Solitudine

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Fuori era buio pesto. Le strade erano deserte. Avendo un coprifuoco da rispettare, noi ebrei non potevano uscire oltre l'orario stabilito. Odiavo ciò che ci stavano facendo, come tutto del resto. Finito di cenare con qualche patata bollita e con del pane, andai verso la mia stanza, per coricarmi sul letto. Ormai non avevamo quasi più nulla da mettere sotto i denti. Mia madre da qualche tempo iniziava ad essere irascibile. Si mordeva il labbro inferiore e continuava a farfugliare delle parole senza senso. Chiusi la porta dietro le spalle, e mi misi un vestito verdastro con incisa una stella sul seno destro. Non si poteva uscire o andare da nessuna parte senza quell' ennesimo simbolo.
Sistemai i vecchi libri, che mi avevano regalato durante l'infanzia, sul comodino per avere almeno posto per coricarmi senza avere nulla sotto di me. Ero stanca, le giornate da un po' di tempo erano pesanti e sembravano che non finissero mai. Mi addormentai. Era l'unica cosa da fare in cui non si doveva pensare al presente. Sognare era l'unica mia libertà. Ma il mio unico momento di tranquillità venne subito interrotto da un suono assordante. Qualcuno stava bussando ripetutamente alla porta. Mia madre non sembrava sentire allora mi diressi verso essa. Mi nascosi dietro un mobile in cucina aspettando che smettessero, ma il suono continuava ad aumentare sempre più. Delle voci continuavano a ripetersi: "Aprite! Aprite! O lo sfondiamo questo pezzo di legno! Aprite!"
Avevo paura, poteva sembrare che dopo quello che avevo passato, questo era poco ma dai pensaci lettore, avevo solo undici anni. Mia madre si diresse verso la porta ed aprì. Un soldato la scaraventò a terra. Lei picchiò la testa contro il pavimento ma non disse nulla, era irremovibile da un espressione persa nel vuoto. L'uomo la prese per il colletto della vestaglia e l'avvicinò al viso. Si sentiva fino a me un odore di alcol. La guardò in un modo veramente disgustoso. Mia madre era sempre stata una donna di bel aspetto e riguardo al petto è sempre stata prosperosa. Era Bionda e con gli occhi azzurri.
"Questa me la prendo io, potrebbe soddisfarmi e se fa la brava, potrei anche concederle qualche lussuria. Vivi da sola?"
"Si, sono vedova e mia figlia è morta per malattia"
Il soldato si guardò attorno e poi la squadrò in malo modo, ma in qualche modo le credette.
"Andiamocene, tu vieni con me"
Portarono via mia madre per farci qualche giochetto sessuale. Non ci potevo credere. Mia madre mi aveva protetto quando l'avrei dovuto fare io. L'ha fatto donando il suo corpo ad un uomo che non la meritava. Quando chiusero la porta dietro loro, mia madre mi sorrise sapendo dove fossi nascosta. Caddi sulle ginocchia a terra. Piangevo, ma le lacrime non potevano riportarmi mia madre. Non ero riuscita a muovermi nonostante qualcuno mi chiedesse aiuto. Ora avevo perso tutto definitamente. La mia famiglia, le mie amiche, la libertà e ora anche la speranza. Dopo qualche tempo vennero a controllare altri soldati. Non mi ero nascosta. Ero sul divano a rimuginare sulla vita. A che serviva vivere ormai? Corsi verso la cucina e presi un coltello. Me lo appoggia sulla gola. Pensai:
"Ora o mai più"

Tenebre bianche               -Auschwitz-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora