma tu di chi sei la mamma?» Le chiedeva Teresa, curiosa, con quegli occhi grandi e verdi.
«Sono la mamma di una bimba nella pioggia!» Rispondeva Irene cercando di non incrinare la voce con increspature di pianto, che i bambini sanno riconoscere alla prima vibrazione. Ma era vero, perché solo nella pioggia lei tornava ad essere per qualche istante la madre di Teresa, a cui poteva regalare un sorriso e ottenere in cambio un frammento di voce e la radiosità di quegli occhi di un verde senza fine. Solo la pioggia mimetizzava Irene nella bolgia dell'uscita di scuola, altrimenti qualche genitore avrebbe potuto notarla e allarmarsi. Per questo ormai pregava che venisse giù prima possibile un temporale. Se proprio doveva chiedere qualcosa al cielo, non invocava più giustizia, pietà o un miracolo che rovesciasse per intero la sua vita; gli chiedeva soltanto di riempirsi di nuvoloni neri e poi che mandasse giù a più non posso quell'acqua di purificazione ed espiazione, quella pioggia di fecondità e resurrezione.
A quello stesso cielo, un tempo, Irene aveva confessato di non volere la piccola dagli occhi di bosco erboso: questo era il suo peccato. Lo aveva scongiurato di riprendersela così come gliel'aveva inviata, visto che i medici si rifiutavano di liberarla dall'angoscia di una maternità a quindici anni appena compiuti. C'era quella deformazione congenita nel mezzo e intervenire sarebbe stato come giocare alla roulette russa con cinque proiettili nel tamburo e una sola cavità vuota in cui sperare: nessun chirurgo aveva avuto il fegato di assumersi un rischio del genere. E allora ecco l'idea di utilizzare ancora le bianche pillole dell'ebbrezza estrema: se a causa loro s'era persa nell'enfasi dell'irragionevolezza, forse un'assunzione maggiore avrebbe potuto regalarle quell'aborto spontaneo che le sue mani giunte continuavano a invocare.
Adesso Irene non ricordava quasi nulla di quei giorni. Tutti uguali come spezzoni caotici di uno stesso sogno, tutti tirati al massimo e consumati come il succo di ghiaccioli da pochi centesimi. Esasperati, sofferti, dilapidati e compressi nuovamente. Nonostante questo sentiva che la creatura non mollava di un solo centimetro. Come uno slalomista evitava le scorie infette che una parte dell'organismo materno le lanciava contro e s'aggrappava ancora di più alla parte sana, alla parte buona che continuava a nutrirla, la carezzava e dolcemente la cullava nel bagno tiepido del suo avvolgente abbraccio interno.
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La bambina nella pioggia [Oneshot]
Short StoryUna giovane donna si avvicina furtivamente all'uscita di una scuola materna. La fretta e l'ansia la consumano: non dev'essere notata. -Tu di chi sei la mamma?-