Capitolo 1

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Poggio un piede, poi un altro. Resto dritta. Respiro. Abbasso lo sguardo e vedo quel dannato numero: 60. Non dovrei fregarmene, ed invece è proprio il contrario. Dovrei pesare almeno dieci chili in meno. Scendo dalla bilancia, diventata ormai il mio peggior incubo. Respiro ancora, questa volta più lentamente, e metto a fuoco il bagno intorno a me. Un grande specchio perfettamente pulito si staglia sulla parete appena di fronte a me, con una corona di mattoncini color caramello; alle mie spalle la doccia. Mi fisso il viso ormai arrossato: un misto tra vergogna e pianto. Abbasso lo sguardo sul mio corpo e non riesco a vedere altro che grasso.

Smetto di pensarci, devo concentrarmi su altro. Entro nella doccia, osservando il colore delle mattonelle, come se fossero la cosa più interessante al mondo. Apro l'acqua e aspetto che porti via un po' di sensazioni dal corpo, fino a quando non rimarrà solo un caldo torpore. I miei capelli rame si fanno sempre più scuri, il corpo si rilassa. L'acqua continua a scivolare sulla mia pelle, mentre mi lavo i capelli e poi il corpo. Quando finalmente esco dalla doccia, mi avvolgo in un grande accappatoio, di qualche taglia più grande rispetto alla mia. Cerco di pulire il vetro dal vapore  e osservo, di nuovo, la mia immagine riflessa: viso arrossato, mascara che cola, espressione vacua. Non è così che voglio ricordarmi.

                                                                                              ***

Dopo circa un'ora sono fuori casa, indossando una maglietta sdrucita e un pantaloncino semplicissimo. Non esco con le amiche, non incontro il fidanzato. Vado nel mio rifugio: l'unico luogo dove nulla mi tocca davvero, nulla mi scalfisce, ma tutto è esattamente come vorrei che fosse. Si tratta di una casetta in campagna, in mattoncini rossi. Era in via di costruzione, ma poi è stata abbandonata a sé stessa, alle intemperie, al tempo, alle persone che ci passano e la distruggono piano piano. Incredibile quanto degli oggetti riescono a sembrare persone, quando si parla in questa maniera. L'interno è completamente bianco, se non fosse per qualche scarabocchio e il muschio che si arrampica sulle pareti; è una casa abbastanza grande: si tratta di due piani, quello inferiore di quattro stanze, quello superiore di tre. Con il tempo ho portato qualche oggetto che a casa non usavo, come ad esempio un tappeto ed un piccolo mobiletto costruito da me.

Mi siedo sul tappeto, frugo nella mia tasca, afferrando la chiave del mobiletto accanto ed apro l'anta, prendendo poi quello di cui ho bisogno: i miei fogli da disegno e una matita. Disegnare è una passione che ho da sempre, almeno mentre disegno non penso alle mie gambe, ai miei fianchi enormi, alla mia pancia. Infilo le cuffie nelle orecchie e comincio quindi a disegnare: tratti leggeri e sottili fuoriescono dalla matita e vanno ad intrecciarsi, avvinghiarsi tra loro come per delineare forme precise, totalmente diverse da quei tratti che sto tracciando. Le mie mani continuano da sole, come se stessi ripetendo quell'azione per l'ennesima volta, ed effettivamente è così. Non è la prima volta che tento di disegnare il mio volto ma non riesco mai ad essere soddisfatta: alcune volte mi sembra troppo tondo, altre troppo minuto. Quando finisco osservo la mia creazione, ed anche questa volta non sono convinta: non sembro io. Straccio il foglio in mille pezzi, tolgo le cuffie ed inspiro. È come se non avessi respirato per tutto questo tempo, come se avessi qualcosa che preme sui polmoni. E poi sento un rumore, come di un ramo che si spezza sotto il peso di un corpo. Il sole è calato quasi completamente, comincio ad avere paura.

Mi sporgo leggermente verso la finestra più vicina e vedo un ragazzo. Alto molto più di me si guarda intorno. Una folta capigliatura scura gli copre la fronte. Nonostante le spalle larghe sembra molto fragile: si dimostra infatti un po' incurvato, forse per vedere bene su cosa sta poggiando i piedi. Alza lo sguardo, si accorge che sono lì e si raddrizza. Mi urla un saluto, mentre mi vede scomparire dietro una parete: continuo ad essere impaurita, nonostante sia un ragazzo come me. Lo sento allontanarsi, o meglio, girare intorno alla casa, fino a quando non trova la porta, entra e si dirige verso di me. <<Ciao>> mi sussurra, come per non infastidire il bosco intorno a noi <<sono Angelo>>, e dunque esita un po' nel tendermi la mano. Allo stesso tempo comincia a guardarmi ed inclina leggermente il viso. <<Io sono Adele>> gli rispondo. Lo guardo in viso e mi accorgo dei suoi occhi di un verde accecante. Indugio un po', sostenendo il suo sguardo e poi scappo via. Corro a più non posso, mentre lo sento dirmi <<ma dove vai?>>.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 19, 2021 ⏰

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