Sogni infranti

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Mi chiamo Rachel, sono una ragazza di origine ebraiche. Ho diciassette anni e fu proprio il giorno del mio undicesimo compleanno che tutto non fu più come prima.

Mio padre, prima dell'inizio della "vera" guerra quando c'erano soltanto alcune controversie non ancora ben definite verso gli ebrei, aveva un bar il quale era frequentato da molte persone di origini ebraiche. Per loro era come un posto in cui rifugiarsi da quel mondo di disprezzo che si stava per estendere all'esterno. Amavo salire sul bancone e mettermi a cantare. Cantavo alcuni canti ebraici ma per lo più in tedesco perché se qualcuno adorante Hitler o qualcuno che odiasse gli ebrei, si fosse infiltrato nel locale avrebbe comunicato tutto alle autorità di grado maggiore e non si sa che cosa ci avrebbero fatto. Un giorno però dopo la chiusura del locale, mentre mio padre e mia madre stavano lavando con un panno alcuni tavoli, entrarono dei soldati tedeschi. I miei genitori sbiancarono velocemente dalla paura e dallo shock. Da qualche tempo erano iniziate delle controversie più maggiori verso gli ebrei, era proibito che essi potessero aprire un locale o anche solo mantenerlo attivo. I soldati della SS iniziarono a buttare i tavoli a terra, a rompere bottiglie di vino sul pavimento e sul bancone, perquisirono la cantina anche per vedere se tra gli alcolici ci fosse qualcosa di valore, aprirono la cassa e prelevarono tutto il denaro. Mi ricordo la frase che dissero: "Voi ebrei non meritate di vivere, figuratevi di mantenere un locale". Ero piccola a quel tempo avevo solo sei anni. Non capivo ancora cosa volessero dire: morte e odio. Ma col tempo lo capii.

Al mio decimo compleanno, la mia vita radicalmente cambiò. Era una giornata di sole ormai a noi ebrei era vietato tutto. Mancava solo che ci vietassero di respirare. Ci fu una piccola festa ma non potei invitare nessuno poiché, chi avrebbe accettato di andare al compleanno di un ebrea? Tutte le mie amiche e compagne di classe si rivoltarono contro me dicendomi appena mi avvicinassi solo di poco: "sporca ebrea, viscida, devi morire". A quell'età fu traumatizzate per me. Le persone a cui più tenevo ormai mi odiavano e non volevano più avere nulla a che fare con me. Perfino Marie la mia migliore amica con cui giocavo sempre da piccola. Eravamo una cosa sola, molte persone ci chiedevano sempre se fossimo sorelle o se avessimo legami di sangue poiché avevamo un rapporto straordinario che poche persone potevano avere così. Giocavamo sempre con le bambole, la mia era stupenda, me l'aveva regalata mio padre aveva capelli biondi e occhi azzurri simile ad una principessa, me la invidiavano tutte. L'ultima volta che sono stata da lei, non è finita bene. Mi ha preso per i capelli e mi ha fatto urtare contro lo spigolo di un tavolo con il capo. Mi feci molto male, stavo sanguinando. Gridava: "Muori!". La guerra può cambiare anche il comportamento di una bambina. Dopo quell'accaduto non parlai per due settimane, faticavo anche a mangiare e avevo parecchi capogiri la sera, avevo perso tutto. Gli amici, il locale di famiglia e persino la speranza che tutto potesse cambiare. La sera del mio compleanno andai in giardino poiché il cielo era limpido quindi avevo qualche possibilità di vedere le stelle. Era meglio che non lo feci. Mio padre era legato per mezzo di una corda ben stretta al collo ad un ramo. Penzolava da un' altezza elevata. Non aveva speranze che potesse sopravvivere. Si era impiccato. Nella mano destra aveva una lettera. Piansi leggendola. La guerra costringe un uomo ad uccidersi pur di avere un po' di tranquillità. La guerra, movimento causato da diversi stati infimi per spingere le persone al suicidio pur di aver un po' di felicità. C'era scritto:
"Prenditi cura di tua madre. So che tu non ti farai corrompere dall'odio e dalla disperazione. Da piccola hai sempre avuto un carattere deciso, confido in te mia piccola guerriera. Sei forte, Rachel. Lo so. Vi voglio bene anche se con questo gesto non ve l'ho dimostrato. Sono uno smidollato, lo sono sempre stato d'altronde. Non sono forte come te, non sono riuscito a proteggervi come avrei dovuto fare. Sono, anzi ero, invidioso di te che nonostante tutto ciò che è successo, non hai ancora perso la speranza. Mi dispiace ma non trovavo altra via che la morte. Vivete anche per me"
Piansi molto. Mi dissi voglio togliermi la vita, a che serve ancora vivere? Voglio morire, continuavo a ripetermi codesta frase. Ma poi rimuginai sulle sue parole:
"Prenditi cura di tua madre"
Se non dovevo vivere per me stessa, era doveroso farlo almeno per lei.

Quando ebbi compiuto undici anni, tutto non fu più come prima, non che fosse cambiato qualcosa in modo talmente entusiasmante, i tedeschi stavano iniziando a rastrellare i quartieri. Non ci volle poco per arrivare al nostro appartamento. Succedette tutto così in fretta, non avemmo nemmeno il tempo di pensare a ciò che stava succedendo.

Fu proprio in quel momento, l'inizio di una vita in cui l'unico tuo pensiero era quello di sopravvivere.

Tenebre bianche               -Auschwitz-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora