Capitolo 40

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Riccardo

Maddalena accennò ad un saluto con lo sguardo, ma senza dire nulla, mentre attraversava trafelata l'aula per raggiungere il suo banco in fondo alla classe, sotto la finestra da cui si intravedeva il Gasometro. Lanciò il suo zaino arancione ai piedi della sedia, sprofondando contro lo schienale e tirando un sospiro di sollievo quando scoprì che la campanella non era ancora suonata. Si massaggiò le palpebre, intorpidita dai residui di sonno che il caffelatte che beveva alla mattina non riusciva mai a scacciare subitamente.
Mi decisi ad afferrare l'astuccio che avevo già posizionato sul banco e a gettarmi lo zaino in spalla. Volevo recuperare il posto accanto a lei al quale mi ero costretto a rinunciare mesi prima. Una scia di penne che cadevano dal mio astuccio aperto disegnò la scia del mio percorso verso di lei.
<<Mi lasci il tuo banco?>> dissi a Nicoletta, piantandomi davanti a lei come una statua di trionfo. Lei sollevò lo sguardo. Arrossì vistosamente. La mia presenza doveva farla sobbollire un po', sebbene mi avesse sempre detestato al pensiero che il suo era l'unico nome della classe che mancava alla mia lussuriosa lista da dongiovanni. Strizzò gli occhi piccoli dietro gli occhiali spessi, come se faticasse a vedere. Poi scosse la testa. Allora aggiunsi: <<Lo sai che su questo banco sono ancora rimaste le impronte dei miei polpastrelli, vero? Guarda bene quante svastiche rosse ci ho stampato. Non vorrai rovinare la tua reputazione l'ultimo anno, spero. Poi non esci mica con cento e lode se ti fai affibbiare il titolo di nazista.>>

Fece slittare con talmente tanto impeto la sedia all'indietro che urtò la parete di fondo smantellandola di uno strato di cartongesso. Il suo doppio mento faceva da cuscinetto alla sua bocca che si aprì e si richiuse più volte prima di riuscire a pronunciare qualcosa. Con un sorriso sardonico la aiutai a mettere lo zaino in spalla.
<<Solamente perché ci sono rimasti i tuoi microbi. Magari hai l'AIDS>> mi ringhiò tra i denti prima di dileguarsi.
<<Sarai contenta di non essere stata contagiata allora>> ribattei, ma già era lontana.
Quando mi sedetti, mi sentii di nuovo un re in trono accanto alla propria regina. Mi voltai a guardarla. Anche lei sbirciava nella mia direzione, diffidente. Poi si passò una mano tra i capelli spettinati ad arte, se li lisciò un poco, li legò con l'elastico nero che aveva attorno al polso e cominciò a fissare i quadretti sbiaditi della lavagna.
La sensazione di passarla a prendere di prima mattina con la mia Ford e di rimanere bloccati in una Roma grande e trafficata mi mancava. In quei momenti, avevo tutto il tempo di guardarla, quando teneva lo sguardo fisso sul libro di letteratura inglese e ripeteva i paragrafi a mente rosicchiandosi il labbro inferiore, ridestandosi solamente quando prendevo con troppo impeto una curva stretta.
Vidi il suo labbro inferiore tremare lievemente. Fissai la carne delle sue labbra nella disperata speranza mi dicesse qualcosa. Neppure io sapevo bene come muovermi in quel gioco di bilance e di capovolgimenti. Un tempo evitavamo di scambiare parola per timore di avvicinarci troppo, ora che ci eravamo avvicinati troppo, paventavamo la conversazione.
Entrò il professore borbottando delle scuse per il ritardo, gettando la propria ventiquattrore sulla cattedra come se fosse una busta della spesa senza uova. Vidi qualche compagna alzare gli occhi al cielo mentre Petrucci indicava a gran voce la pagina del libro.
Quel silenzio era una scocciatura stucchevole. Mi sporsi verso Maddalena, sfiorandole l'orecchio. <<Pagina trecentoventisette o duecentocinquantasette?>>
<<Trecentoventisette>> rispose lei con voce pudica e misurata.
Mentre sfogliavo, le mie dita si fermarono però alla trecentoventiquattro. Non badai né al titolo né all'autore, ma lessi:

Prese l'abitudine di frequentare le osterie e si appassionò al gioco del domino. Chiudersi ogni sera in uno sporco locale pubblico per battere sui tavolini di marmo gli ossicini di montone contrassegnati dai punti neri gli sembrava una preziosa manifestazione di libertà che lo innalzava nella stima di se stesso. Era una specie di iniziazione alla vita, l'accesso ai piaceri proibiti...

I cinque nomi di Roma Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora