Incipit

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Io e Andrea camminavamo a passo spedito verso il Teatro Verdi, utilizzando scorciatoie che prevedevano vicoli stretti pieni di storie da raccontare; le facciate degli edifici, che sapevo essere di quelle tonalità tristi di rosa e giallo pastello, con il buio della sera e la luce della Luna, sembravano uniformarsi alla brillantezza di quest'ultima. Arrivammo un po' affannate con un'ora di anticipo; Andrea era su di giri e fischiettava motivetti a me sconosciuti, a tratti seguita da un gruppetto di ragazze che era lì dal pomeriggio; mentre io controllavo che nella custodia della mia macchina fotografica ci fosse tutto ciò che mi avrebbe permesso di passare una piacevole serata. Non volevo essere lì, mi sentivo come un pesce fuor d'acqua, ma dovevo, quindi portai la mia ampolla con me.
All'interno del teatro ero un'osservatrice silenziosa, azzardai un paio di scatti al palco, su cui figuravano solamente strumenti e qualche filo, per rendermi conto della visibilità di cui avrei goduto; anche se ogni scatto di quella sera sarebbe rimasto nascosto agli occhi di chiunque, eccetto che ai miei. La fotografia è una valvola di sfogo che non sono capace di condividere: un mondo in cui mi rifugio, non una vetrina.
Iniziò il concerto, l'atmosfera si riscaldò in pochi secondi, tutti erano deliranti, io pensavo ai miei scatti, finché non rimasi rapita dal quadro che si stava creando intorno a me.

Le sue anche ondeggiavano sulle note di una canzone che di francese aveva solo il nome.
I suoi ricci, bagnati dal sudore che, lento, solcava la sua fronte, si muovevano anch'essi.
Ogni parte del suo corpo era pronta a donarsi ad ogni nota.
La mano stringeva un microfono che, freddo, veniva poggiato ripetutamente sulle sue labbra.
"Ah, microfono, fossi io al tuo posto!" sembrava l'urlo silenzioso proveniente dagli occhi accesi di passione di ogni donna presente; urlo al quale la mia voce si sarebbe aggiunta di lì a poco.
Poi, d'improvviso, decise di scendere tra chi lo guardava con amore ed ammirazione; nel salto qualche goccia di sudore appena versato raggiunse i presenti.
Tutti lo guardavano meravigliati, increduli che tanta beltà si palesasse proprio a pochi metri di distanza.
Se mai avessi immaginato l'aspetto del Dio Eros, quella sarebbe stata la sua incarnazione umana.
La sua voce suadente iniziò a riscaldare gli animi del pubblico, che si lasciò trascinare dall'entusiasmo e si avvicinò in un abbraccio platonico.
Ascoltai ogni singola parola di quelle canzoni a me nuove, arrivarono dritte come un pugno allo stomaco, mentre la musica decideva come il mio corpo dovesse muoversi.
Furono due ore di emozioni intense, una gamma che passava, senza chiedere il permesso, dal nero al bianco e di nuovo in controsenso.

Quando il concerto volse al termine, ci trovammo tutti catapultati fuori. Era una notte di freddo pungente, nonostante fosse già primavera e quella temperatura aiutò a liberare la mente da pensieri che continuavano ad accavallarsi. Pochi secondi di silenzio prima che io e Andrea iniziassimo a parlare contemporaneamente, lei, forte della presenza a qualche concerto precedente, mi ringraziò della compagnia; io, di rimando, ancor prima di aver elaborato la serata, la ringraziai di avermi costretta ad accompagnarla.
Quella fu la prima volta che vidi Ermal Meta e che non ebbi bisogno dello scudo di un obiettivo.

50 sfumature di ErmalDove le storie prendono vita. Scoprilo ora