11. Hotel Ceiling

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- Sì. - risposi con voce fioca. - Ci sono. -

Rimanemmo in silenzio per un'eternità, tanto che non ero nemmeno sicura di aver parlato. Forse semplicemente mi ero sognata tutto.

- Ciao. - disse alla fine il ragazzo dall'altro capo del telefono. Era passato molto tempo da quando ero stata a Los Angeles per incontrarlo e chiudere una volta per tutte il nostro rapporto. Ma non ne era passato abbastanza perché la ferita nel mio petto si cicatrizzasse. Gli occhi mi pizzicavano, ma mi rifiutavo di scoppiare in un pianto incontrollato. - Lo so Christine. Non avrei mai voluto chiamarti e nemmeno avrei dovuto dopo il nostro ultimo incontro, ma... - Non riuscì a concludere la frase, che la sua voce si ruppe a causa delle lacrime.

Perché mi ha chiamata? Non riuscivo a pensare ad altro.

- Jonathan, cosa succede? - riuscii finalmente a domandargli.

- Charlotte. - disse in preda ai singhiozzi. Il mio cuore perse qualche battito.

- Cosa le è successo? - feci presa dal panico.

- Ieri sera ha avuto un infarto. Dicono che non le rimane molto, che probabilmente ne avrà un altro e che se dovesse succedere di nuovo è probabile che non riescano a rianimarla. - Le sue parole erano impregnate di dolore e nel mio corpo ce n'era così tanto che non ne provavo più. Mi sembrava di trovarmi in un sogno. - Ti prego. Ho bisogno di qualcuno che mi capisca. -

***

- Te lo eri lasciato alle spalle! - sbottò Ashton. Stavo rimettendo le mie cose in valigia. Non riuscivo a sopportarlo. Credevo che sarebbe stato comprensivo, ma l'avevo solamente irritato con la notizia del mio ritorno, che all'inizio pensavo temporaneo, a Sydney. Più parlava e meno avevo voglia di passare quel mese con lui ed il suo ritorno.

- Ha bisogno di me! Stiamo parlando di sua sorella! Quella sorella che... - le parole mi morirono in gola, ma mi feci forza per pronunciarle. - ...che io gli ho reso estranea e che ora sta morendo. - conclusi. Chiusi la valigia con brutalità. Non riuscivo ancora a guardare Ashton in faccia dopo tutte le cose che mi aveva detto. - Non ho intenzione di chiederti il permesso per una cosa del genere. - parlai infine voltandomi per fronteggiarlo. - E forse ci farebbe bene una pausa. - aggiunsi. Come temevo quell'ultima scatenò la sua rabbia.

- Una pausa?! Stai scherzando? - fece tra l'incredulo ed il furibondo. - È passata nemmeno una settimana e siamo stati lontani per tre mesi, Christine!! - gridò. - Non posso prenderti un altro biglietto per riportarti qua! -

- Beh, forse adesso non lo voglio quel biglietto! - urlai di rimando. Il ragazzo davanti a me si zittì con un'espressione sconvolta dipinta in viso. Non credevo avremmo ami potuto litigare così duramente un giorno.

- Perché mi stai facendo questo? - chiese lui con tono apparentemente ferito. - È per l'altra notte? -

- La mia migliore amica sta morendo! La sorella del mio migliore amico! - gridai, forse per farglielo capire meglio, ma sembrava non avermi nemmeno sentito.

- È perché non abbiamo fatto sesso?! - sbottò lui. Alzai gli occhi al cielo.

- Sei serio? Vuoi parlare di questo ora? - Ero davvero schifata dal suo comportamento.

- Sono sicuro che è per questo! - Era proprio vero che i ragazzi pensavano con il pene invece che con il cervello.

- Smettila, Ashton. Ti stai rendendo ridicolo. I ragazzi ci sentirebbero anche dall'altra parte del parcheggio. -

69 Things That You Love About Me || Ashton Irwin #WATTYS2017Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora