Capitolo Uno [ Parte II ]

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La pioggia non aveva smesso di piegarsi sulla terra per l'intera settimana. L'acqua, per Seung Hyun, aveva il potere di riempire i vuoti, di mutare forma e persino di nascondersi. Vi era qualcosa di crudele, o forse di codardo, nell'acqua, ma era quella la sua natura. Dopotutto, essa dissetava e rinvigoriva i campi. Quando veniva a mancare il mondo crollava in ginocchio, organizzava cerimonie per evocarla. Era venerata, nonostante fosse intessuta di inganno.

Il rumore delle gocce che scendevano giù dal portico e si abbattevano ai suoi piedi era rassicurante. Scandiva un tempo nuovo, fatto di esperienze diverse, ma lui si abituava senza affanno ai cambiamenti. E quello, era un cambiamento fortunato. Seung Hyun incrociò le gambe e tornò a fissare la pila di fogli su cui aveva iniziato a disegnare, la prima notte che aveva dormito nella sua nuova dimora. Vi era qualcosa che lo rassicurava nei dipinti, nei colori che affrescavano le pareti, e in quello che la mente sapeva riportare su carta. C'era silenzio, e poesia, immagini privi di parole, ma piene di idee.

Come d'abitudine, scostò una frangia che non c'era più. Se prima i capelli rappresentavano un fastidio, ora se ne era disfatto. Aveva deciso che da quel momento in avanti li avrebbe portati sempre legati in una coda alta. Il mondo, voleva vederlo, per non perdere nemmeno un briciolo della bellezza di cui era composto. Avendo tirato su il braccio, si accorse solo allora che la manica della nuova jeogori si era macchiata d'inchiostro. Le guance avvamparono in un calore cocente. Come poteva, uno del suo basso rango, indossare abiti di seta. Come poteva, lui che era cresciuto in povertà e nell'oblio, diventare qualcuno da ricordare.

Rammaricato per aver distrutto la manifattura dell'abito, si rabbuiò. L'oscurità accrebbe quando un'ombra si manifestò su di lui. Seung Hyun sollevò il mento e schiuse le labbra. Gli avevano sempre detto, al villaggio, che le sue labbra erano più grandi dei suoi occhi lunghi e che questo lo rendeva un bambino dedito alla menzogna. Lui, però, non voleva mentire a nessuno.

«Da quando tuo padre ti ha lasciato nelle mie mani, non hai mostrato resistenza nemmeno una volta, di fronte alla condizione che ti è stata imposta. Hai ubbidito ad ogni mio consiglio, come fosse stato l'ordine di un tuo superiore, e non di un familiare. Nonostante la tua apparente serenità, da una settimana a questa parte, vieni sempre qui a sederti. E' qui che hai visto tuo padre per l'ultima volta. Dunque, suppongo che al di là del controllo severo che imponi su te stesso, i tuoi sentimenti ti abbiano spinto ad ascoltarli in silenzio.»

Era così aspra, la voce del Generale Kim. Dura, metallica, scoppiettava come scintille nel fuoco, ma quell'uomo non era fatto di fuoco. Era più simile alla terra, solida e sicura dove poter camminare, in grado di creare varchi dove l'acqua poteva sprofondare. Seung Hyun continuò a guardarlo con il mento sollevato in alto. L'armatura del Generale svettava su di lui come una montagna invalicabile.

«Se avessi mostrato nostalgia vi avrei arrecato un grave torto, poiché mi avete accolto come un figlio. D'altro canto, non posso nemmeno dire di provarne, poiché di mio padre conosco solo il volto» azzardò a rispondere con sincerità.

Il Generale Kim portò una mano al ventre per sgonfiare il suono arrochito della risata. Annuì e si sedette accanto a lui. La spalla metallica aderì al pilastro di legno. Seung Hyun non riusciva a capire perché, anche nella propria dimora, il Generale indossava l'armatura. Forse, era uno di quegli uomini che rendeva il proprio dovere l'essenza stessa della vita. Lo avrebbe ammirato, se fosse stato davvero così.

«L'ho capito subito, quando ti ho guardato negli occhi, che eri un ragazzo sveglio. Vuoi mostrarmi i tuoi disegni?» gli domandò, allungando una mano.

Seung Hyun aggrottò la fronte e stropicciò le pagine. Non aveva mai mostrato a nessuno la sua capacità. Dipingere era simile all'effetto che creava uno specchio. Era come guardare nel mondo interiore e non era certo di voler mostrare se stesso. Al contempo, non poteva permettersi di rifiutare una richiesta del suo nuovo padre. Annuì, restio, e glieli consegnò.

Il Generale li visionò con attenzione.

«Sono tutti fiori di maehwa.»[1]

«Crescono solo l'inverno» rispose Seung Hyun, appoggiando le mani sulle assi di legno «nonostante il freddo rigido, sono fragili ma resistono al gelo. Al villaggio ce ne erano molti.»

Si pentì di aver menzionato la sua vecchia casa. Con i denti schiacciò l'interno della guancia e chinò la testa. Il Generale, però, non sembrava scosso dai suoi ricordi.

«Hai un animo delicato, ben diverso dal mio» rise ancora il Generale «attento alla bellezza che ci circonda. Per me la bellezza riside nella polvere, nel fango e nel suono delle armi. Non piegherò la tua inclinazione e se vorrai, potrai riempire i giardini di questa casa con i fiori di maehwa.»

«Preferirei di no. Se devo essere vostro figlio, non posso continuare ad essere il figlio di un padre e di un luogo passato.»

Il Generale bevve un sorso d'aria e allungò le sopracciglia sulla fronte. Si alzò in piedi, creando un meccanismo di rumori altalenanti. Ripiegò le pagine, senza restituirle indietro.

«Se il tuo desiderio è sincero, lascia allora che si realizzi. Più trascorrerai il tempo seduto qui, davanti all'ingresso, più rimarrai inchiodato a ciò che sei stato. Non è facile spezzare il filo che ti lega alla tua vita passata, perciò d'ora in poi mi seguirai al campo d'addestramento. Non si è mai troppo giovani per iniziare a diventare un soldato. Dopotutto, un giorno mio figlio potrebbe diventare un valoroso Generale.»

Seung Hyun schiuse le labbra, colto dallo stupore. Una parte di sé aveva compreso. Il Generale gli stava offrendo la possibilità di non dimenticare il proprio sangue. Se avesse saputo sorridere, lo avrebbe fatto. Così, si limitò ad annuire e ad eseguire il suo volere.

NOTE:
[1] Maehwa: albicocco giapponese, considerato il fiore dei fiori, la cui fioritura avviene d'inverno.

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