COME SI AMANO LE STELLE

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AVVISO questa è un "racconto breve" quindi non ha un sequel. Spero che vi piaccia. Buona lettura.

Era rilassante. Stare stesa sulle sue lenzuola e non pensare a niente con il suo profumo che riempiva la stanza. Erano si e no dieci minuti che ero arrivata, e il mio umore era già migliorato a dismisura. Un viaggio di un paio d’ore non era così stancante ma due settimane senza la sua presenza era un’esperienza orribile. Sentire perennemente di essere incompleta. Di svegliarsi la mattina e essere già stanchi come se non si avesse dormito per niente. Avevo faticato, mentito per essere qui in questo momento. 

Lo avevo chiamato prima di arrivare con la scusa che mi mancava la sua voce. Gli avevo chiesto cosa avrebbe fatto una volta riattaccato e lui mi aveva risposto che si sarebbe andato a fare un bagno, così una volta chiusa la chiamata avevo contato fino a venti per poi risalire le scale di casa sua. Mi aveva dato le chiavi del sua appartamento settimane prima, con la speranza che un giorno ci saremmo venuti ad abitare insieme, come una silenziosa richiesta di convivenza. Cercando di essere il più silenziosa possibile avevo posato le valige in salone per poi andare direttamente nella sua stanza ad aspettarlo. E il senso di nostalgia che in queste due settimane era quasi latente, adesso colpiva duro nel mio cuore. Ero quasi tentata di correre in bagno e abbracciarlo per non lasciarlo più, invece mi ero costretta a sedermi ai piedi del suo letto e respirare per calmarmi, così mi stesi, di traverso, non volevo invadere più di tanto il suo spazio. Sentivo l’acqua scrosciare e la sua voce che intonava, sotto voce, una canzone che lo costrinsi ad ascoltare.  E ripensando a quel giorno mi resi conto di quanto ero stata fortunata ad avere al mio fianco un essere così delizioso. 

La prima volta che lo vidi era inverno. Mi trovavo a Central Park  mentre facevo una passeggiata pomeridiana. Ricordo che quel giorno era andato tutto storto, dal momento della sveglia alla fine della giornata, quindi avevo deciso di farmi una passeggiata per calmare i nervi e rilassarmi, solo se fossi riuscita a dimenticarmi di tutto. Quindi camminavo a sguardo basso con le cuffiette nelle orecchie cercando di non pensare a niente. Era una giornata strana, il cielo era ricoperto di nuvole biancastre, ma ogni tanto il sole riusciva a fare capolino da dietro di esse illuminando tutti e tutto. 

Mi fermai a una notevole distanza dal lago cercando una panchina vuota su cui sedermi, quando tra la fitta vegetazione scorsi un ragazzo. In quel momento il sole illuminava in modo pallido il suo viso rendendo la carnagione ancora più chiara, i capelli quasi platino, le labbra di un leggero rosso dovuto dal freddo e gli occhi più blu del lago che lo affiancava. Aveva un pantalone di cotone, non troppo aderente, nero con degli stivaletti in camoscio dello stesso colore, un maglione blu-grigio con punti bianchi come se fosse un celo stellato, e un cappotto in panno blu. Era così affascinante che senza rendermene conto mi nascosi dietro un albero per evitare di disturbare la sua quiete, ma soprattutto perché avevo bisogno di lunghe boccate d’aria e di riprendere l’equilibrio perché sembrava che le mia ginocchia improvvisamente non ne volessero sapere  di stare dritte. Volevo andare li, chiederli se il posto accanto a lui fosse occupato e poi sedermi senza dire niente, volevo solo provare a farmi notare, sperare che lui iniziava una conversazione. Dopo interminabili secondi mi decisi a uscire dal mio nascondiglio e di andare verso di lui con disinvoltura e naturalezza, ma quando ci provai, vidi una ragazza al suo fianco. Lui aveva una mano sul suo ginocchio e lei sorrideva con sguardo innamorato. Scivolai di nuovo dietro l’albero e ripercorsi la strada a ritroso. Non pretendevo chissà cosa, ma comunque mi sentivo affranta e sola. Tornai a casa e ripresi a vivere come sempre nascondendo nella mia mente la sua immagine. Da quel giorno, negando a me stessa che lo stessi facendo per lui, andavo a passeggiare e aspettavo, per non più di un’ora, seduta sulla panchina vicino al lago. Una cosa stupida, lo so, ma non riuscivo a farne a meno, e la sua immagine nella mia mente stava iniziando a svanire, deformando i contorni del suo viso oscurandone il fascino e non riuscivo a sopportare che la mia mente stesse dimenticando l’immagine più bella che avessi mai potuto vedere. Quindi andavo lì con la speranza di scorgerlo da qualche parte. 

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