La gente viene da me chiedendomi le cose più strane: oltre al classico e già ampiamente analizzato e raccontato, innamorato dal cuore infranto alla ricerca di un fantomatico filtro d'amore per la sua bella, non mancano vedove addolorate, indecise tra il continuare a piangere il defunto marito (prospettiva terribilmente annichilente anche per una timorata di Dio, dopo un po') o tra il cercare un nuovo, giovane, avvenente (o almeno si spera) svago. Ma, ormai, mi sono familiari pure vecchi pazzi distrutti dall'alcol, convinti di aver ritrovato lo spirito della moglie morta di parto decenni prima, reincarnato nel pioppo del proprio giardino. Quando chiedo come mai la moglie abbia evitato di farsi vedere per tutti quei decenni, si chiudono su loro stessi, balbettano, trascinati di nuovo via dai fumi della sbornia, terribilmente più piacevoli delle domande scomode di una negromante impicciona.
Ma prima che mi giudichiate come una povera mentecatta poco professionale, un avvoltoio crudele che spolpa la vita dei suoi clienti (oltretutto in un momento di crisi come questo) devo però premettere alcuni dettagli che spero vi faranno cambiare, almeno in parte, idea su una negromante a tempo pieno, occasionale indovina, appassionata lettrice di tarocchi e impicciona a tempo perso.Innanzitutto non ho mai voluto fare la negromante: ho sempre ardentemente desiderato dedicarmi alla Lettura dei Tarocchi, ma ai tempi (diciamo uno o due secoli fa) i laureati in Tarocchi erano moltissimi e nessuno riusciva a trovarsi un bell'antro confortevole dove ricevere i suoi clienti. Per cui rassegnata, nella speranza di trovare almeno un piccolo impiego, mi iscrissi a Negromanzia. Per il primo secolo e mezzo, all'incirca, gli affari andarono benone e riuscii perfino ad accapparrarmi un bellissimo appartamento decadente, ma di classe, in una palazzina nel centro di quella che allora era una fumosa, frenetica metropoli, crudele e spietata, brillante e celeberrima. Per qualche lustro pensai addirittura di aver imboccato la strada giusta: temuta ed idolatrata dai miei clienti, mi godevo il denaro e il bel mondo, forse troppo rassicurata dal mio apparente successo per essere cauta quanto avrei dovuto; le rappresaglie contro le streghe non erano ancora storia vecchia e il rischio era sempre dietro l'angolo. Fui stupida, cieca, ingenua, ma soprattutto innamorata. E quando un giorno arrivò il fuoco di una folla impazzita a svegliarmi dalla mia cecità (un risveglio brusco devo ammetterlo, avrei preferito se non un coro di putti, qualcosa di meno distruttivo), crollai. Bruciarono tutto: casa, studio, vestiti, mobilia, attrezzatura, perfino le mie urla vennero soffocate dalla cenere che sembrava pervadere l'aria. Da quel momento scappai: irrefrenabile, una corrente di vento che eccezionalmente sfiorava alcuni luoghi, per poi ricominciare a correre al minimo spiffero, al minimo segno che la mia sicurezza fosse stata compromessa. I guadagni ovviamente cominciarono a scarseggiare: i velluti, le sete, gli intrighi, le feste, le risate, gli amori (perfino essi sì) dell'epoca delle luci erano finiti; solo grande, infinito buio per la creatura paranoica, ipocondriaca, spezzata, bruciata per sempre che ero, che sono. Mi accorsi che ciò che amavo del mio lavoro non era esso di per sé, ma i benefici che esso portava: da orfana povera, mi ero ritrovata a misteriosa negromante di una certa fama. Quando essi scomparirono, furono seguiti dalla passione che in alcuni momenti mi aveva animata: la morte, il sortilegio, la manipolazione non mi intrigavano più, divennero solo entità con cui ogni giorno mi ritrovavo, mi ritrovo, sei ancora viva, usa ancora il presente, sei ancora viva, VIVA, viva, con cui mi ritrovo a contrattare, con l'unica consolazione di potermi immergere nelle vite di sconosciuti disperati per cercare di ritrovare quelle motivazioni che mi avevano spinto a vendere la mia anima, in una notte così lontana da sembrare un'altra vita, un'altra vita in cui liberarsi del fardello dell'anima sembrava l'unica cosa giusta da fare, l'unica alternativa accettabile che il fuoco mi pose davanti, pur di continuare, pur di perpetuare ancora la mia Arte.
Come avrete notato, se non completamente, un gran bel pezzo della mia anima l'ha sbranato il diavolo in quella note di fiamme e dolore, per cui concedetemi degli errori; almeno alcuni vi prego, vi scongiuro non soffocatemi anche voi con il vostro biasimo. Soprattutto perché state per scoprire la fonte della mia gioia e della mia disperazione.
Ero a un ballo di Lady Althea la prima volta che lo vidi. Fin lì era stato un evento come tanti altri: né troppo pomposo, né troppo intimo, ero stata invitata dalla mia suddetta cliente per intrattenere gli ospiti con qualche banale trucco come la lievitazione di una lampada o un vaso, che non mancava mai di stupire ed incantare gli invitati, facendo rifulgere la padrona di casa che era stata così accorta e cortese da provvedere ad un degno intrattenimento. Se Lady Althea era raggiante, sicura che nessuno avrebbe dimenticato la sua festa, io non sprizzavo alcuna gioia: con un misterioso sorriso stampato in viso per mantenere la mia farsa di magnetica illusionista, mi aggiravo per la sala con il mio abito fin troppo eccessivo, il cui scopo era ovviamente sostenere la mia mascherata di oscura artista circense, senza che qualche dettaglio catturasse la mia attenzione. Avevo bevuto qualche calice di champagne nell'attesa del permesso di congedarmi ed ogni colore aveva iniziato a rilucere d'una ricca patina dorata, mentre la sala sembrava brillare di tanti piccoli fuochi fatui, piuttosto che di semplici candele. Poi all'improvviso ricordo un brivido. E una voce. Roca, bassa, calda aveva scosso il mio sistema nervoso di giovane speranzosa ed ingenua come la carezza segreta di un amante proibito. "E così voi siete la grande illusionista di cui tutti parlano?" sussurrò, facendomi voltare. Credo di essere rimasta senza parole per una attimo: davanti a me vi era un giovane alto e magro e bello, così bello da fremere solo al guardarlo. Tratti scolpiti, labbra carnose, selvaggi occhi verdi, criniera castana ribelle, voce roca: tutto in lui esprimeva una forza selvaggia, quasi folle, trattenuta in un corpo armonioso e seducente. Credo che fu nell'istante in cui i nostri occhi si incontrarono, blu scuro contro verde smeraldo, che io di colpo, senza preavviso, né spiegazione mi innamorai di lui. Un amore maledetto, io ancora troppo acerba e lui invece anche troppo esperto nel come andava il mondo, dall'esito disastroso e violento, ma dall'evolversi, seppur malsano, ricco di una gioia, che per quanto falsa, non ho più provato. Quella sera la passammo insieme, io persa nella sua contemplazione, lui nell'elaborare il suo piano. Parlammo, scherzammo, mi fece ridere, mi fece rabbrividire, mi fece sentire una semplice ragazza spensierata. Quando sistemandomi lo scialle mi rubò un bacio, pensai di andare a fuoco, mentre mi stringevo a lui, le sue mani sicure ed impetuose sul mio corpo, fiumi di piacere e dolcezza che scorrevano dentro e fuori di me. Restammo insieme per due mesi rubati al normale scorrere del tempo, perché mi parvero infiniti, ma anche troppo veloci. Troppe erano le cose che volevo dirli, troppi i baci che volevo rubargli, troppe le carezze che volevo sentire. In poco tempo gli confessai ogni cosa: la Negromanzia, la mia storia, le mie paure e i miei sogni. Lo idolatravo in modo malsano, mentre lui in realtà mi guardava appena. Divenni pazza di amore, di gioia, di piacere, ma anche di gelosia, di vanità e di presunzione. Se avevo lui di cosa dovevo preoccuparmi? Di lui, mi pare ovvio. Ma allora nella cacofonia del primo amore, ero cieca, sorda, incurante davanti agli spifferi che sempre più frequenti minacciavano di entrare nella mia casa. Gli spifferi che sussurravano dei suoi debiti, della sua meschinità, del suo egoismo, della mia impudenza, della mia stoltezza, dei miei segreti non più così segreti. E così quando quel giorno la mia casa fu incendiata da una folla inferocita, guidata dall'uomo al quale mi ero donata anima e corpo, guidata dalla bestia che aveva venduto una povera innocente per soldi, quando le fiamme mi intrappolarono, mentre io urlavo e gridavo e soffocavo e raschiavo e scavavo e ferivo il mio petto per estrarre il mio cuore straziato e dilaniato e spezzato, l'apparire del piccolo diavolo fu una benedizione. Mi buttai ai suoi piedi supplicante e gli offrii la mia anima, in cambio della salvezza, in cui ancora speravo, della Negromanzia, che ancora amavo, ma soprattutto della vendetta, che mai come allora sognavo. Lui rise cupo, mi sollevò il capo, mi aprì la bocca e pian piano tirando e lacerando e strappando, la mia povera anima venne via. Mi sentii scartavetrata dall'interno, vuota come un deserto, sterile come un ghiacciaio, mentre tra le fiamme si apriva un varco per farmi scappare senza essere vista. Nessuno dei presenti nella folla tornò a casa quel giorno, ma ognuno, bambino, donna, uomo che sia, morì divorato tra le fiamme di un improvviso fuoco verdastro, che sembrava uscito dalle più oscure profondità dell'Inferno, animato da una furia tanto cieca, da una dolore tanto sordo, da una forza tanto potente da bastare a radere al suo l'intera città. Dopo aver camminato tra le ceneri delle prime ed ultime vittime del mio cuore scappai, veloce, come rincorsa da una tempesta furiosa, impetuosa, come rincorsa da un'onda inarrestabile, distrutta, come raggiunta da un ciclone tremendo. Scappai e scappai fino a ridurmi a una sanguisuga assetata delle storie degli sconosciuti.
Non biasimarmi. Almeno tu non farlo, perché io, almeno, a differenza tua, sono ancora viva.
.....
Spazio autrice:
Salve gente, sono la compagna di vita dell'autrice. Vorrei solo pregarvi di lasciare critiche e consigli (gli apprezzamenti non sono sgraditi). Detto questo vi lascio alla vostra vita sperando di rivederci.
Alla prossima.
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Sanguisughe e Negromanzia
Short StoryDove una negromante, soffocata dalla cenere e straziata dal dolore, vende la sua anima a un diavolo di passaggio. Avvertimento: è la mia prima storia, siate clementi. #245 in storie brevi 10/7/17