Viole

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Capitolo VI

Quel giorno Belle non uscì dalla propria stanza, neanche per mangiare.
La mattina seguente peró, dopo una lunga notte insonne, non poté fare a meno di scendere per la colazione: era da due giorni che non toccava cibo.
Aprì lentamente la porta, girando, senza far rumore, la piccola chiave d'oro infilata nella serratura, sbirció fuori per controllare che non ci fosse la Bestia e infine si decise ad uscire. Scese le immense rampe di scale che aveva salito il giorno prima per arrivare alla stanza di Leonard, tenendo alta la guardia. Belle aveva un buon senso dell'orientamento, e dal momento che il giorno precedente aveva notato il grande tavolo nel salone da pranzo, non le fu difficile ritrovarlo. Quando giunse nella sala notó con stupore che era apparecchiato un posto a capotavola; pensó che fosse del padrone, e dal momento che non aveva alcun desiderio di trovarsi davanti quella creatura orrenda, che probabilmente stava per arrivare dato che non era stato toccato cibo, fece per dirigersi verso la cucina, comunicante con la sala da pranzo, quando alle sue spalle udì aprirsi il portone da cui era entrata qualche secondo prima. Belle non ebbe il coraggio di voltarsi; le batteva il cuore a mille, non riusciva a muovere un muscolo, sudava freddo: la Bestia era proprio dietro di lei. Quasi le scendevano le lacrime per il terrore: ora non era più protetta dalle mura della sua sua stanza. S'era profondamente pentita per aver risposto così sfacciatamente la sera prima: il padrone l'avrebbe senz'altro punita. Stava già per chiudere gli occhi, attendendo la sua punizione, ma la Bestia neppure si avvicinó a lei: si fermó poco più avanti della porta: Belle ne vide il riflesso nel bicchiere poggiato sul tavolo davanti al piatto d'argento. Ci fu un lungo silenzio, finchè la Bestia non parló:
-Perchè state lí ferma? Non dovete certo chiedere il permesso per sedervi.
Belle non si mosse di un centimetro.
-Se volete uccidermi fatelo adesso. Vi prego soltanto di essere veloce.
Disse la ragazza trattenendo i singhiozzi.
La Bestia stette un attimo in silenzio, poi sospiró lentamente.
-Allora mi reputate davvero un mostro.
Disse con voce sommessa.
-Ditemi Belle, siate sincera con me. Avete davvero così tanta paura di me da pensare che potrei uccidervi?
Belle non capiva. Questo significava che il padrone non voleva farle del male?
-Se non volete farmi del male per punirmi della colpa di mio fratello, allora cosa vorreste fare di me?
Belle udì un altro sospiro alle sue spalle.
-Voglio che sappiate una cosa Belle: voi siete qui non perché io voglia punirvi né perché io voglia farvi del male, ma per evitare che vostro fratello sia la causa della mia morte.
Belle sgranó gli occhi. Cosa voleva dire la Bestia?
-In che modo mio fratello potrebbe essere la causa della vostra morte?
-A dire il vero, potreste esserlo voi stessa.
-I...Io? Cosa potrei mai farvi io?
-Voltatevi.
Voltarsi? No, Belle aveva paura. Aveva paura di quella creatura, aveva paura di quello che sarebbe potuto accadere se si fosse voltata, aveva paura che tutto quello fosse soltanto un inganno della Bestia, così rimase immobile, come lo era stata fino a quel momento.
Vide riflesso nel bicchiere il padrone che scuoteva il capo, nascosto nel suo mantello nero.
-È tutto inutile.
Sussurró tristemente la Bestia, ma Belle lo sentì benissimo.
-Non c'è bisogno che vi parli più. Ho capito che avete paura di me. Se è quello che desiderate, vi prometto che non mi vedrete più. Sappiate solo che il castello adesso è casa vostra: potrete andare dovunque vogliate, ma non nell'ala ovest del castello, quella è proibita.
Disse in tono rassegnato il padrone.
-Un'ultima cosa.
Belle giró lievemente il capo verso la spalla sinistra, intravedendo la figura della creatura, immobile, nella stessa posizione di quando era entrato nella sala.
-Quella è la vostra colazione. Quando avrete fame non dovrete far altro che venire qui e troverete quel che desiderate.
Detto ció la Bestia si voltó, aprì la porta e sparì.
Belle restó immobile qualche minuto, poi non resistette più, così si sedette e inizió a mangiare, stando sempre attenta ad ogni minimo rumore o movimento; il cibo era davvero delizioso: il pane era appena sfornato e le marmellate che erano in tavola sembravano quelle che preparava sua madre quand'era piccola; la frutta, matura al punto giusto, era appena stata colta dal frutteto del giardino e il latte appena munto dalle cavalle del castello. Quando fu sazia, Belle sparecchió e portó tutto in cucina, lavó i piatti e li ripose nelle credenze, puliti e asciutti. Si chiese chi mai potesse aver preparato tutto quel ben di Dio: nel castello c'erano soltanto lei e la Bestia.
Era stato lui?
Rifletté molto su quello che era accaduto poco prima e su quello che le aveva detto il padrone: le aveva lasciato l'intero castello a disposizione, ad eccezione dell'ala ovest, e le aveva promesso che se avesse voluto, non si sarebbe fatto più vedere. Non voleva farle del male, questo l'aveva capito, ma non sapeva ancora come comportarsi, se doverlo temere oppure no. Il fatto, pensó, era che, nonostante le circostanze e il fatto che non avessero parlato molto, lui era sempre stato gentile con lei, e poi le parlava con una voce così lieve e sincera che le pareva di sentir parlare un ragazzo, non un mostro. Mentre era immersa nei propri pensieri, passeggió a lungo per il castello, ammirandolo in tutto il suo splendore: sebbene fosse chiaro che era da molto tempo che nessuno se ne prendeva più cura, le ragnatele e la polvere lasciavano trasparire l'antico splendore dei lampadari, dei pavimenti e dell'elegante mobilia, degni del palazzo di un ricco sovrano. Visitó molte delle sale del castello, ma, pensó ad un tratto, come avrebbe fatto a riconoscere l'ala ovest? E se in quel momento fosse stata proprio nell'ala proibita?
Trovó la risposta a tutte le sue domande qualche minuto dopo, quando, giunta in un immenso salone, si trovó davanti ad un'enorme scala di marmo nero, completamente ricoperta di rampicanti di viole, rinsecchiti. La scala era altissima e all'estremità si diramava in due corridoi opposti, nascondendo le stanze nelle quali portava. Al di sopra della scala c'era una grande vetrata, completamente oscurata da pesanti tende nere. Sopra di essa degli enormi lampadari neri, ricoperti di ampie ragnatele, illuminavano di una tenue luce i gradini di marmo nero, in modo da permettere di distinguerli l'uno dall'altro. Le venne subito in mente a quanto somigliasse alla scala che portava alla sua stanza, anzi, era identica, solamente che questa, a differenza dell'altra, era terribilmente cupa.
Fece immediatamente retrofront, ricordandosi del divieto della Bestia, e si avviò nuovamente verso l'ala est. Ritornata lì, decise che sarebbe stato meglio tornare nella sua stanza: aveva girovagato anche troppo quella mattina. Stava giusto per salire la grande scala bianca, quando notó una porta che dava sull'esterno. Si affacció alla finestra accanto e potè ammirare l'immenso giardino del castello.
Era davvero meraviglioso: la sera prima l'aveva visto alla calda luce del tramonto, adesso poteva ammirarlo a quella fresca e luminosa del giorno, sotto un cielo di un azzurro incantevole e puro. Non potè fare a meno di uscire e respirare l'aria fresca del mattino: dopo aver passato tutto quel tempo chiusa in una stanza le parve di rinascere.
Passeggió lungo i sentieri di ciottoli chiari, lasciandosi incantare da fiori e piante mai visti, dalle splendide fontane di pietra da cui zampillava acqua cristallina, dai freschi laghetti nei quali nuotavano pesci coloratissimi e dagli immensi alberi, le cui fronde proteggevano i fiori più delicati dalla calda luce del sole. Le viole, che erano ovunque in quel castello, non potevano certo mancare nel giardino; infatti, da qualunque parte ci si voltasse, il loro caratteristico color viola adornava ogni albero ed ogni oggetto, statue e fontane, su cui la pianta aveva avuto la possibilità di arrampicarsi. Era così intenta ad osservare quelle meraviglie che quasi non si accorse che poco lontano da lei, con un ginocchio poggiato al bordo di una splendida fontana di pietra, sedeva il padrone, coperto dal suo mantello nero, che lasciava scoperte le robuste corna ricurve, con il capo chinato in basso e un braccio, coperto da una benda sporca di sangue, appoggiato al ginocchio. Belle si fermó a guardarlo mentre quello, con molta delicatezza, slegava la benda dal braccio per lasciar respirare una profonda ferita ancora sanguinante che gli solcava quasi interamente l'arto, che ricoprì subito per fermare l'emorragia. Era una ferita davvero terribile, pensó Belle.
Mentre un allegro passerotto si poggiava davanti a lui sul bordo di pietra della fontana, il padrone volse distrattamente lo sguardo verso l'acqua, ma non appena il suo volto si fu riflesso sulla superficie, egli si ritrasse di scatto con un cupo ruggito. Belle rimase stupita da quell'atteggiamento: possibile che si fosse ritratto per aver visto la propria immagine riflessa?
La Bestia stette immobile per qualche istante con il capo rivolto dalla parte opposta all'acqua, poi volse lentamente lo sguardo verso il rampicante di viole che ricopriva parte della fontana, accarezzó delicatamente un fiore con le sue enormi zampe artigliate, si alzó e se ne andó, con il capo chinato in basso.
Belle non poteva credere ai propri occhi.
Lui stesso si odiava a tal punto da non poter sopportare di vedere la propria immagine riflessa nell'acqua?
La ragazza si avvicinó alla fontana dove s'era seduta poco prima la Bestia, e notó che la pianta di viole che il padrone aveva appena sfiorato con la zampa s'era completamente rinsecchita, dalla radice sino all'estremità. Belle non riusciva a credere ai propri occhi: pochi istanti prima le viole della pianta erano vive e colorate. Possibile che il tocco della Bestia le avesse fatte appassire?
Spinta dalla curiosità, domandandosi cos'altro sarebbe potuto accadere, Belle raccolse con le mani l'acqua dalla fontana e con delicatezza la versó ai piedi della pianta appassita: subito una sottile striscia di luce chiara avvolse il rampicante, i fiori e le foglie sbocciarono nuovamente e la pianta divenne più verde e florida di quanto fosse stata prima.
La ragazza rimase a bocca aperta: non riusciva a capacitarsi di quanto potesse essere strano quel luogo: succedevano continuamente cose incredibili. Guardandosi intorno notó che diverse piante di viole erano nella stessa condizione di quella che aveva appena curato, così a poco a poco, pianta per pianta, Belle ne curó più che potè, e parte del giardino, prima secca e appassita, riprese vita, sfoggiando viole meravigliose in tutto il loro splendore.
La ragazza peró ancora non capiva: la Bestia aveva rinchiuso suo fratello per avere colto uno di quei fiori, dunque il padrone doveva tenervi veramente molto, per qualche motivo a lei sconosciuto; inoltre sia lei che suo fratello, stando alle parole della Bestia, sarebbero potuti essere un pericolo per lui, poiché conoscevano qualcosa che avrebbe potuto fargli del male, o addirittura ucciderlo. Ma che cos'era? Erano ancora tante le cose che Belle non sapeva, ma mancava solamente un tassello perché lei potesse capire a fondo quale valore avessero per il padrone quei fiori maledetti.

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