Lovely cafè

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Era il 2 Dicembre quando lo vide per la prima volta: il braccio destro era quasi interamente coperto di inchiostro nero, la giacca era posata sullo schienale della sedia su cui era seduto e, sul tavolo, di fianco alla sua mano sinistra, un cappello di lana grigio topo. Di certo sarebbe sembrato più innocuo se non avesse avuto quel cipiglio arrabbiato in fronte, ma Harry pensò che fosse bellissimo lo stesso, con quel suo fisico asciutto e non troppo muscoloso, la bocca sottile, il naso piccolo e perfetto e, dannazione, quei meravigliosi occhi azzurri.
Harry si considerava completamente diverso: grosso e impacciato, una marea di capelli ricci e scuri completamente diversi da quelli lisci e biondo cenere del ragazzo poco distante da lui, il naso decisamente troppo grosso e bitorzoluto per il suo viso. Troppo alto per risultare invisibile, si accontentava dei suoi occhi verdi, l'unico dettaglio che considerava minimamente attraente di sé.
Chissà che lavoro faceva, poi, quel ragazzo. Lui era un semplice cameriere/cassiere da Starbucks, quello poco distante dal Dome di Doncaster. Aveva terminato gli studi da circa due anni, e quello era l'unico straccio di lavoro che era riuscito a procurarsi, dopo non pochi mesi di ricerca. La sua vita era noiosa e monotona, a detta sua (e di chiunque altro): sveglia alle sei, colazione svelta e doccia altrettanto veloce, lotta con il phon per asciugarsi i capelli e poi via, fuori della porta, con dei vestiti scelti a caso dall'armadio dal momento che si sarebbe successivamente dovuto cambiare, indossando la divisa impostagli dal luogo di lavoro (orribile, oltretutto, lo faceva sembrare ancora più massiccio di quel che già era). Salutava Kristeen e Carl con un cenno veloce della mano e poi... Poi si sbrigava a svolgere i suoi compiti. Sempre gli stessi: servire i clienti, stare alla cassa, lavare i pavimenti quando serviva e cercare occasionalmente di riparare qualche guasto. Poi, alle sei di sera, finalmente, poteva rinchiudersi nello stanzino del personale, cambiarsi e correre a prendere l'autobus per tornare a casa.

Alle cinque e mezza di quel pomeriggio, invece di pensare al momento in cui sarebbe tornato a casa, si sarebbe voluto schiaffeggiare per non aver servito quel bellissimo ragazzo (causa lavaggio pavimento). Di solito era Carl a pulire, ma quel giorno se ne stava dietro al bancone (Kristeen preparava il caffè e serviva le ciambelle), quando un bambino rovesciò tutto il suo milkshake sul pavimento lucidato solo il giorno prima.
"Dannazione" aveva pensato allora Harry: "Dannazione, dannazione, dannazione" e intanto osservava Kristeen mentre camminava con passo seducente verso il suo cliente. Lei era una brava ragazza, simpatica e sincera, ma quando voleva sapeva essere sexy da fare schifo. Se quel ragazzo fosse stato etero, allora non avrebbe avuto nessuna speranza, ma stranamente nemmeno la guardò, si limitò a girare furiosamente il cucchiaio dentro la tazzina.
"Okay" si disse allora il riccio: "O è gay, o è davvero molto arrabbiato. Oppure entrambe le cose, chi lo sa".

Harry non era consapevole del suo gradevole aspetto. Quando camminava frettoloso sul marciapiede per non perdere l'autobus, le teste delle ragazzine si voltavano come girasoli quando seguono la nascita e il calar del sole. Aveva capito di appartenere all'altra sponda da un po' (probabilmente dagli ultimi anni di scuola), ma i suoi familiari l'avevano notato molto tempo prima. Era un qualcosa che il suo patrigno non aveva ancora avuto il coraggio di credere ed incoraggiare, ma Anne amava suo figlio, avrebbe accettato ogni suo orientamento sessuale.

Kristeen si diresse di nuovo al bancone, lanciando un'occhiata stupita ad Harry che stava a significare: "Ma l'hai visto quello lì?"
Eccome se l'aveva visto.
Cercò di concentrarsi sulle pulizie per i venti minuti successivi, senza distrarsi. Stava passando lo strofinaccio sul bancone già lucido con una foga quasi maniacale quando Carl gli mise una mano sulla spalla: Harry inspirò e scattò all'indietro, troppo preso per ricordarsi di avere altre persone attorno. Carl rise e gli diede un paio di pacche sulla testa:-Vai a chiedere al nostro ultimo cliente se ha voglia di qualcos'altro-.
La sua voce era profonda e calda, ma per niente roca. Certe volte ad Harry veniva la pelle d'oca ascoltandolo. Pensava che avesse il timbro più meraviglioso mai esistito.
Si voltò spaesato, ritornando alla realtà, al suo posto di lavoro. Osservò prima le sue scarpe slacciate e poi il pavimento bianco.
-Ah, sì. Va-... Vado- balbettò, poi si incamminò fino al tavolo ancora occupato e rimase di sasso quando si trovò davanti il belloccio. Era ancora appiccicato al cellulare, l'espressione meno nervosa rispetto a poco prima. Se ne rimase lì a fissarlo come un allocco, il cervello annebbiato e la mente in tilt. Aprì la bocca e poi la richiuse. Cambiò posizione.
Il ragazzo alzò lo sguardo e inarcò le sopracciglia quando scoprì che qualcuno lo stava fissando.
-Ehm, vorreb...- la voce gli uscì talmente roca che dovette mettersi la mano chiusa a pugno davanti alla bocca e schiarirsi la voce, l'altro spalancò ancora di più i suoi occhi tremendamente azzurri:-Vorrebbe qualcos'altro?-

Di solito si porgeva questa domanda solo agli ultimi clienti prima della chiusura, poiché ce n'erano troppi durante le ore mattutine e pomeridiane, o comunque se volevano qualcos'altro solitamente si alzavano e si rimettevano in fila per ordinare.

Il moro accavallò le gambe e si stiracchiò allungando la schiena sulla sedia e le braccia dietro al collo, guardandolo:-Penso di essere a posto così, grazie-.
Il suono della sua voce era così strano che Harry sarebbe quasi sicuramente sobbalzato, se solo non si fosse ricordato delle buone maniere: il timbro era molto delicato, ma il tono trapelava assoluta sicurezza.
Poi successe qualcosa che il riccio non si sarebbe mai aspettato: quel bellissimo ragazzo gli sorrise. E non era uno di quei sorrisi forzati che si fanno quando si è irritati da morire: era come se avesse messo da parte la precedente arrabbiatura e gli avesse concesso un frammento di quel che poteva essere il suo buon umore.
Con le gambe instabili ritornò alla cassa, dopo aver augurato una buona serata al cliente, avvertendolo dell'imminente chiusura. Questo se ne andò un paio di minuti dopo, infilandosi la giacca e calcandosi il berretto in testa, lasciando una mancia sul tavolino dove era precedentemente seduto e un vuoto nello stomaco di Harry.

Pulite le ultime stoviglie e dopo essersi rivestito dei suoi abiti borghesi, liberandosi di quelle ridicola divisa, Harry si incamminò verso la fermata dell'autobus più vicina. Una volta che si fu seduto sulla piccola panchina d'attesa, si prese il labbro inferiore fra pollice e indice.
L'attrazione che aveva provato quel giorno era così spontanea e genuina che non poté fare a meno di sorridere, divertito dal fatto che probabilmente non avrebbe rivisto mai più quel ragazzo. Nascosta e seppellita sotto al divertimento del momento, però avvertiva anche una pesante amarezza.
Un incontro casuale durante uno dei tanti e monotoni giorni lavorativi, talmente intenso da spezzare la routine.

Ancora immerso nei suoi pensieri, quasi non si rese conto dell'arrivo del suo autobus. Con le gambe quasi cigolanti dal duro sgobbare si alzò ed entrò nel veicolo. Si passò una mano fra i capelli e non notò nemmeno lo sguardo languido lanciatogli da una ragazza seduta sul sedile accanto al suo.
Finalmente la giornata era finita, poteva tornare a casa.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 25, 2017 ⏰

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