Ambizione.
Seguire suo padre, per Curufin, voleva dire semplicemente mostrargli di essere dalla sua parte sempre, di aiutarlo in ogni momento senza dubitare mai delle sue scelte e decisioni. Dopotutto era proprio grazie a questa sua ammirazione - o forse sarebbe più appropriato definirla ossessione - se era riuscito a stargli così vicino, ad essere il suo preferito.
Aveva sempre visto suo padre come l'unico in grado di comprenderlo e di portarlo alla massima vetta della gloria e della magnificenza. Non era il primogenito ma sarebbe diventato qualcuno di ancora più importante col padre accanto.Quel giorno vedere suo padre prima derubato e poi deriso da tutti non gli poteva far altro che male. Quella partenza per la Terra di Mezzo doveva essere compiuta perchè dopotutto era un rischio ragionevole da correre la punizione dei Valar. Se fossero riusciti a recuperare i Simaril del padre - quelle piccole pietre che lui stesso aveva potuto osservare ed ammirare nella loro perfezione: così tonde, così lucenti, così lisce da potercisi specchiare dentro - tutto sarebbe tornato alla normalità. E i Valar stessi si sarebbero dovuti inchinare davanti a loro ed ammettere che per una volta era stato Fëanor, il grande Fëanor, a ridare splendore alla terra da loro creata. Avrebbero dovuto ammettere che per una volta il loro aiuto non era servito eppure il risultato era stato assolutamente positivo.
Era una questione di prestigio e ambizione quella. Era per questa ragione che avrebbe seguito ovunque suo padre.Ci aveva creduto durante il discorso del padre, quando ancora erano a casa, ed aveva portato con se la consapevolezza che quello era l'unico modo per riacquisire il prestigio. Aveva giurato con fierezza e volontà, l'aveva fatto guardando la lama della sua spada risplendere insieme a quelle dei suoi fratelli sotto quella luce strana. Aveva visto quanto forti e uniti potessero essere lui e il padre. E lì aveva provato un senso di forza e prestigio; si era sentito potente e imbattibile in quel momento.
Potenza e prestigio, ora, quelle parole gli risuonavano nella mente come un monito derisorio: Fëanor, l'unico probabilmente in tutta la sua casa ad amarlo per davvero, a vederlo superiore, era morto. Ucciso dalla sua stessa ambizione. Quell'ambizione da cui tutti lo avevano messo in guardia, a cui tutti gli avevano detto di prestare attenzione, a cui tutti avevano consigliato di mescolare con la pazienza e la ragione. Quella ragione che aveva sua madre e che a lui, come al padre, mancava. Lui non pensava a niente: quando una cosa la voleva fare, soprattutto se riguardava il bene di suo padre, lui la faceva senza curarsi troppo delle conseguenze.E lui? Anche lui era ambizioso, lui così diverso da Nelyafinwë, lui che voleva elevarsi sopra al fratello, doveva ammettere che in quel momento era solo. Solo e senza più quell'appoggio che per anni aveva posseduto. Lui e Fëanor erano simili non solo in aspetto ma anche in carattere, abilità e purtroppo ambizione. Per anni, in quelli dopo il Giuramento in modo particolare, Turkafinwë gli aveva ripetuto che quell'ambizione gli sarebbe stata fatale se non si fosse dato una calmata, se non fosse riuscito a mettere da parte l'orgoglio di una vita e andare avanti con più umiltà e pazienza. E lui come aveva risposto? Per anni gli aveva riso in faccia o lo aveva ignorato lanciandogli di tanto in tanto degli sguardi quasi di superiorità e tante volte gli aveva detto, schernendolo, che nessuno si sarebbe rammentato di lui nel corso dei secoli, che avrebbe passato l'esistenza a vivere in assoluta tranquillità con Huan e con l'amicizia del Vala Orome ma senza prestigio, e suo fratello ogni volta ridendo rispondeva che a lui andava bene se quello avesse voluto dire sopravvivere alle pazzie di quello che ormai era tutto fuorché loro padre. Era in quei momenti che litigavano, che arrivavano a un passo dallo sguainare le spade, salvo poi essere riportati alla ragione da Canafinwë.
Già Canafinwë... Aveva provato anche un senso di fastidio quando l'aveva colto insicuro nel seguire il padre, nell'alzare la sua spada e nel pronunciare quelle parole che a lui sembravano così sensate e melodiose. Come osava suo fratello anche solo pensare di rinunciare al padre? Si era domandato in quel momento preciso, salvo poi nel corso degli anni passati a combattere senza vedere mai la fine di quella guerra, senza vedere gli oggetti tanto agognati nelle proprie mani, ripensarci e dar ragione al secondogenito. E anche lì un senso di inferiorità l'aveva colto e lui aveva cercato di scacciarlo ripensando a tutte quelle cose che aveva compiuto e che l'avevano reso superiore ai suoi fratelli: suo figlio in particolare.Non voleva credere che quell'ambizione di suo padre nel voler trovare e riprendere qualcosa che gli era suo di diritto era in realtà pura follia. Capiva suo padre, comprendeva le motivazioni più intime di quel suo gesto e non aveva per anni voluto ascoltare le parole dettategli dalla sua coscienza, non voleva fermarsi a ripensare a quanto fatto. Voleva continuare per non deludere il padre.
Per lui c'era solo una cosa che contava nella vita: l'approvazione di Fëanor. E se l'avesse ritrovato quel cimelio, lui con le sue mani, avrebbe superato il fratello, avrebbe avuto ancora più prestigio in famiglia sarebbe stato ricordato come colui che ha trovato e punito il nemico. Eppure tutto quello non era accaduto: il tempo era scivolato via dalle sue mani rapido e senza concedergli niente e ben presto si era ritrovato con le mani sporche di così tanto sangue elfico da non poter più ignorare la sua coscienza. Aveva dovuto ammettere che la sua ambizione era pari a quella del padre e che l'aveva portato a perdere.E lì sdraiato supino in quella sala, con accanto il corpo esanime del suo fratellone, di Turkafinwë e quello di Moryfinwë, col sangue che sgorgava dalle ferite e con pochi attimi di vita avrebbe voluto chiedere perdono ai Valar, chiedere loro di risparmiare almeno i fratelli, ma l'unica cosa che era riuscito a dire, in un sussurro roco, era una richiesta di perdono al padre. Una richiesta di perdono per non essere stato neppure quella volta, figlio che avrebbe dovuto essere.
Poi aveva chiuso gli occhi e si era lasciato trasportare lontano con la mente e i ricordi, aveva permesso al fato di mostrargli i giorni felici: sua madre, i suoi fratelli, le risate e si era odiato nel vedere le lacrime della madre in risposta alla furia scellerata del padre.
Alla fine una cosa poteva dirla: era morto per mano della stessa ambizione che aveva portato suo padre e la sua casata al declino e alla morte. Doveva ammettere che suo fratello aveva avuto ragione per tutti quegli anni e che era a causa sua se in qualche modo ora anche Tyelko aveva fatto la sua stessa fine. In quello erano simili lui e Fëanor. Ambiziosi e fieri. Troppo fieri.Angolo Autrice:
Rieccomi per la seconda volta oggi con una OS sui pensieri di Curufin.
Visto l’attaccamento del figlio al padre ho ritenuto più opportuno lasciare i nomi paterni dei suoi fratelli.
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Ambizione
Fanfiction"In quello lui e Fëanor erano simili. Ambiziosi e fieri. Troppo fieri. E lui della stessa ambizione del padre era morto" I pensieri di Curufin sulla decisione del padre di partire per la Terra di Mezzo.