I
Romeo alla finestra, insistente.
Io ancora nel letto.
Quel gatto ha la sveglia incorporata, maledizione!
Mi alzo controvoglia, apro le finestre, carezza a lui, biscottino.
La vicina, che sembra essere sempre dietro quei vetri per rubarti un po' di attenzione, apre le finestre, mi dà il buongiorno, ricambio con un sorriso a metà. Lei non l'ha ancora capito che la mattina non mi si deve dir nulla. Almeno non prima di un caffè, poi possiamo parlare.
Il sole è ancora timido tra le vette; il cinguettio dei passeri sull'albero di mele nel giardino, troppo fastidioso.
Il dolce caldo primaverile entra prepotente nella stanza e riscalda i sogni lasciati in sospeso, a mezz'aria, dove gli occhi ancora vedono e dove la mente però stenta a percepire.
Sento il tuo sapore che mi è rimasto addosso, sulle labbra, sulla pelle, che ieri sera hai baciato in continuazione: mi hai detto che adori l'odore di quella crema che avevo messo su, tanto da chiedermi di lasciarla a casa tua, vorresti il monopolio su quel profumo.
L'acqua fredda, un getto veloce sul viso, rischiara anche i ricordi della notte prima e mi prepara a quelli di oggi: sono pronta ad affrontare questa giornata. Lo specchio riflette il bianco pallido delle mattonelle; guardo il soffitto che sta scrostandosi, forse quest'anno mi tocca dare una mano di pittura. Dalla finestra vedo il mio gatto che fa gli agguati alle lucertole, lo vedo immobile, al lato del quadrato di prato ancora umido di brina, sembra quasi pieno di polverina luminescente, un velo di brillantini che riflette i raggi dappertutto.
Sono pronta ad affrontare un'altra giornata. Oggi dovrei essere in giro per tutto il giorno e sinceramente non vedevo l'ora di allontanarmi da casa, non ne posso più di parlare forte per farmi ascoltare, di dover rimanere impassibile al nervosismo dilagante. Ho bisogno di silenzi, di sussurri, ho tanta voglia di parlare sottovoce, di non dover ripetere ogni volta, di qualcuno che voglia davvero ascoltarmi, sentirmi.
Ed è qui che entri in gioco tu, che in poco tempo, senza troppe pretese, mi sei entrato dentro.
Con te non ho mai avuto il bisogno di spiegarmi bene, mi capivi anche nei miei momenti di dislessia, quando parlavo a monosillabi, quando a malapena rispondevo con un flebile si/no. Tu hai sempre capito tutto, forse ti bastava guardarmi negli occhi, interpretavi persino i miei pensieri. È stato sempre semplice con te, lineare. Senza troppo sforzo.
Sei un pensiero fisso ormai, ti trovo in ogni discorso, ti sento ovunque.
ok, forse sono io che ora ci faccio più caso, forse son io che cerco scuse per pensarti.
Forse.
Tutto mi parla di te ed io sorrido ogni volta che una semplice coincidenza mi riporta alla mente il tuo nome, i tuoi modi di dire.
Seduta sul banco in attesa che passi anche questa lezione mi sono messa a disegnare grafie strane, nessun insieme di linee precise, un disconnesso disegno senza un apparente senso. La mia amica invece è attentissima: sembra seguire parola per parola la spiegazione, con gli occhi fissi, pronta a non far cadere nemmeno una nozione. Per lei tutto è essenziale. Il suo quadernone verde ad anelli è in perfetto allineamento col banco, i buchi tutti a posto, i fogli stirati, nemmeno una piega. La sua scrittura rientra perfettamente nelle righe, non sopra, non sotto.
Non sono per niente così, il mio è un caos perfettamente incastonato nelle mie coordinate xyz. Uno schema preciso. All'apparenza è disordine, ma basta aprire la copertina per accorgersi che così non è. Lo faccio apposta, sono quello che le persone vogliono credere, le lascio fare, tanto io so che c'è dell'altro dentro.
Il professore cerca le attenzioni di tutti, chiedendo conferme alla classe, facendo intervenire chiunque voglia dire la sua. Ha da poco preso l'abilitazione per l'insegnamento e le sue idee sono fresche, come tutti quando iniziano. Ha già inquadrato la classe: quelli in prima fila sono i classici sapientoni, quelli che vogliono sapere tutto e che vogliono aggraziarsi il professore di turno. Ma a lui non interessano, lui punta all'altra metà della classe, quella in fondo. Sta pensando di mettere in pratica alcune teorie innovative nell'insegnamento, proverà a fare dei gruppi, se la classe accorda.
Nel frattempo, in strada c'è il mercato, ogni tanto sale l'odore della cucina da strada: olio fritto, pizza, pane fresco, terra. Le urla dei venditori si confondono con i rumori dei camioncini che caricano e scaricano gli alimenti.
"oh, oh! Ci sei? Non ti sei nemmeno accorta che è finita la lezione! Dai, muoviti, che non facciamo in tempo a tornare."
La mia amica mi prende per il maglione e mi tira via dal banco; io mi lascio trascinare fin giù le scale, poi ci salutiamo, tanto ci rivedremo tra poco, dice lei.
Io annuisco.
Mi piace passare in mezzo al mercato, le mie preferite sono le vecchiette. Si mettono di fronte alle cassette di ortaggi e frutta come se dovessero fare un'ispezione; controllano una ad una ogni mela, zucchina, carota, qualsiasi cosa, prima di decidere quale prendere. La loro spesa dev'essere impeccabile. Il tizio dietro il banco sospira. Pensa al momento in cui tutto sarà già a posto e lui può tranquillamente tornare a casa e vedere in santa pace il derby in tv. Queste vecchiette son diventate sempre più incontentabili, sarà sempre più difficile gestirle, rimugina tra sé.
Un bambino tira la veste della nonna perché ha visto un gattino che si è infilato sotto uno dei camioncini fermi ed ha paura che possa farsi male. La nonna lo tranquillizza dicendogli che tanto, non appena sentirà il rumore del motore, scapperà verso un alloggio migliore.
Io esattamente non so dire da cosa sto scappando, ma spesso mi ritrovo a fermarmi in posti impensabili e mi perdo nei miei pensieri. Per fuggire via non appena quei pensieri si appesantiscono. Li affronterò, prima o poi.