Kill me, please.

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A Yoon Bum erano capitate diverse tragiche occasioni nelle quali aveva desiderato, in modo tanto ardente quando disperato, di morire. Ci aveva provato, anche. Ma era davvero troppo codardo per compiere il fatal gesto, e questo non era altro che un aggiuntivo al sempre crescente disprezzo verso sé stesso e quello che era sempre stato: un debole, un abietto per la società moderna.

Yoon Bum era sempre stato -e così si era sempre sentito- irrimediabilmente solo. Nessuno aveva mai pensato di distoglierlo da questi pensieri rovinosi, nemmeno lui stesso. E quando aveva pensato che esistesse davvero qualcuno disposto a condividere e a capire il suo dolore, ecco che si era rivelata solo un'altra dimostrazione della sua inutile esistenza, solo un altro scherzo del destino.

Aveva vissuto -per quanto riguardava le sue inesperte considerazioni- anche troppo a lungo. Aveva sempre vissuto male, come se fosse un compito assegnato a scuola da cui non poteva sottrarsi e aveva eseguito di malavoglia.
Aveva vissuto le delusioni che la vita gli aveva riservato con malcelato dolore, e la solitune con evidente -per chi gli stava intorno- disagio psicologico.
Aveva vissuto la sua cotta impossibile per Sangwoo con schivo diniego -era innamorato del ragazzo più popolare della scuola, dopotutto. E Yoon Bum non era esperto in amore; non era esperto in niente, in realtà.
Ed aveva vissuto gli abusi da parte di suo zio come fosse una colpa.
In parte lo era, vero Yoon Bum? Sei stato talmente debole, talmente accondiscendente e rassegnato.
Dai il voltastomaco. Sei proprio una puttana.

Era questo che Sangwoo aveva pensato. Delle tante prede da lui catturate con mirabile maestria e arguzia, Bum era stato forse il più deludente eppure tremendamente stimolante.
Il forte attaccamente disturbato che il ragazzo aveva per lui era invece ricambiato da un amore malato di cui Yoon Bum non andava fiero. Di cui aveva paura.
Ma questo era solo all'inizio della loro storia. Da allora di cose ne sono successe, e molte sono cambiate.

Tutti si chiedevano come facesse a bilanciare in modo così equilibrato gli impegni scolastici (tanto da avere voti discretamente alti), il tempo con gli amici e la cura del corpo e della casa.
Sangwoo era il modello di ragazzo perfetto che tutti volevano avere e volevano essere.
Sangwoo li disprezzava tutti in egual misura.

Aveva ucciso suo padre, e ne andava fiero. Si era preso gioco delle autorità poliziesche per tutta la vita, e ne andava fiero.
Aveva ucciso e ucciso ancora, e ne provava piacere.
Non aveva ucciso (ancora) Yoon Bum.
Forse quello che lo frenava era la sua imminente sottomissione a lui e alla morte, ci era abituato, e a Sangwoo piaceva.
Sua madre. Bum era esattamente come sua madre.

Ma Sangwoo non era come suo padre.

Yoon Bum non riusciva a comprendere Sangwoo abbastanza da dire la cosa giusta al momento giusto, o a comportarsi come il suo sequestratore avrebbe voluto. Forse non era intelligente abbastanza, forse i disordini psicologici e la schizofrenia malamente trattenuta di Sangwoo erano troppo imprevedibili ed era impossibile conviverci in modo sano. Ma d'altronde Yoon Bum non era in grado di capire nemmeno sé stesso.
La sua iniziale Sindrome di Stoccolma aveva preso il posto ad un attaccamento esaltato a quella casa-prigione, tanto che il desiderio di scappare, di tornare alla sua vita precedente era sparito, scomparso.
Tanto non c'era nessuno ad aspettarlo, di fuori.

La loro relazione si era voluta, era mutata, cresciuta e poi mutata nuovamente. In un circolo vizioso e corrotto basato su una marcia attrazione sessuale bilaterale -che solo dopo, quasi alla fine, diventerà (quasi, forse) unilaterale- e attacchi spasmodici violenti per cui il povero Bum era sempre costretto ad indossare bendaggi e lividi.

E in Yoon Bum era nato, ancora una volta, un senso di incurabile -seppur suggestionato- senso di vuoto, una mancanza che sentiva crescere nel petto.
Era successo appena dopo essere tornati a casa dal supermercato; la torta gelato restava immobile e perfetta sul tavolo della cucina, fra i due ragazzi.
Sangwoo era ancora una volta quasi schifato, dai fatti vergognosi appena  appresi sul conto del moro di fronte a lui. E non mancava di esprimere questi suoi sentimenti con parole dure e taglienti. E Yoon Bum voleva morire. Voleva farla finita davvero.
A quel punto nemmeno a Sangwoo, il suo Sangwoo, importava niente di lui. Era perfino schifato. Di nuovo.

E ce l'aveva fatta, finalmente. Non pensava fosse così facile in realtà: aveva preso il coltello e si era tagliato le vene. Prima di svenire era riuscito a pronunciars il nome del ragazzo che lo guardava, sbalordito -o forse, pareva a Bum, inorridito. E poi era caduto, aveva sperato, per l'ultima volta.

-

Oo Sangwoo non era come suo padre.
Lui non l'avrebbe mai salvato.
Lui non avrebbe mai provato un sentimento così prossimo ed eppure caotico come l'amore. 
Se ne rese conto ascoltando quietamente il lieve -seppur vitale- respiro di Bum, ancora vivo, fortunatamente di fianco a lui nel caldo e confortante futon.

Non importava quello che sua madre stava blaterando, non era come suo padre. Ed appena se lo ripeté in testa, l'illusione che si era manifestata in lei sparì.

-

Yoon Bum, seduto remissivamente nella vasca d'acqua calda con Sangwoo, era ancora vivo. Ma ancora di questo fatto lui non se n'era reso conto del tutto. Fin da quando aveva sceso le scale aveva visto il mondo circostante e Sangwoo come se fosse lo spettatore della sua stessa vita.
Solo ora si era reso conto di quanto l'avesse vissuta passivamente, nonostante fosse sua e solo sua.

"Vuoi farlo?" 

No, Bum non voleva fare niente con Sangwoo. Bum non voleva fare niente e basta. E, come aveva già previsto, Sangwoo non era abituato ai rifiuti.
Forse, se avesse imparato a prevedere -almeno in parte- i suoi comportamenti come quella singola, fatidica eppur inutile occasione, lui non sarebbe mai arrivato a quel punto: spinto da mani estranee -quale dei tanto Sangwoo che aveva conosciuto era colui che lo stava soffocando?- sotto l'acqua calda della vasca che ora sembrava immensamente profonda. 

Annaspò con le mani e trovò un braccio, un viso. Ci si aggrappò senza troppa convinzione. Non ci credeva più neanche lui, ormai. Doveva solo aspettare che il suo senso di sopravvivenza cedesse, e sarebbe finita. Tante volte quella parte della personalità Sangwoo aveva provato ad ucciderlo, e altrettante -forse un Sangwoo ancora diverso dal precendete- aveva cercato di farlo suo in modi anche discutibili, a voler dire. Erano andate tutte a finire male, ma forse era finalmente giunta la fine.

Sangwoo, uccidimi... perfavore.

Ma ovviamente lui non poteva sentirlo.

La mano con il polso fasciato e di nuovo sanguinante di Bum premeva sul suo viso, non troppo forte, quasi come una carezza, mentre lui premeva la sua testa sotto l'acqua e immobilizzava il suo corpo fra le gambe.
Dopo secondi, forse minuti, nella situazione omicida creatasi da quel Sangwoo sanguinario che a volte prendeva il sopravvento, non per volontà, ma per necessità delle situazione del passato -passate e viventi in continua lotta nella sua mente la presa sul suo braccio cominciò ad allentarsi. Un'altra allucinazione assassina, questa volta non dettata da lui, prese forma: sua madre, la madre che aveva cercato di dimenticare e poi rimpiazzare con Yoon Bum (sì, Sangwoo, lo stesso che sta morendo sotto le tue mani da mostro) prese il suo posto, e sopra c'era lui, e al posto delle sue mani ce n'erano un paio più grandi, più forti, forse, più adulte e cattive. Le mani di suo padre.
Con uno scatto di collera, Oo Sangwoo permise -anzi, costrinse- Yoon Bum ad emergere dall'acqua, e mentre lo guardava prendere fiato con immense -troppo immense per i suoi piccoli polmoni- boccate d'aria e vapore la sua mente psicologicamente disturbata e le sue personalità -che in realtà convergevano in una sola e in un essere solo- erano bloccate nello sconcertante pensiero ingenuamente bugiardo che lo aveva tormentato da molto, molto tempo.

Paralizzato, le mani a coprirgli sconsolatamente in viso, non poté trattenersi a dar voce a questi suoi pensieri divoratori:

Non voglio essere come mio padre.

Non voglio essere come lui.

Invece lo era diventato.

Autrice
È impossibile, credo, raccogliere la complicata esistenza e psicologica battaglia di questi due personaggi in delle parole o descrizioni definite.
Ho cercato di racchiudere in questa fan-fiction le conoscienze psicologiche apprese in due anni, e santo cielo, è stato un parto. E siamo solo al capitolo 27.

Questa fan-fic è davvero molto confusionaria, ma dopotutto da tre menti (la mia compresa) così caotiche non poteva uscire di meglio, o no?

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 02, 2017 ⏰

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