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Diana

Fa freddo ed io mi trovo su una strada, a otto isolati da casa. Ho Carl in braccio ed Erin per la mano. Mio padre ci ha lasciati qui due ore fa dicendo che sarebbe tornato ed invece eccomi qui. Ha iniziato a nevicare circa mezz'ora fa ed io sono qui, sul ciglio della strada; sono una ragazzina con due bimbi a cui badare. A Carl sta salendo la febbre, scotta ed ha le convulsioni...
Come vorrei avere due genitori migliori, due persone amorevoli che si prendo cura di me e dei miei fratelli, dei loro figli... Carl non la smette di piangere così lo stringo nella sua copertina, troppo leggera per la temperatura circostante, prendo Erin e la avvolgo nel mio giubbotto e mi avvio verso l'ospedale.
Non ce la farò ad arrivare lì, ho le gambe che tremano e sto gelando.
Perché sempre io? Perché tutte a me?!
Sono stanca di questa vita, sono stanca di dover badare non solo a me stessa ma anche agli altri come se fossi una mamma, ho solo quindici anni e sono distrutta. Che senso ha fare figli per poi non accudirli?! Mi chiedo tra le lacrime. Erin è scivolata durante il tragitto e l'ho dovuta prendere in braccio, manca mezzo miglio all'ospedale. Ancora un po' ed il mio fratellino sarebbe stato bene penso tra me e me.
"Erin, ti prego, ce la fai a camminare sola? Guarda, manca poco ma non ce la faccio, Carl piange e ho bisogno di cullarlo per far sì che si calmi"
Lei annuisce, forse avrà capito poco o nulla però inizia a camminare.
Arrivati in ospedale Erin è attaccata alla mia maglietta e Carl è in preda all'ennesima convulsione.
Un dottore lo prende e lo porta con sé.
Mi accascio sulla sedia: la stanza gira, gira tutto e sembra come un vortice che mi sta risucchiando dentro, è come se quel grosso vortice fossero i problemi che mi risucchiano.
Vedo una donna poi il buio.
-

Mi sveglio confusa, un'infermiera mi stava lavando il viso, chissà da quanto sono qui..
"Carl come sta?"
"Signorina, sta bene, lei è stata eccezionale, lo ha coperto e lo ha cullato, lo ha riscaldato bene, ha fatto un ottimo lavoro, senza di lei suo fratello non sarebbe qui. Sono sicuro che sarà una mamma fantastica nel caso in cui dovesse aver figli. Quanto a lei, ha avuto un mancamento dovuto al forte freddo stava andando in ipotermia ma adesso sta bene. Lei è una donna forte"

Avrei voluto urlare che io non sono forte, che sono obbligata ad esserlo. Vorrei dirgli che io non voglio essere una brava mamma nei confronti dei miei fratelli perché loro una mamma ce l'hanno ed è anche la mia, quella che mi dovrebbe stare accanto in questi anni difficili dell'adolescenza, quella che dovrebbe essere invadente, che mi dovrebbe comprare i trucchi, quella che dovrebbe essere come tutte le madri ed invece non c'è, lei è chissà dove a bere e drogarsi mentre io sono qui a lavorare e crescere dei bambini.
Avrei voluto urlare l'infermiera che per essere un genitore migliore dei miei bisognava semplicemente essere accanto ai figli.
Avrei voluto semplicemente chiedere aiuto, sfogarmi e dire che non ce la facevo più, dire che volevo una vita come gli altri ma non potevo. Eravamo in una situazione orribile, e
l'unica cosa che compravo egoisticamente solo per me erano le sigarette; mi facevano star bene come nient'altro.

Mi sveglio da quello stato di trance solo quando vedo Erin piombare sul mio letto:
"Diana, come stai?"
Il nero, ancora
"Diana"
Un urlo.

Mi sveglio sudata e tra le lacrime.
Non era un incubo, la cosa che mi fa male è che quello che ho sognato è davvero successo, cinque anni fa, esattamente oggi.
Mi lavo il viso e mi guardo allo specchio, quelle parole pronunciate dall'infermiera non erano poi così vere, non sono una madre così migliore della mia, sono assente e non posso comprarle tutte le cose che hanno le bambine a nove mesi: niente pupazzi, niente girello, niente sdraietta, nulla.
Sono una pessima madre che quasi ogni sera la lascia con padrona della villa e va a lavorare in un locale e a volte torna la mattina.

Take me home ◎Patrik Schick◎Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora