Cameron

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"Abigail?" la chiamo, battendo le nocche sulla porta. "Abigail?" insisto.

Ho un brutto presentimento. Ieri sera mi sono addormentato fiducioso, ma stamani ho ricordato come Abigail si sentisse colpevole della morte dell'amica e io so quanto il senso di colpa possa scatenare una reazione emotiva incontrollata. Io stesso, durante la notte, avrei voluto uscire per bere, solo un po' mi dicevo, solo un sorso. Ma se l'avessi fatto, lo so bene, un sorso non mi sarebbe bastato. Ho resistito. Non posso buttare ancora la mia vita: l'astinenza fa male, ma la dipendenza di più. Devo essere forte, anche per lei. Ieri Abigail non piangeva solamente la morte dell'amica, ma piangeva sul suo senso di colpa per averla lasciata da sola.

Eppure sono io che l'ho spinta ad uscire, io l'ho portata via da Mary-A. Dunque la colpa è mia? E di cosa sarei colpevole, di avere voluto regalare a me e alla mia ragazza un po' di gioia, di avere cercato un po' di tempo per stare da solo con lei?

Prima o poi sarebbe arrivata per Mary-A una notte senza sogni e senza Abigail. L'epilogo della vita di Mary-A era scritto nei suoi cambiamenti repentini di umore, nelle notti agitate dagli incubi, nella tristezza senza fondo che la lasciava per giorni annichilita e dalla quale usciva diventando la regina.

Nel suo delirio Mary-A sapeva bene quello che voleva, ma nessuno le aveva insegnato a realizzarlo: un legame d'amore, la stima e l'apprezzamento di chi le stava intorno. Io ed Abigail, entrando nel gioco dei suoi deliri, le abbiamo permesso di avere ciò che altrimenti non avrebbe mai avuto.

Mi sono alzato prima del solito stamattina per avere il tempo di prepararmi per la commemorazione e tornare da Abigail, perché quando si sveglierà voglio essere lì. 

Busso nuovamente, ma ancora una volta lei non risponde. Afferro la maniglia ed entro. Il letto è vuoto, la porta del bagno è socchiusa. Forse è già uscita, mi dico, comunque decido di controllare il bagno e apro del tutto la porta.

Abigail è seduta contro il box della doccia, piccola e triste. Alza gli occhi su di me e con un misto di vergogna e di disperazione mi mostra gli avambracci devastati dai graffi, le unghie sono sporche di sangue e pelle.

"Tirati su" dico, aiutandola ad alzarsi. Quasi non si regge in piedi, sembra una bambola di pezza. Apro il rubinetto del lavandino e quando l'acqua diviene tiepida le lavo le braccia e le mani.

"Ma perché l'hai fatto?" mormoro, passandomi una mano sugli occhi.

"È stata colpa mia, dovevo punirmi..."

"Ma la vuoi smettere? Sei patetica!" scatto lanciando in malo modo l'asciugamano.

"Patetica?"

"No, hai ragione, non sei patetica, sei egoista!"

"Egoista?" ripete, sempre più sconvolta.

"Pensi solo a te stessa e al tuo dolore, ma al mondo ci sono altre persone che come te soffrono. Lei era anche una mia amica, lo sai? Ti sei chiesta se anche io stia soffrendo, se quanto è successo possa risvegliare anche i miei fantasmi? Dio solo sa quanto vorrei bere, Abigail, ma sono qui, sono qui perché credo in te e in me, perché ti amo" urlo.

"Che cosa dovrei fare allora?"grida.

"Smetterla di comportarti come se fossi l'unica persona sulla faccia della terra!"

"Io non sto..."

"Oh, sì che lo stai facendo!" la interrompo.

"Allora vattene" sibila.

"Sì, me ne vado. E tra una settimana sarò anche fuori di qui: torno a lavorare al Blue Jazz. Fammi un fischio quando sarai pronta ad assumerti le tue responsabilità! Oppure raggiungi tua madre in India e lascia che siano gli altri a combattere al vostro posto" concludo cattivo, sbattendo la porta.

"Ehi, che modi, ragazzo!" mi riprende con aria di rimprovero l'infermiera alla quale ho quasi fatto rovesciare il vassoio con la colazione.

Red as Blood, Red as WineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora